Vandali&Maledizioni (8 febbraio 2010)
http://vandaliemaledizioni.splinder.com/post/22205344/MARCO+PANNELLAlunedì,
08 febbraio 2010
I NOSTRI GHETTI SONO LE NOSTRE STORIE, MA ANCHE I NOSTRI ORTI
Mi permetto di rivedere il pur felice titolo del colloquio di marco pannella con stefano rolando, (“Le nostre storie sono i nostri orti, ma anche i nostri ghetti”, Milano, 2009) per ragionare su una interessante lettura che ha come tema gli ultimi 65 anni di vita italiana, pubblica e privata, civile e politica. Innanzitutto, in questa conversazione, non mancano accenni autocritici: ciò ancora una volta conferisce al leader radicale una genuinità e capacità creativa e propositiva superiore alla media della classe dirigente di questo paese; tuttavia su alcune tematiche possono risultare enfatizzati i meriti e completamente taciuti i limiti. Proviamo a segnalare l’accento posto sul referendum della “scala mobile”, che certo segnò il tramonto dell’egemonia culturale comunista sulla classe operaia, che certo fu il primo segnale di una politica di contenimento del debito che è a maggior ragione oggi necessaria: ma dove si dice che da allora il potere d’acquisto del salario ha perso consistenza, aggravando il divide tra profitto e prestazione lavorativa? Ma dove si dice che la spesa pubblica continuò a galoppare, in niente arrestata, disciplinata e morigerata da quella vasta consultazione popolare? Altro tema caro a marco pannella e a un elettorato assai più vasto di quello tradizionalmente proprio del partito radicale è la questione israeliana: bene, il sogno di Israele nell’Unione Europea, in un crescendo che ravvicini anche Russia e Turchia, è notevole; ma dove e in che termini tale visione potrebbe conciliarsi con la risoluzione della questione palestinese, con la fine delle bombe, dei cannoni e dei massacri? In tema di riforme “istituzionali”, vieppiù, appare un esempio di specchiata coerenza del leader radicale la scelta di bocciare ancora una volta il deragliamento presidenzialista teorizzato da missini e socialisti negli anni ottanta: ma perché allora l’antidoto al personalismo imposto dalla “costituzione materiale” non dovrebbe essere il proporzionale puro, e invece si ritiene terapeutica la scelta dell’uninominale secco? È davvero l’unico modo per secondare il legame tra eletti (o, sempre più, nominati) e territorio? Non gioverebbe all’ultima coraggiosa proposta della galassia radicale (anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati) un sistema di questo tipo, e non un maggioritario bipartitista e tendenzialmente privo di “sfumature cromatiche” tra due poli che convergono verso un appiattimento della proposta politica? Forse questa valutazione, per quanto coerente, è riconnettibile ad un’incompiuta nella storia politica radicale: l’incapacità di diventare stabilmente quel “third party”, veramente all’americana, a metà tra il green party, il partito libertario e il partito dei consumatori, che pure la “galassia” avrebbe le carte in regola per costituire nel nostro paese, preferendo piuttosto scatti di autentica autonomia della creatività culturale e amministrativa, ma sostanzialmente (anche) adagio su uno dei “poli” di volta in volta individuati dalla tenzone elettoralistica. Eppure, Marco Pannella, ed è una delle componenti più straordinarie del suo attivismo, non solo riporta a galla istanze e culture che regimi vari ed eventuali hanno gran gusto a “seppellire” coattivamente (Giustizia e Libertà, come la tradizione risorgimentale, come la proposizione della questione di genere negli anni settanta e ottanta), ma soprattutto detta i temi per una agenda politica futura, e di considerevole respiro. Antiproibizionismo, innanzitutto: per raddrizzare non solo le pretese giustizialiste di chi combatte i problemi con le manette, semmai più coraggiosamente per determinare (e “deliberare”) una cultura della responsabilità e della riduzione del danno contro il comitato d’affari politico-mafioso delle malavite organizzate. E se tanto non bastasse: riforma autentica della giustizia, nel quadro più ampio di un modello accusatorio e garantista che, a stento recepito dalla codificazione processuale penalistica, sempre più viene eroso nei suoi addentellati minimi dalla perenne logica dell’emergenza e del sondaggio che deteriora l’attività legislativa, nonché (e ne sanno qualcosa gli operatori pratici) il risultato estetico ed esegetico del suo svolgersi. Questo per dire allora che probabilmente a marco pannella, e al partito che ha innervato del suo stesso corpo e del suo stesso spirito, forse manca più coraggio sulle questioni sociali, una maggiore nettezza nel riconoscere che nel “PCI dei settantenni” (dei Gullo, dei Terracini, per capirci…) oltre alla capacità di intuire le lotte per i diritti civili c’era un’attualità del conflitto permanente sui diritti sociali che è da ritenersi assolutamente non esaurito. Non solo testo di testimonianza, questo dialogo, perciò, ma intrigante punto interrogativo, dove tuttavia anche chi pone le domande ha qualche eccesso nell’azzardare le risposte. Free Tibet for Free China, ci avvisa giustamente Pannella. la coltura e cultura degli ultimi, degli sconfitti e dei reclusi non necessariamente deve affermarsi come disvalore di una mancata politica riformatrice. Semmai, ben più spesso origina quale prodotto ineliminabile di un riformismo che in nome di un libero mercato, mai così presidiato da chi realmente lo possiede, non riesce a scalfire la sicumera di chi si sistema negli alloggi dominanti. A detrimento della Costituzione, della civiltà della Legalità, del Diritto e… persino degli Affetti.
Ghetti nei quali, almeno da parte di chi scrive, si riconosce la forza per veicolare ogni rivendicazione, ogni speranza di cambiamento sociale.