Un’analisi di “reputazione” su Autorità Energia e Gas (Finanza&Mercati, 28dicembre2010)
Finanza&Mercati
28-12-2010
Authority significa (anche) transparency
Le Autorità di controllo in Italia sono ancora soggetti con ampi margini di miglioramento nel comunicare
STEFANO ROLANDO*
Una giornata di formazione in house con il management della Autorità per energia e gas, in materia di comunicazione e reputazione, permette di svolgere un prelievo di temperatura di un tassello importante delle istituzioni economiche. Esse costituiscono un patrimonio per sostenere o criticare la qualità della bilancia democratica: da un lato il piatto del fare, dall’altro il piatto del controllare. Nella cultura politica e sociale italiana non è diffusa l’idea che i due piatti abbiano stesso rango e stesso potere. Non pare che legislativi ed esecutivi siano vissuti in questa logica. I parlamenti (nazionale e regionali) pensano spesso più alla visibilità mediatica che all’oscurità di verifiche e valutazioni, anche per deficit di identità di ruolo (malattia diffusa nel mondo) delle opposizioni. I governi esprimono di frequente insofferenza per la lungaggine dei passaggi rituali, come se per decidere bastasse la maggioranza sulla carta. Se attorno a queste pessime idee non ci fosse anche un po’ di condivisione culturale in giro, i professionisti della democrazia moderna non avrebbero il coraggio di dire certe cose. I parlamentari – anche di maggioranza – sarebbero consapevoli che controllare i governi è compito essenziale. E i governi – anche meno tecnici e più politici – saprebbero che è essenziale acquisire consenso responsabile anche senza recedere da misure necessarie pur se impopolari.
Ebbene le Autorità – sorte in Italia su modello anglosassone di soggetti terzi e indipendenti tra Pa e mercati – costituiscono ora il banco di prova per tre obiettivi che, tenuto conto di diverse evoluzioni, possono essere così espressi: costruire una cultura regolatoria non solo per sé ma a favore del sistema (istituzioni/mercato/società civile); costruire procedimenti esemplari e coerenti che consolidino i processi concorrenziali e di libertà economica; costruire metodologia credibile, per comprovata indipendenza, per i comportamenti di soggetti implicati nei processi di legalità.
Assistiamo a relazioni annuali dei presidenti delle Autorità svolte in riti senza discussione, legittimate dalla presenza del Capo dello Stato e di vertici istituzionali, con commenti bisbigliati, scarsamente presidiati anche dalla critica mediatica, per una sorta di metus dell’informazione rispetto alla «verità» delle relazioni stesse. Ma assistiamo a scarse occasioni di significativa verifica del raggiungimento dei tre obiettivi indicati. Ecco perché l’occasione fornita da un laboratorio di discussione interno alla Agenzia per energia e gas – istituita nel ’95, partita nel ’97, primo presidente Pippo Ranci, secondo presidente ora a fine mandato Alessandro Ortis – permette di svolgere qualche approssimata verifica di cui vorrei dare brevemente conto: la formazione di una cultura identitaria specifica è riconoscibile e coinvolge 180 operatori pubblici radicati in due città (Milano e Roma), fattore che conta sulle culture interne; evoluta è oggi anche la cultura relazionale, soprattutto col sistema associativo dei consumatori che appare a fine settennato più elevata rispetto a quella che riguarda i maggiori player di impresa (colossi come Eni e Enel); una metodologia di cultura della legalità si chiarisce attorno al riconoscimento da parte del sistema del profilo di reale indipendenza dell’istituzione.
Un bilancio simile si potrebbe tracciare in tutti i contesti delle Autorità regolatorie e di controllo italiane? La verifica e la discussione dovrebbero essere più evidenti. È certo che l’eredità di Ortis (passata indenne da una recente puntata di Report su Raitre, che non è un verdetto scientifico, ma ha qualche significatività) attorno a cui il management mostra volontà di presidio, è oggi un problema istituzionale per assicurare un nuovo vertice in condizioni di coerenza. Lo sfilarsi volontario di Antonio Catricalà, che guida l’Antitrust e che era stato indicato come successore, subdorando condizioni conflittuali non benefiche per la terza fase di questa istituzione, è stato un segnale di pericolo lanciato pubblicamente. Non solo problema di nomi, ma anche di metodo generale. Un segnale che merita anch’esso discussione perché implica una oggettiva preoccupazione civile e un augurio per soluzioni rapide e di qualità.
*Università Iulm – stefano.rolando@iulm.it