Una nuova carta di identità per la Rai (Eurovisioni, 12 ottobre 2013)

 

Eurovisioni

Villa Medici, Roma – Sabato 11 ottobre 2013

Una nuova carta di identità per la Rai

Stefano Rolando *
 

Le associazioni Articolo 21, Fondazione Di Vittorio e Eurovisioni lanciano un concorso nazionale aperto alla partecipazione creativa dei giovani per ridisegnare punti salienti della nuova mission del servizio pubblico radiotelevisivo (oggetto di revisione nel 2016). L’annuncio nella giornata conclusiva della XXVII edizione di Eurovisioni a Villa Medici a Roma. Introduzioni di: Stefano Rolando, Beppe Giulietti, Barbara Apuzzo. Relazione di Renato Parascandalo. Modera Marino Sinibaldi. Tra i partecipanti: Luigi Gubitosi, Alessandro Pace, Roberto Zaccaria, Paolo Garimberti, Luciana Castellina.

 

  1. Eurovisioni ha 27 anni, è stata fondata nel 1987. Una generazione intera è collocata in questo arco di tempo. Un pezzo di storia del nostro sistema audiovisivo europeo è stato oggetto di tante nostre discussioni.

  2. Discussioni che si sono misurate con varie rivoluzioni tecnologiche tutte di tipo globalistico. Che hanno attraversato la profonda trasformazione dell’Europa continentale; le battaglie per l’eccezione culturale; in Italia il passaggio dalla prima alla seconda (e speriamo presto anche alla terza) Repubblica; la costruzione e la stabilizzazione dell’oligopolio tv. Eccetera, eccetera. Per quanto riguarda il tema di questo incontro esse hanno più volte riguardato anche la fuga del pubblico giovanile dalla tv verso internet.

  3. In questa cornice il tema della Rai – ovvero del ruolo del servizio pubblico – è stato monitorato qui a Villa Medici anno per anno. Confrontato con i cambiamenti interni ed esterni. Misurato con l’aggiornamento della nozione di servizio pubblico che in Europa ha raggiunto punti di condivisione ma anche mantenuto punti di difformità.

  4. Nella documentazione di background, è stata distribuita anche la relazione di Lord Patten of Barnes, presidente della BBC, pronunciata il 23 settembre scorso a Torino al Prix Italia, in cui campeggiano due parole importanti: “austerità e indipendenza”. Dice Lord Patten: “L’indipendenza dallo Stato è al centro della proposta del servizio pubblico e dobbiamo custodirla gelosamente. Dovrebbero farlo anche i politici, se sono seri quando parlano di libertà e democrazia. Dovrebbero pensare due volte al messaggio che inviano agli elettori, prima di immischiarsi negli affari di coloro che servono i cittadini, in quella parte del settore pubblico che va oltre lo Stato. Ma se vogliamo che il pubblico ritenga che gestiamo i nostri affari senza interferenze, dobbiamo essere pronti a lavare i nostri panni in pubblico”.

  5. Non è una dichiarazione scontata. Lo stile mi ha ricordato quello di Paolo Grassi, presidente della Rai dal 1977 all’80, di cui in quel tempo, in Rai, fui assistente. Così che “il lavare i nostri panni in pubblico” – che lo stesso presidente della BBC indica nel problema di confrontarci “con il nostro passato” – diventa parte del progetto che oggi presentiamo, con Articolo 21 e Fondazione Di Vittorio, pur sapendo che esso riguarda i nostri giovani, il nostro pubblico largamente in fuga. E riguarda una sfida non facile: un possibile patto da rinnovare tra le generazioni e con le nuove generazioni, parlando di servizio pubblico televisivo naturalmente con gli occhi al futuro.

  6. Di futuro si parlerà dunque molto. Soprattutto con loro. Presente – per misurare bisogni – e futuro per disegnare speranze. Ma noi oggi, nel fare – certamente con infinite mancanze ed omissioni – qualche riflessione di cornice sul tema dell’identità della Rai in cambiamento, proviamo pure liberamente, con il concorso di molti protagoniosti di un lungo dibattito anche oggi presenti, a non essere reticenti rispetto all’esigenza – che è di tutte le tv europee – di “lavare i panni in pubblico”.

  7. Mi limito solo a qualche spunto. Quando parliamo di identità e di mission bisogna intendersi sul paradigma che adottiamo. I giuristi vedono il risvolto istituzionale e ripensano ad un elemento che si sosteneva a spada tratta – la Rai come costituzione materiale del paese – e ne pesano il significato oggi. I sociologi guardano al rapporto con la domanda e quindi alle rivoluzioni dei processi di fruizione tra la Rai di “Non è mai troppo tardi” e quella che distribuisce soldi non a chi sa ma a chi ha imbroccato il pacco giusto. Gli economisti pensano alla catena del valore che un perno dell’industria culturale nazionale ha nel tempo avuto pur cambiando il suo rapporto con le fonti creative e produttive (teatro, cinema, musica, editoria, cultura dello stile, cultura della comunicazione, eccetera) passando dal travaso alla reinvenzione produttiva, dall’integrazione all’antagonismo alla colonizzzazione.

  8. Innanzi tutto dobbiamo essere realisti parlando di giovani, senza mitologie, con i dati in mano di un paese (Isfol per Ocse 2013) che, tra quelli sviluppati, è ultimo per competenze alfabetiche (comprendere un testo) e penultimo per competenze matematiche (leggere i numeri). Dunque con elementi di nuovo analfabetismo che investono duramente il mondo giovanile. Il patto sotteso in questo concorso deve misurarsi con questo limite.

  9. Sarebbe per questo interessante per i nostri giovani – sempre facendo leva sui più sollecitati e operando per un recupero di fasce potenziali – se noi ponessimo alla Rai prossima ventura il tema della sua effettiva internazionalizzazione, ovvero dello sguardo reale sul mondo, per leggerlo, conoscerlo, trasferendovi anche un po’ dell’immaginario collettivo italiano ancora molto provinciale. Lo dico a causa di irrisolti di tipo etnico e razzistico che in certe componenti e in certi territori riguardano in modo pauroso la nostra gioventù. E lo dico, a proposito della Rai, leggendo in questa materia una nostra storia forse meno brillante di altre televisioni europee, sia pure con alcuni momenti di grandezza.

  10. Sarebbe interessante ancora se per i nostri giovani noi avessimo il coraggio di rileggerre l’idea del rapporto con le istituzioni e la politica che ha avuto nella riforma della metà degli anni ’70 un punto di svolta, quando ancora la Rai era monopolio. Con una legge di riforma dunque destinata a valere per pochi anni. Ma che ha sacralizzato poi la parlamentarizzazione della Rai, come fosse una conquista profonda rispetto alla governativizzazione dell’età del latifondo. Siamo ancora certi che il rapporto con il Parlamento – per come il Parlamento è cambiato – abbia giovato alla mission della Rai? I giovani non sono solo in fuga dalla Rai ma anche dai partiti. E la difficoltà in Italia (secondo il monito del presidente della BBC) di distinguere seriamente istituzioni e partiti ha sommato nei giovani (e non solo nei giovani) la riluttanza.

  11. Sarebbe interessante se per i nostri giovani che hanno dunque con la politica un rapporto da ricostruire, a condizione che loro stessi diventino protagonisti del loro tempo, se nei nuovi indirizzi la divisione in reti della Rai – soprattutto le tre reti più visibili – fosse concepita come un retaggio del passato probabilmente illegibile dal punto di vista politico ma credo anche dal punto di vista di un modello organizzativo adeguato al pluralismo reale dell’offerta.

  12. Sarebbe interessante se per i nostri giovani che vivono comunque in alcuni spazi produttivi e di fruizione della cultura del nostro tempo – una certa musica, alcuni ambiti di arti figurative, lo spazio creativo digitale, il rapporto culturale con l’ambiente – il tema ideativo e produttivo di servizio pubblico investisse una maggiore apertura ad un sistema di produzione affidata con modalità stabili e programmate a questi settori, a questi soggetti, radicati nella società e nel territorio.

  13. Sarebbe interessante se per i nostri giovani (nessuno dei quali ormai dichiara – se interrogato sull’identità personale prevalente – quella europea, con un vasto ripiegamento nell’identità locale), la rigenerazione dell’idea di Europa partisse dalla comunicazione e dalla cultura, cioè da dove l’Europa non volle partire negli anni ’50 e da dove si è arenata negli ultimi quindici anni per mancanza di parole chiave nel traino valoriale dell’Europa stessa , facendo qui un’intesa forte e non burocratica con la rete delle tv pubbliche europee fino ad arrivare ad un canale comune.

  14. Sarebbe interessante se per i nostri giovani – e qui finisco gli spunti – il codice professionale creativo non subisse più l’idea (in Rai qualche laboratorio c’è stato in passato e qualche segnale ancora perdura) che il “cane da guardia” – in materia di diritti e etica pubblica – è ruolo soprattutto di altri media ma marginale per la tv, soprattutto per la tv pubblica, perchè essa ha compiti di prudente integrazione ispirata al “politically correct”.

  15. Insomma, l’identità del servizio pubblico televisivo anziché ratificare il passato, dovrebbe servire ad operare oggi in controtendenza – dando qui una mano sostanziale al mondo disagiato degli educatori e della scuola – per arginare e se possibile invertire la rotta a rischio che è segnalata da tutta la ricerca sociale sulle nuove generazioni. 

    * Professore di Politihce pubbliche per le comunicazioni all’Università Iulm , vice-presidente di Eurovisioni, componente del Co.re.com della Lombardia