Un articolo di Marco Vitale dedicato a Milano sul Corriere della Sera 21 maggio 09

LA NOSTRA MILANO
“C’è stato un momento in cui le aspettative di questa città riguardo
al proprio futuro sono crollate e Milano ha smesso
di sentire stima verso se stessa”.
Luca Doninelli
 
Spesso mi capita di parlare di Milano con amici e conoscenti di città del profondo Sud. Mi parlano
delle tristezze, della violenza, della corruzione, della mancanza di professionalità, della
iperpoliticizzazione dominanti nelle loro città. Poi aggiungono: certo che per voi a Milano è
diverso ed è più facile vivere. Quando cerco di spiegare loro che da noi a Milano non è più molto
diverso e che non è per niente facile vivere, colgo nei loro occhi un grande smarrimento, una
enorme tristezza. Sembra che vogliano dire: ma se anche Milano viene meno come punto di
riferimento, come testimonianza del buon vivere civile, che cosa ci resta? Dove riporre i nostri
segni, dove radicare la nostra speranza? Questo episodio mi è capitato tante volte tanto che ho
imparato a non replicare più ed a dire: sì, certo a Milano è diverso; a lasciare indisturbato il loro
sogno e magari a sognare con loro una Milano che non c’è più. Ma è sparita o si è solo inabissata
come un fiume carsico?

A questo mi fanno pensare le importanti parole del cardinale Tettamanzi: “Milano può e deve
ritrovare la sua vocazione di capitale morale del Paese, di crocevia dei popoli e di laboratorio
italiano della metropoli postmoderna… Io dico che c’è una speranza Milano che può contagiare il
Paese intero… Ma perché questa speranza non ha visibilità? Perché non fa notizia? Perché anche i
media non si assumono la responsabilità di far circolare la speranza?”.
Queste domande evocano quella che anche Bonvesin de la Riva si pose nel 1288: “ Ma se i milanesi
possiedono veramente tutte le doti che tu esalti, come mai la loro virtù non vale a reprimere tante
malvagità? Rispondo: perché spesso i malvagi hanno forze e poteri; perché spesso i figli delle
tenebre nelle loro malvagie imprese sono più attivi e scaltri che non i figli della luce nelle loro
opere buone”.
Il Cardinale ha lanciato un monito fondamentale: Milano ha delle responsabilità di fronte al Paese;
dunque noi tutti abbiamo delle responsabilità verso la città, il territorio e il Paese.
Ma da dove incominciare?”Essere stati è condizione dell’essere” dice Braudel. Ed allora
incominciamo pure dalla storia di Milano, perché chi conosce la sua storia ed, attraverso essa, i
suoi caratteri più profondi non può non amarla. Perché Milano, e noi con essa, ha bisogno
soprattutto di amore. E riprendiamo in mano quelle guide che ci hanno portato attraverso Milano
con amore, come quella famosa di Alberto Savinio (Ascolto il tuo cuore, città) e quella, stupenda,
di Guido Lopez (Milano in mano): e quei libri su Milano, talora anche molto duri, che ci hanno
aiutato a riflettere sulla nostra Milano, come quelli di John Foot, Milan since the Miracle;
Giancarlo Consonni, Addomesticare la città; Maria Pia Belski e Simona Montruccoli, Milano da
pista per cavalli a città regione; Michele Sernini, Milano, una forma di città; Luca Doninelli, Il
crollo delle aspettative, Scritti insurrezionali su Milano; Massimo del Papa, Milano funerali un
epitaffio per una metropoli che non sa più vivere; Autori vari, Milano, nodo della rete globale;
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Luigi Offendu Ferrari Sansa, Milano da morire; Stefano Rolando, La capitale umorale; Gianni
Barbacetto – Elio Veltri, Milano degli scandali; Cristina Wolter, Via delle Ore; Giovanni Colombo,
Baciare il rospo, l’impresa possibile di amare Milano; oltre agli importanti Rapporti sulla città che
l’Ambrosianeum ci dona ogni anno. Ho voluto elencare puntigliosamente questi libri (che non
sono frutto di una ricerca bibliografica, ma sono solo quelli che io ho letto, con profitto, negli ultimi
anni) per poter porre una domanda centrale: può non riprendere il ruolo che le compete una città
che sa attrarre tante intelligenze a parlare di lei?
Dopo aver illustrato le ragioni per cui “i figli delle tenebre”sono quasi sempre vincenti, Bonvesin
De La Riva, sembra quasi voler evitare ulteriori discussioni in materia e taglia corto, concludendo:
“Lascio a voi queste discussioni per andare avanti nella mia trattazione”. Con questo Bonvesin ci
dona un prezioso suggerimento. Anche noi dobbiamo andare avanti con la nostra trattazione,
senza confrontarci con loro sul loro terreno di gioco, perché sullo stesso essi sono invincibili,
perché “i figli delle tenebre nelle loro malvagie imprese sono più attivi e scaltri che non i figli della
luce”.
Bisogna cambiare il campo di gioco. E quindi:
– la città ha un disperato bisogno di discutere della gestione del suo territorio metropolitano
in una prospettiva strategica, in modo competente, onesto e non inquinato da interessi
specifici. Con loro è impossibile farlo. Ed allora avviamo un Forum dove la città possa
dibattere ciò, con onestà e competenza;
– la città ha un disperato bisogno che si parli seriamente dei contenuti dell’Expo 2015 ed è
piena di altissime competenze in materia. Ma con loro si può parlare solo di stipendi, di
mq. degli uffici, di costosissime consulenze. Ed allora promuoviamo un Gruppo di lavoro,
articolato in varie sezioni, che dia voce alle migliori competenze cittadine;
– la città ha un enorme bisogno di un consiglio comunale dove sopravviva quel poco che
resta della misera vita democratica cittadina. Ma per loro il consiglio comunale è un luogo
ormai privo di qualsiasi sostanza e interesse, un luogo da irridere se non da offendere. Ed
allora organizziamo una Consulta cittadina dove si dibattano pubblicamente i temi che
dovrebbero essere oggetto di dibattito nel Consiglio comunale; insomma un consiglio
comunale pro-forma;
– la città invecchia, ma i giovani ci sono. Ci sono nel potente sistema universitario. E ci sono
nei licei. Ed allora proponiamo alle autorità scolastiche di promuovere incontri nei licei per
dibattere con i giovani quei temi della contemporaneità, della vita civica e della nostra
Milano, che i professori da soli non riescono a svolgere. Sarebbe un grande aiuto per la
scuola e per noi. Quest’anno un liceo scientifico milanese ha sviluppato una serie di
incontri sul tema: le radici europee della nostra Costituzione. E’ stata un’esperienza
bellissima per gli studenti che hanno anche prodotto un documentario sul tema, per gli
insegnanti che si sono impegnati con gioia, per gli esperti chiamati a portare la loro
testimonianza. Moltiplichiamo questi incontri ed il clima cittadino nei rapporti tra scuola e
città e tra anziani e giovani cambierà in meglio rapidamente;
– troppo spesso gli immigrati non rispettano la città? Ma chi insegna loro a rispettarla? Chi
spiega loro un po’ di storia e di struttura della città? Si può rispettare ciò che non si
conosce?;
– è poi necessaria un’azione di spietato, personalizzato monitoraggio sulle cose che non
vanno, sui problemi concreti che non si risolvono mai. Anche questa è politica , perché
quando i problemi non si risolvono mai, con l’uso competente della scienza e della tecnica
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l’ambiente cittadino si incattivisce, la convivenza diventa più difficile, si diventa ostili l’un
l’altro, si diventa razzisti. Un esempio: il primo maggio ho viaggiato sul treno a grande
velocità da Roma a Milano; viaggio eccellente, comodo, tre ore e mezza, appena il tempo di
leggere i giornali. Ma all’arrivo a Milano, fermi i mezzi pubblici, coda di oltre un’ora alla
stazione centrale per prendere un taxi. Per fortuna non pioveva perché la coda, con molte
mamme con bambini piccoli e con grosse valigie, andava ben oltre la striminzita tettoia. Io
vorrei sapere nome, cognome, qualifica, indirizzo, numero di telefono dell’idiota che ha
impostato la allucinante logistica di taxi alla stazione centrale di Milano. Ed alla fine, il
tassista che mi accompagnò, condividendo in pieno il mio disappunto, mi disse: noi
abbiamo cercato di spiegarlo che così non andava. Ma non ci hanno ascoltato. Bisogna
urlare con forza, imponendo loro che ascoltino e personalizzando le responsabilità.
Sono solo alcuni temi sui quali un grande giornale può svolgere un ruolo importante, così
rispondendo anche all’appello del Cardinale: “la responsabilità della città e del territorio non può
ricadere solo sui suoi amministratori”.
Ma tutto ciò va inquadrato in una cornice concettuale solida. Ed a noi non manca. Basta ricollegarci
ai nostri veri grandi economisti che non sono quelli che hanno studiato ad Harvard, ma quelli che
si chiamano Verri, Beccaria, Pompeo Neri, Romagnosi, Cattaneo, quelli che hanno accompagnato
Milano nel suo decollo e nel suo sviluppo, che hanno posto le basi della Milano contemporanea.
Verri analizza e commenta la grande prosperità e forza di Milano prima del XVI secolo; poi
analizza e commenta il grave declino che Milano subì nei 172 anni di dominazione spagnola.
Nell’analizzare le ragioni dell’antica prosperità, Verri indica, accanto a ragioni legate alla posizione
strategica per i grandi commerci, la certezza del diritto (“la sicurezza dei beni fondata su buone e
chiare leggi”) e il rispetto della città verso le attività imprenditoriali (che allora si chiamavano: i
commerci). E poi aggiunge due ragioni che rinviene negli antichi statuti di Milano, del 1480, che
sono ancora oggi due punti di fondamentale importanza.
La prima è il divieto alle corporazioni di ergersi a corpi chiusi e separati, avvantaggiati o protetti
da leggi e regolamenti: “Quei corpi delle arti e dei mestieri che al di d’oggi sono tanti quante le arti
e i mestieri possibili ad esercitarsi dell’umana industria, allora erano dagli statuti espressamente
proibiti ed annullate e cassate preventivamente le leggi o statuti che in avvenire essi corpi
pretendessero mai di arrogarsi”. Tutto ciò era a difesa non corporativa della professionalità, del
saper fare rispetto all’essere affiliati a qualche setta, dell’essere cittadini individualmente e non per
appartenenza a qualche partito o corporazione o cosca.
La seconda merita di essere citata integralmente nel testo ripreso dal Verri, per la sua straordinaria
efficacia: “Quilibet citati et districtus Mediolani, vel aliunde tam masculus quam femina tute et
impune, et ubique et in quolibet loco in civitate et comitti Mediolani, possit facere,et exercere et
operare qaumlibert artem seu artificium, ministerium vel laborerium cujuscumque generis et
manieri ei sit, nisi in contrarium lege municipali reperiatur cautum” ( che, in una approssimata e
semplificata traduzione, potrebbe suonare come segue: “Chiunque, della città e del distretto di
Milano, o proveniente da qualunque luogo della città o del contado potrà fondare ed esercitare
ogni mestiere, arte o professione o qualunque altra attività di ogni e qualsiasi genere, che non sia
contraria alla legge municipale”, e precisa il Verri, la legge municipale poneva alcune eccezioni,
ma molto poche, “lasciando una generalissima libertà di esercitare tutte le arti e mestieri, a
chiunque senz’obbligo di matricola, di esame o maestranze di alcuna sorta”. Come diverso sarà il
periodo successivo del dominio spagnolo, fatto di corporazioni, di chiusure, di autorizzazioni, di
divieti, di manomorte e di conseguente declino! E quando, terminato il dominio spagnolo,
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l’”umile” Milano (C. Cattaneo) dell’illuminismo lombardo dei Pompeo Neri, Rinaldo Carli, Cesare
Beccaria, Pietro Verri avviò la stagione delle riforme del secolo XVIII, la stella polare di riferimento
tornò a essere la libertà e l’apertura della città, come Cattaneo ci descrive in una delle sue pagine
più belle: “Si cominciò a sciogliere i fedecommessi (…), si abolirono le mani morte; si rimisero nella
libera contrattazione i loro sterminati beni; si alienarono i pascoli comunali; si riordinarono le
amministrazioni de’ municipi; si rievocò l’educazione pubblica a mani docili e animate dallo
spirito del secolo e del governo; si abolirono i vincoli del commercio, la schiavitù dei grani, i
regolamenti che inceppavano le arti. La subitanea apparizione delle novelle merci inglesi e francesi
scosse il nostro torpore, fomentato dalle proibizioni spagnole e risuscitò per noi la vita industriale.
Si apersero strade, si soppressero barriere e pedaggi; (…) regnò la tolleranza di tutti i culti; e si
aperse ospite soggiorno agli stranieri che apportavano esempi di capacità e di intraprendenza”. La
Milano moderna, la Milano contemporanea o, meglio, i suoi caratteri di città aperta, attiva,
tollerante, capace di assorbire e metabolizzare persone e contributi provenienti da ogni dove, nasce
lì, da quella grande stagione. Ma si tratta di una applicazione moderna di una antica caratteristica,
come Bonvesin de la Riva ci documenta.
Dove poggiano le radici più profonde di questa caratteristica di fondo che attraversa i secoli e
scompare nei periodi bui e di oscurantismo, che certamente non mancano, per riemerge poi come
un fiume carsico, è difficile dire. Forse tali radici poggiano proprio sulla sua posizione geografica,
nell’essere la città di mezzo, collocata nell’aperta pianura. Non è arroccata su un colle, non è chiusa
nel fondo di una valle, non è nel mezzo di un golfo circondato di montagne, non è su un’isola
protetta da una laguna.
Ma per essere città aperta non è sufficiente giacere distesa nella grande pianura e ricevere
chiunque arriva e da qualunque parte arrivi. E’ necessario accogliere chi arriva e, a poco a poco,
integrarlo. Per far questo sono necessari un modello, una cultura, una identità, qualcosa da dire e
la capacità di dare, ma anche di prendere. Milano in questo è sempre stata grande: da Leonardo da
Vinci a Verdi, da Toscanini a Torelli Viollier, da Quasimodo a Montanelli, da Ambrogio a Montini.
Nessuno di questi grandi uomini che hanno fatto grande Milano, era qui nato. Nel 1888, a sette
anni dalla grande Esposizione Universale che segna il decollo dell’industrializzazione lombarda,
esce, per i tipi Aliprandi, un libro singolare, Il ventre di Milano, Fisiologia della capitale morale,
nel quale un gruppo di letterali si prefigge lo scopo di indagare ed, alla fine, di esaltare, il modello
milanese. In un delle pagine finali, Clerici sottolinea : “Tranne il Secolo non trovi un giornale
politico diretto da un milanese. Ma ciò è un bene, secondo me, E’ segno che questa è città attiva…
Essi hanno portato quella vivacità, quella varietà di spirito, di caratteri, di opinioni, di idee, di
usanze per le quali la nostra città va celebrata in Italia”. E sarà proprio il non milanese Torelli
Vollier, nell’editoriale del “Corriere della Sera” (Evviva Milano, Corriere della Sera 5 maggio 1881).
che annunciava l’apertura della grande Esposizione, a sottolineare un altro aspetto fondamentale
di Milano, città aperta, la sua fisionomia democratica e popolare: “Popolo, si dice, perché questa
parola ha appunto la comprensione necessaria a esprimere il complesso di Milano, la città più
popolare d’Italia, quella cioè dove, come esige il tempo moderno, il concetto universale di popolo
che tutti abbraccia e nessuno esclude di coloro che pensano e lavorano , ha la sua maggiore e più
bella estrinsecazione”.
Da qui dobbiamo ricominciare per trasformare l’allarme Milano nella speranza Milano.
Marco Vitale
 
 
 
Milano, 21 maggio 2009
Scritto per Il Corriere della Sera