Spunta in agenda la riforma RAI (Finanza&Mercati, 3 gennaio 2012)

 
 
Il quotidiano economico Finanza&Mercati pubblica oggi 3 gennaio una nota di Stefano Rolando (che è, tra l’altro, docente di Politiche pubbliche per le Comunicazioni all’università IULM di Milano e membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni) dedicata alla ventilata riforma della Rai, sintetizzando i nodi non solo “di conto economico” ma anche di bilancio sociale, culturale, civile che la riforma dovrebbe perseguire, puntando altresì ad una visione innovativa dei media nel panorama frenato dell’industria italiana delle comunicazioni. Per queste ragioni non una riforma di palazzo, in solo dialogo con il sistema dei partiti, ma anche una consultazione concentrata e programmata con i soggetti che rappresentano meglio coloro che finanziano la Rai, le imprese (pubblicità) e i cittadini (canone).
 
Finanza&Mercati
Martedì 3 gennaio 2012
Pag.1 e 8
In agenda il tema della riforma della Rai
Malata di politica, non sia curata dalla sola politica. Serve un patto con l’economia e la società.
Stefano Rolando
 
Nelle incognite del 2012 (l’economia tornerà in sicurezza? ci sarà crescita? il governo svilupperà la fase 2?, i partiti coglieranno l’occasione per rigenerare ruolo, natura e immagine? alla fine ce la faremo?) si affiancano problemi strutturali, percettivi e simbolici. I primi riguardano debito e sviluppo. I secondi riguardano fiducia e flussi comunicativi. I terzi riguardano il modo con cui viviamo il nostro patrimonio immateriale.
Vi sono istituzioni, agenzie, laboratori che – capaci di entrare nella vita di tutti – attraversano queste problematiche con funzioni al tempo stesso di freno o di slancio. Per esempio Bankitalia, malgrado il ridimensionamento generato da BCE, incide sull’economia, segnala fattori che toccano la fiducia, si colloca tra i poteri simbolici. Ad un livello diverso si collocano agenzie che spostano equilibri appunto strutturali, percettivi e simbolici. Sta in questo quadro, per esempio, l’Istat, circa le cui responsabilità (dire la verità, responsabilizzare) l’attuale transizione spiega molte cose. E vi sta – con rilevante forza sociale – la Rai, soggetto essenziale nella rappresentazione del dibattito pubblico. Il sistema economico la finanzia con la pubblicità, il sistema sociale la finanzia con il canone, il Parlamento ne esprime la governance, il Governo ne controlla la capacità gestionale.
Non è solo per l’idea di un’agenda potenzialmente resa possibile dal dopo Berlusconi che si torna a parlare di riforma della Rai. Tra il presidente Monti (anche ministro dell’Economia e azionista) e il ministro dello Sviluppo economico Passera (responsabile delle Comunicazioni) la questione sarebbe posta e misure sarebbero allo studio. Non solo organi in scadenza. Il ciclo della concessione di Stato va verso la fine e questo legame va rigenerato per tempo con strategicità. Da anni pare impossibile un teorema in verità molto difficile: mantenere un principio democratico senza generare lottizzazioni verticali che riducono libertà manageriali, professionali e creative; introdurre regole di equilibrio gestionale collocate in una economia integrata della cultura, dell’innovazione e dell’informazione; risollevare qualità di produzione e servizio contribuendo alle grandi cause nazionali del consolidamento identitario, della percezione critica della storia (in particolare in atto), della lotta all’analfabetismo di ritorno. Tre nodi legati. Scioglierne uno e non gli altri non risolve. Altri temi sono rappresentati da varie capacità: esprimere alleanze profonde con il sistema istituzionale ed economico del territorio; accompagnare seriamente nel mondo la reputazione dell’Italia e degli italiani; assicurare nel proprio quadro di lavoro sbocco per i migliori (formazione, selezione, concorsi). Per l’insieme di questi obiettivi la riforma non è solo un problema “romano” ma realmente un problema del paese.
Al sistema politico spetta un diritto di proposta. Ma al sistema di finanziamento sostanziale della Rai (imprese e cittadini) spetta un ruolo di condivisione, non risolvibile con scontata delega alla democrazia rappresentativa. Questo spunto di riflessione su un giornale economico è uno stimolo a far maturare proprio in soggetti economici e professionali l’emergere di punti irrinunciabili in questa riforma affinché essa non sia più ipotizzata dai partiti solo all’interno delle proprie regole, che – in materia di tv – soffrono non solo del conflitto di interessi ma soprattutto della malattia più seria della politica, quella di vendere l’anima per la propria visibilità. Quel laboratorio di democrazia partecipativa stentato ma pur sempre vivo in Italia (educazione, volontariato, azione civica, cittadinanza attiva, sindacato, soggetti della rappresentanza) ha il dovere di definire a sua volta le irrinunciabilità perché il patto di riqualificazione che questo Governo avrebbe la forza di tentare corrisponda a una cosa nuova e necessaria. Bastano pochi mesi per sviluppare con regole chiare un dialogo costruttivo che tolga alla riforma della Rai il rischio della manovra di palazzo. Per non trattare la Rai come azienda a cui applicare solo tagli di ragioneria, per non trattare la Rai come azienda che ammalata di politica sia curata dalla sola politica.
stefano.rolando@iulm.it