Spaesamenti. Una nota in blog di Fausto Colombo e un mio post.
http://laculturasottile.wordpress.com/2010/02/21/vita-dura-da-barone/#comment-906
Vita dura da barone
21 febbraio 2010
di Fausto Colombo
Sono stato in silenzio per un po’, perché c’è una vita off line che bisogna riprendersi ogni tanto, nella propria anima e nel proprio pensiero. E anche perché la cosa che devo scrivere aveva bisogno di venire fuori nel modo giusto, senza rabbie o risentimenti.Dunque: mercoledì entro in aula per la ripresa delle lezioni. Tra parentesi io odio riprendere le lezioni. Mi piace cominciarle, ma non riprenderle. Quindi detesto i corsi annuali, che hanno una lunga pausa a gennaio e febbraio, in cui noi e gli studenti ci perdiamo ognuno col suo viaggio ognuno diverso ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi… Ne consegue che entrare in aula mi pesa. Ma stavolta, le cose sono andate davvero al peggio del peggio. Primo perché il computer non era acceso, e il proiettore neanche. Il che rendeva inutile il mio lavoro di preparazione di materiali e di slides da mostrare. Avrei potuto naturalmente chiamare il bidello, farmi accendere tutto, ma avrei perso tempo e avevo un’ora sola a disposizione. Quindi ho pensato di andare a braccio, e che Dio mi aiuti. Ma forse era stanco forse troppo occupato, e non ascoltò il mio dolore, e così sono rimbalzato sul totale, ma dico totale disinteresse degli studenti. E’ difficile spiegare a chi non insegna cosa significa il disinteresse della platea. Più o meno succede così: ci sono due file attente. Non vorrei essere equivocato se dico che normalmente si tratta di studentesse. E’ così e basta. Il motivo per cui ciò accade è rinchiuso in una cassa di legno nel deposito della CIA accanto all’arca dell’alleanza. Poi ci sono le file di mezzo, scarsamente popolate. Infine ci sono le ultime file (possono essere una, due, ma anche dieci. Non è la conta matematica che le definisce, è la loro qualità). Le ultime file sono piene per definizione. E sono piene materialmente, senza scintille di umanità. Sono dense come una parete di cemento, ma mobili come le sabbie omonime, perché la gente va e viene, si gira avanti e indietro. Sono rumorose come la giungla, in cui i suoni sono potenziali pericoli e non riesci a non distrarti mentre cammini lungo il tuo discorso. E sono appunto organiche, ma non umane. Sono là, dietro una barriera che non sapresti definire, e che rifiuta per principio non le tue parole, ma qualunque parola possa venire dalla cattedra, o da più vicino (io non sto mai in cattedra, in nessun senso diretto o metaforico). Dunque io ho speso moltissimo tempo a cercare di richiamare con ogni mezzo la loro attenzione: con le minacce, le battute, la faccia incazzata, tutto, insomma. Ma non ci sono riuscito perché non era possibile. Loro non erano là come studenti, ma come massa amorfa in cui avevano deciso di confluire con un ancestrale senso della conformità e della vicinanza vegetale o animale. E avevano deciso così perché non erano quegli studenti, ma studenti e basta. Non erano quelle persone, ma solo le ultime file. E, infine, io non ero il loro professore, nel senso della persona che insegna quei contenuti, che parla loro in quel modo piuttosto che in un altro, che ha uno stile, una personalità, un sapere. Ma solo un’occorrenza astratta della categoria dei professori, che si oppone alla categoria degli studenti, e che nella nostra ormai vergognosa università non può mai interagire con essa, ma deve solo erogare servizi (lezioni esami informazioni discorsi tecnici dissertazioni finali tesi argomenti libretti statini) senza rompere e restando al suo posto. Il che naturalmente vale anche al contrario: anche per i professori come categoria gli studenti possono essere una categoria che dispensa rotture e fatiche e distrae dai propri interessi, of course. Ora, io detesto non esserci. Detesto il silenzio della vita. Devo aver avuto carenze affettive. Ma voglio essere io, non un’espressione astratta della categoria. E non sopporto di essere ridotto all’impotenza nel mio mestiere. E l’impotenza è non riuscire a trasmettere, non educare, non insegnare. Così non si può insegnare, davvero. Non so cosa inventerò alla prossima lezione. Ma un’altra lezione così, mai.Non è un fatto personale. Questa è la mia politica. Questa è la mia vita. Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti. Buon vento (Pubblicato in university)
Cari colleghi, vi giro questo post di fausto colombo che mi sembra cogliere molto bene la nostra situazione universitaria e mi pare farlo con un discorso che merita di essere discusso, considerando anche il fatto che viene dalla cattolica e dunque centra un problema che evidentemente non riguarda soltanto la iulm fatemi sapere. Un caro saluto
Alberto Abruzzese (25 febbraio 2010 h. 13.00)
Post di Stefano Rolando( 25, febbraio, 2010 alle 4:47 pm)
Il taglio di questa nota è molto bello. Soprattutto perchè Fausto deve averci pensato abbastanza per decidersi di trasferire così il suo “vissuto”, un tocco alla Truffaut. Alberto Abruzzese me lo segnala e quindi vuol dire che c’è condivisione attorno a questo allarme pacato. Io rispetto molto questi punti di vista. Ma – “oggi”, inteso come un’isola congiunturale – sto sperimentando un contesto quasi opposto. Ho alzato il livello critico delle mie lezioni, cioè ho introdotto un po’ (lo dico sempre nel rispetto di una certa neutralità della didattica) di “indignazione” civile nell’argomentazione e nei riferimenti ai contesti. Pongo al centro il problema del percorso di questi tre maledetti e pochissimi tre anni che non possono non avere sbocco (a Scienze della Comunicazione) in una percezione critica e non solo tecnica della materia. Questo approccio obbliga a misurare molto le parole. Ma anche a cercarne alcune in profondo. E’ vero che restano le ultime file in mormorio ma l’area di attenzione (vero che è femminile quella della prime) si è molto ampliata rispetto agli anni scorsi e – oso dire – anche la tenuta dell’aula nel progredire del tempo. Chiedo scusa, di questa “vanteria”. Non credo sia problema di persone. Fausto Colombo è tradizionalmente molto apprezzato dagli studenti. Volevo solo segnalare che ho trovato – proprio quest’anno – un po’ più di ciò che chiede lui, soglia di responsabilità, persino al primo anno.