Sandro Pertini. Pagina di diario del 25 aprile 1985 (da “Quarantotto”, ed. Bompiani)

Stefano Rolando
Quarantotto
Argomenti per un bilancio generazionale
Bompiani, pagg. 668 – 2008
 
 
Tratto dal capitolo
Politica e istituzioni. Il grande teatro
Sandro Pertini. In tre tempi
        1982, l’anno del Mundial. Viaggio in Francia col presidente
        1985, quarantennale della liberazione. Sulla fine di Mussolini
        1989, Pertini e Wojtyla. Una polemica che scoppierà nel 2007
 
Quarantennale della Liberazione. Sulla fine di Mussolini
 
1985. Il presidente va verso la fine del suo mandato. La popolarità è grande. Il suo ruolo nel rapporto tra istituzioni e paese è in questa fase di equilibrio e garanzia rispetto all’impeto stesso con cui da due anni il governo Craxi è riuscito a mantenere il timone del quadro politico. La “dialettica” tra i due presidenti è di carattere, di ruolo ma anche di interpretazione dei costumi. La centralità dei socialisti – pur nelle loro distinzioni – è comunque un dato dello scenario di questa metà decennio. Porterà a inevitabili conflitti. Carla Pertini resta a guardia della “vita privata” del presidente e della loro originalità di coppia. L’episodio, che fu subito contenuto in una inedita pagina di diario, è in fondo una di quelle private pagine domenicali. Ma per la particolarità della data (il 25 aprile) e per i contenuti di memoria che affiorarono, trova posto in questa selezione di pochi momenti del decennio. A giugno di quell’anno Giuliano Amato mi avrebbe chiamato a Palazzo Chigi, mentre il settennato di Sandro Pertini andava a scadenza. Loro in vita (i Pertini), i contenuti di quelle domeniche sarebbero stati fermamente posti sotto silenzio. Ora non mi sembra sbagliato mettere in parzialissimo rilievo ciò che restituisce non solo al presidente ma ad entrambi loro la forza e la vivacità di una tempra tutta particolare.
 
Roma, 25 aprile 1985. L’arrivo era annunciato per le 13. Dopo la cerimonia all’altare della Patria a alle Fosse Ardeatine, direttamente a casa. Invece il primo campanello è squillato alle 10 e tre quarti. È la Carla, arrivata per conto suo. Per fortuna ho fatto in tempo a vestirmi fulmineamente, mentre Renata ancora stava a lustrare casa e a preparare il pranzo in vestaglia.
La provvida recente installazione di un videoregistratore nel mio studio ha consentito un’ora di intrattenimento, mentre altrove in casa si acceleravano i preparativi. Ma alle 11 e 10, ancora in contropiede, suona il telefono. Un brigadiere della polizia addetto al servizio di sicurezza annuncia l’arrivo del corteo presidenziale. Mi precipito per le scale e facendo gli scalini a tre a tre riesco, per un soffio, ad arrivare al cancello mentre ancora Sandro distribuisce inutilmente alla scorta dispense dal restare in servizio, ipotizzando un impensabile rientro a casa accompagnato dai suoi amici o addirittura “minacciando” un ritorno in taxi. Per comprovare le impossibili direttive ho dovuto confessare sui due piedi la rassicurante proprietà di una macchina in condizioni da effettuare il riaccompagnamento. Con i Pertini è arrivato un grande mazzo di garofani rossi, che abbiamo distribuito in due vasi in vista. Alcune rose ugualmente rosse hanno presto reclinato il capo al caldo delle stufe elettriche tenute accese anche per il timore del raffreddore di Sandro. Dal bagagliaio della limousine escono altri regali: un dolce, omaggio popolare al presidente, tutto ricamato con iscrizioni al cioccolato; un delicato lambrusco e uno spumante italiano. La giornata è trascorsa insieme fin oltre le 19. Abbiamo visto un documentario, prodotto per mia iniziativa dall’ Istituto Luce, su Milano negli anni venti e trenta e trenta, il film di Giuseppe Bertolucci “Segreti segreti”, la registrazione a Cinecittà della visita del presidente, un omaggio ad Anna Magnani e – solo per la Carla –   una trasmissione di Renata per Raitre sui problemi del cancro.I Pertini hanno molto ammirato Lina Sastri (soprattutto nella interpretazione di “Reginella“), si sono commossi ad alcuni passaggi dell’omaggio alla Magnani (quelli con i suoi spezzoni cinematografici) hanno preferito il secondo tempo al primo (un po’ lento) del film di Bertolucci, hanno lodato il documentario storico su Milano che, tuttavia, ha colto il presidente in qualche momento di leggera pennichella. Ma ha riconosciuto, in un immagine del centro storico degli anni venti, la casa di Filippo Turati da lui frequentata.
A pranzo e subito dopo pranzo, grande vivacità del presidente e voglia di raccontare. Qualche telefonata di amici è ammessa (tra cui quella da Firenze di Elena Mannini e Italo Dall’Orto, reduci da un gran successo di teatro che vogliono raccontare). Due discorsi meritano queste immediate anno­tazioni. Pur con spunti diversi, essi sono uniti dalla lettura dei rapporti di Pertini con i leaders storici del socia­lismo italiano. Rapporti notoriamente non facili, perché la ruggine con Nenni è sempre stata dichiarata,quella con Lombardi  neppure troppo dissimulata. Sono io a descrivergli un recente incontro con Cesare Musatti (per la realizzazione di un filmato-intervista sulla sua vita) con specifico riferimento alla prima gioventù e ai rapporti con il padre deputato socialista pre-fascista (“nel cuore massi­malista – ricorda Musatti – ma per i legami d’affetto con Turati riformista“). Il discorso ai sviluppa attorno alle figure dei sindacalisti dell’epoca e alla stessa personalità di Mussolini. Pertini – che rimpiange di non aver potuto nominare Musatti sena­tore a vita e che si è piuttosto divertito alle mie descrizioni – racconta alcuni passaggi della vita di uno scomparso leader del socialismo di estrazione contadina e sindacale, Alessandro Bocconi (parlamentare di Jesi in quegli stessi anni dieci in cui il padre di Musatti era parlamentare di Venezia) .Bocconi testimoniò più volte a Pertini che, dopo l’alleanza personale tra Mussolini e Nenni negli avvenimenti della “settimana rossa” (Mussolini socialista e Nenni repubblicano), in Emilia e Romagna – e anche più giù lungo la costa adriatica – si stabilì una sorta di alleanza, o almeno di convergenza, tra repubblicani e agrari. Dice Pertini: “Qui non voglio fare più polemiche, ma le bastonate ai contadini socialisti pare che vennero anche da mani repubblicane”. Bocconi riferiva di aver ricevuto legnate  dallo stesso Nenni in gioventù. Racconta Pertini : ” Io, anni dopo, avevo chiesto spiegazioni a Nenni. In questi casi lui faceva la sua bocca a culo di gallina e mi diceva: ma cosa vuoi, non è proprio andata cosi. Ma invece era proprio andata così. Le legnate a Bocconi anche Nenni gliele aveva date”.Lo spunto del dopo-pranzo viene dal 25aprile. Oggi é il quarantennale. Da giorni i quotidiani ne parlano. Il recente filmato di Al­berto Negrin in televisione lo ha riproposto. E poi lo stimolo del filmato su Milano che Sandro ha appena visto e che lascia Musso­lini e Milano protagonisti di alcuni silenzi inquietanti, carichi ancora di domande e di enigmi. Il discorso cade inevitabilmente sulle ultime ore di Mussolini. E questo é, oggi, il punto di vista di Sandro Pertini. “Ero alla CGE occupata. Dentro c’erano gli operai asserragliati. Con loro c’era anche la Carla. Andai dentro per parlare, per tenere un discorso. Appena terminai di parlare mi informarono che a Mila­no, in Arcivescovado, c’era Mussolini. Mi sbrigai per arrivare lì, dietro piazza Duomo, accompagnato da Sereni e da Valiani. Ma lui se ne era già andato. Ho sempre pensato che, in quell’occasione, Lombardi non si sia comportato. con lealtà. Li c’era appunto Lombardi, come rappresentante del Partito d’Azione. C’era anche l’avvocato Marazza della DC e c’era Cadorna, oltre a Monsignor Bicchierai e, naturalmente, al cardinale Schuster. Insomma c’erano tutti, meno i rappresentanti socialisti e comunisti. Max Salvadori me lo ha confermato. La discussione in realtà verteva sulla resa di Mussolini e sul problema della sua consegna agli alleati. Li e non in Prefettura. come hanno poi detto. Infatti Salvadori mi ha definitivamente chiarito che lui stava con la macchina nella via dietro l’Arci­vescovado, pronto a prendere in consegna Mussolini – se questo fosse stato deciso e concordato nel corso della riunione – per portarlo al comando alleato. Salvadori era l’osservatore inglese presso il CLN dell’alta Italia. Partecipava alle nostre riunioni, anche se non a tutte. E qualche volta prendeva anche consultiva­mente la parola. Ebbene Riccardo Lombardi ha sempre tergiversato su quell’ episodio. Secondo me non mi ha mai voluto dire la veri­tà. Anzi dico meglio : mi ha sempre elegantemente mentito. Infatti il nostro obiettivo era quello di assicurarci noi Mussolini vivo. Non di lasciarlo agli alleati. Ma Mussolini era anche molto ri­cercato da Churchill, per via di un pacchetto di lettere compro­mettenti che, non a caso, Mussolini portava strettamente con sé in quei giorni. Per questo il comportamento di Lombardi non fu molto leale”. Domando, ma in tutti questi anni non c’è stato modo di chiarirsi, di parlare dei fatti e delle ragioni che improvvisamente la storia aveva fatto convergere in un unico drammatico epilogo? “Sì, ne abbiamo parlato, ma sempre in modo non esaustivo. Ed é questa, in fondo, la ragione per cui non l’ho fatto sena­tore a vita. Intelligente, capace quanto si vuole, politicamente meritevole. Ma con me non fu leale. Difatto Mussolini se ne va via con i tedeschi dirigendosi verso Como. E Longo manda i suoi uomini in quella zona”. Davvero l’epilogo. Qual è la tua versione?“Come si sa, dopo la cattura, Mussolini viene giustiziato. Si é detto da Audisio. Audisio io lo conoscevo poco. Si, lo avevo incontrato al confino, ma pochi contatti. Però la verità di Dongo é stata un’al­tra. Mussolini é stato sbrigativamente fucilato, non da Audisio, che non era ancora arrivato ma da un partigiano comunista che si chiamava Moretti. Michele Moretti, commissario politico nella 52 brigata Garibaldi, che era presente fin dalla cattura. Tu hai mai sentito questo nome? No ? Vedi quanta segretezza c’é stata per anni su questa vicenda. Ma fu così. Moretti sventagliò il mitra contro Mussolini e colpì anche la Petacci che si era gettata nella linea di fuoco. Solo più tardi arrivò Audisio e non gli restò altro da fare che scaricare il suo mitra su Mussolini e la Petacci. Ma il PCI impose a Moretti il silenzio. Io conosco bene i comunisti. Quando si impongono di tacere, tacciono. E Moretti non ha mai parlato. Anche se ha fatto la mi­seria, negli anni seguenti. Zitto, un po’ anche per timore di rapp­resaglia fascista. Ma soprattutto per vincolo di partito. Ebbe­ne, una volta lo dissi ad Amendola di Moretti che faceva la fame. Lui sapeva che io sapevo gli avvenimenti, ma Amendola preferì glissare sull’argomento. Dategli almeno da campare a Moretti, dissi. Non per premiarlo del fatto che ha ammazzato Mussolini, ma perché ha man­tenuto perfettamente il silenzio. D’altronde é chiaro: il PCI, negli anni ormai della legalità democratica e repubblicana, non poteva consentire la versione di un’esecuzione sbrigativa avvenuta senza gli ordini giusti“.
Ecco i discorsi che lasciano il fiato sospeso nell’aria. Sandro si é accostato al caminetto, che normalmente alimenta con quantità industriali di legna. Preso dal racconto,invece, la brace é ormai ai minimi termini e lascia perciò alcuni punti di sospensione per recuperare un fuocherello probabilmente senza speranze. Ma le domande, naturalmente, incalzano. E le lettere diChurchill ?
Quanto a quelle lettere – riprende con la stessa lena con cui prende il fuoco – Churchill stesso andò nell’immediato dopoguerra a Cadenabbia. Vi rimase qualche giorno, apparentemente con la scusa di riposarsi e dipingere. In realtà era preoccupato che soprattutto i sovietici potessero creare problemi agli inglesi a partire proprio da ciò che quelle famose lettere scambiate con Mussolini rivelavano. Certamente Moretti le consegnò a qualcuno con cui era in contatto politicamente. E questi non poteva che essere un comunista di piena fiducia del partito. Pare – anzi su questo credo che ormai vi sia certezza – che Churchill riuscì a ricomprare il carteggio, pagandolo in sterline sonanti”. Sandro ha il raffreddore in questi giorni. Il racconto glielo ha fatto un po’ dimenticare. A mezzogiorno aveva provato la temperatura: 36 e 8. Un gesto, come per dire “insignificante“ Ma accetta di coprirsi di più perché, ormai a fine aprile, il riscaldamento in casa é solo quello di fortuna. La soluzione migliore sembra un “poncho” di lana blu, peruviano. Si assicura che ci sia spazio per manovrare la pipa e poi, divertito, si addobba un po’ alla Garibaldi. Ecco una bella fotografia mancata. La potevamo mandare a Bettino Craxi, no? Glielo dico, ci ride. Così gira per casa, fino a metà pomeriggio. Ad una certa ora chiede di restar solo, come chi deve fare telefonate riservate. Oppure appisolarsi. Niente di tutto questo. E’ il rito della lettura dei giornali. Ne ha circa una ventina con sé, oltre alle agenzie accuratamente ritagliate dal Servizio stampa del Quirina­le. Li avvicina, uno ad uno, ad un centimetro dagli occhi. E poi li consuma con precisione e regolarità. Lo lasciamo solo, insomma, e restiamo con la Carla nel mio studio a vedere l’ultimo programma televisivo curato da Renata sull’iter clinico e psicologico del malato di cancro. Carla apprezza molto la sobrietà e la comunicativa di Renata, quando parla intervistata. Dice che il programma non é inquietante, che può raggiungere la gente perché si fa capire da tutti. Loda molto Renata che é contenta diquesto sincero apprezzamento. A fine programma – proprio sui titoli di coda – la porta esterna, quella sul pianerottolo, vibra tempestosamente. Forti colpi scandiscono un’urgenza. Apriamo incuriositi e c’é fuori Garibaldi in finta protesta : “Ma come ? Mi avete abbandonato ! Mi avete lasciato solo ! Sono passato dalla cucina,ma la cuoca non mi ha neppure degnato di uno sguardo. Ero infreddolito. Completamente abbandonato. Così non mi restava altro che uscire dalla porta …. Ecco… “. Risata generale e il povero profugo viene accolto nel salotto riscaldato del mio studio, dove é sistemato il videoregistartore. Ne approfitta per leggere ancora quello che trova sotto gli occhi per caso. E’ l’ultimo numero dell’ Europeo. Sfoglia e arriva rapidamente ad un articolo di Michele Drieduszycki sulle presunte responsabilità di Concetto Marchesi nell’esecuzione di Giovanni Gentile. Legge tutto, con un occhio talvolta lanciato al televisore dove Anna Magnani recita, canta, sospira e qualche volta teneramente impreca. Scuote la testa. “No… non mi pare … non é credibile…Lì c’era esasperazione a causa della banda Carità. I GAP comunisti fecero quell’ esecuzione, in sé sbagliata, per colpire quello che credevano legittimasse l’ operato anche di certi delinquenti. Ma in verità Gentile si stava adoperando per la pacificazione, non certo per la violenza ” . E’ ora di pranzo. Il “poncho” comincia a fare il suo effetto. La comitiva é in partenza e, attraverso la cucina, si ritorna alla sala da pranzo. Carla ha ordinato da qualche giorno i gnocchi con la fontina. E il primo piatto appena servito é tutto un giro di fili di formaggio che scorrono da un piatto all’altro, da una forchetta lanciata verso il cielo nel disperato tentativo di liberarsi da questa rete fino ad un’ altra forchetta corsa inutil­mente in aiuto della prima. Ancora risate di tutti. Ma il presidente sorride un po’ più degli altri. Lui dei gnocchi se ne infischia. E sta col suo brodo in tazza.