Risorse per il nord. A margine di incontri a Milano con ministro Barca (Finanza&Mercati,3maggio12)
Finanza&Mercati 3 maggio 2012
A margine di un’agenda milanese del ministro Barca
A margine di un’agenda milanese del ministro Barca
I risvolti nord della coesione territoriale
Stefano Rolando
Il ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca ha messo in agenda, nei giorni scorsi, una giornata a Milano. Articolando i suoi impegni senza cercare i riflettori, ma senza risparmiare argomentazioni rispetto a diversi interlocutori. Così che anche i media, magari coinvolti negli incontri, non hanno forse soppesato appieno il contenuto di notizie riguardanti la comunità milanese e in generale il sistema nord.
Riprendiamo qui una parte di quel contenuto, perché il vizio dei milanesi – quando si tratta di rapporti con il governo – è sempre stato quello della “sindrome del commenda”: analisi sommaria del contesto istituzionale e ipotesi di aggiustare le cose relazionalmente (per usare un eufemismo). Piaccia o no, un governo di tecnici abituati a far quadrare decisioni e risorse sfruttando a fondo le normative nazionali e comunitarie, obbliga a trovare invece il vantaggio competitivo “relazionale” non nelle pacche sulle spalle ma nella connessione informativa.
Da quella agenda milanese si è appreso:
– che l’utilizzo dei fondi per lo sviluppo è essenziale per carburare l’ipotesi che i più fanno che se ci sarà ripresa essa partirà da Milano;
– che tali fondi oggi coniugano due terzi di risorse comunitarie e un terzo di risorse nazionali certe;
– che Bruxelles non vincola (come spesso si crede) la partnership ai soggetti regionali, di solito più attrezzati nelle istruttorie ma alla fine portatori di istanze limitate così da sfruttare parzialmente le potenzialità;
– cosa che per Regione Lombardia significa un attuale utilizzo non superiore al 35% delle disponibilità;
– che città e imprese possono progettare autonomamente in direzione di questi fondi;
– che la progettazione deve essere costruita su una cultura del risultato che comprenda adeguate procedure valutative;
– che gli enti locali possono disporre spesa a valere sui fondi comunitari in deroga al patto di stabilità per un miliardo di euro all’anno fino al 2014;
– che un quarto abbondante di quelle risorse (diversamente dall’idea corrente che esse siano integralmente destinate al Sud) è invece destinato al Nord;
– che al centro delle priorità nella destinazione dei fondi c’è l’idea di migliorare a tutti i livelli e in tutto il territorio nazionale la qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese, i beni collettivi.
Da queste informazioni di base si possono dedurre alcuni spunti di orientamento per un governo dello sviluppo dei “luoghi”.
Non c’è progetto sano senza visione. Visione è scelta del punto di arrivo, non una farraginosa pianificazione che dettagli ragionerie incomprensibili. E’ capacità della comunità di esprimere una domanda di futuro e della classe dirigente di selezionare percorsi adatti per raggiungere gli obiettivi. Anche la vecchia forma della “pianificazione strategica” cambia e cambia in direzione di una flessibilità di patti e progetti che comportano governo a rete, non sistemi di autorità piramidali.
In questa dimensione a rete il rapporto tra le autonomie territoriali (istituzioni in senso stretto) e le autonomie funzionali è decisivo. A condizione che sistema camerale e sistema universitario agiscano fuori dai ghetti e nella pratica costante della co-progettazione dello sviluppo. Milano ha potenzialità alte ma condizioni reali di sinergia non a regime.
In questa dimensione a rete la sprovincializzazione della capacità progettuale della città deve essere esplicita. Milano ha 4.000 multinazionali radicate nel territorio e le deve vivere sempre più come partner di ricerca e sviluppo, non solo come terminali commerciali.
Infine vi è un problema di adeguatezza della burocrazia alla cui formazione università e imprese devono essere sensibili. Se è vero che la svolta politica di Milano sta nel patto tra partiti e società per condividere la gestione, ciò vuol dire che anche le infrastrutture di governo non sono patrimonio esclusivo della politica e che vanno sperimentate a fondo nuove forme di alimentazione.
Insomma, la Milano di Pisapia e l’Italia di Monti sono certamente due cantieri attivi di quel traguardo che va sotto il nome di “terza Repubblica”, pur nelle loro diversità politiche e rispetto al mandato popolare. Per migliorare la sinergia si deve pensare che il “buon governo” influenza anche la per ora fragile capacità di autoriforma dei partiti che è una componente rilevante per ridurre il rischio che la transizione finisca con la morale del Gattopardo e non con quella del cambiamento. Giornate di confronto come quella impostata dal ministro Barca a Milano aiutano in questo approccio.