E’ in corso (2012-2013) una stretta collaborazione tra la cattedra di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica dell’Università IULM di Milano (prof. Stefano Rolando) e il prof. Paulo Nassar (docente di Scienze della Comunicazione all’Università di San Paolo del Brasile e direttore generale di Aberje, associazione nazionale brasiliana dei comunicatori di impresa e delle istituzioni).
Il tema della reciprocità di immagine tra Italia e Brasile è al centro del comune lavoro di ricerca, nel cui quadro il prof. Nassar è stato ufficialmente accolto – per iniziativa del preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione prof. Gianni Canova – come visiting professor all’Università Iulm di Milano e il prof. Rolando ha svolto a San Paolo del Brasile lezioni e conferenze.
Rivista italiana di comunicazione pubblica – on line nelle pagine di FB – ha dato conto di materiali realizzati in collaborazione tra i due ricercatori e anche individualmente, che si andranno componendo nel testo finale delle analisi in corso. La ricerca tiene conto anche degli avvenimenti mondiali che impegnano tra il 2014 e il 2016 i due paesi e soprattutto le città di Milano, San Paolo e Rio de Janeiro (Mondiali di calcio in Brasile nel 2014, Expo-Esposizione Universale a Milano nel 2015 e Olimpiadi in Brasile 2016).
Nel 2014 sono previsti due eventi (che prevedono iniziativa e partecipazione dei professori Nassar e Rolando):
– nelle due maggiori città brasiliane un evento sul tema “Branding di città globali: Milano, Rio de Janerito e San Paolo del Brasile“;
– a Milano – nel quadro del programma Brand Milano in attuazione tra Comune di Milano e Triennale – un Forum internazionale dedicato all’identità e all’immagine della città di Milano.
Il testo che fa seguito è l’ultima elaborazione nel campo di indagine, realizzato da Paulo Nassar in collaborazione con Patricia Cerqueira Reis (docente e ricercatrice ECA-USP). sul tema “Rio, come marchio della comunicazione di Rio +20“.
Rio come marchio nella comunicazione di Rio+20
Patrícia Cerqueira Reis
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Riassunto
La città di Rio de Janeiro è un marchio inserito nel mercato globale delle città, per questo si caratterizza con una sua identità, con dei suoi valori e delle narrative che le sono proprie; il legame con queste ultime conferisce in qualche modo valore ai discorsi delle istituzioni pubbliche o private. Ciononostante, il “marchio” di una città non appartiene ad un unico ente. Il “marchio” di una città appartiene alla città, vista come istituzione e a tutti coloro che la compongono e consumano nei più svariati aspetti presenti del quotidiano. Così quest’articolo analizza la formazione dell’identità nel “Marchio Rio” nei messaggi veicolati in broadcast e socialcast collegati alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’evento per lo Sviluppo Sostenibile – Rio+20, nel periodo che va da maggio a giugno del 2012.
Parole chiave
Città; narrativa del marchio, Rio+20; Memoria organizzativa.
Abstract
Rio de Janeiro is becoming a brand in the global market of cities. Being linked to its identity, values, and narratives adds value to public and private institutions’ images. However, the brand of a city doesn’t belong to a single entity. It belongs to the city itself and to all the people who are part of the city’s various dimensions. This paper analyses the building of Rio’s brand identity through the messages that were broadcast and socialcast during the United Nations Conference on Sustainable Development (Rio+20), from May to July 2012.
Keywords
City, Narrative of Brand, Rio+20; Organizational History
Introduzione
L’entrata in scena della città di Rio de Janeiro a livello mondiale ha subito varie trasformazioni nel corso degli ultimi anni. La fama di una città conosciuta appena come paradiso del samba e del Carnevale e per l’esuberanza dei suoi abitanti e della natura, cede il passo all’immagine di una città che vuole competere nello scenario internazionale come opzione di investimento, per il turismo e la realizzazione dei grandi eventi. Sin dal 2007 avvengono una serie di trasformazioni che cambiano la città, da quando i tre livelli di governo – municipale, statale e federale,- hanno unito le loro forze, facilitando e aprendo le porte agli investimenti pubblici per la realizzazione dei programmi di governo e l’implementazione delle politiche pubbliche. Una grande mobilizzazione della macchina governativa tecnico-burocratica, unita allo scenario economico, politico e sociale che il paese attraversa, ha fatto in modo che la città di Rio de Janeiro fosse scelta per ospitare diversi eventi d importanza e visibilità mondiale, come la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20); la Giornata Mondiale della Gioventù 2013; la Coppa delle Confederazioni del 2013; i Mondiali di calcio FIFA 2014 e i giochi olimpici e Paraolimpici del comitato olimpico internazionale.
Questa successione di avvenimenti conferisce alla città di Rio de Janeiro una visibilità più qualificata e la ricolloca, altresì, nello scenario nazionale e internazionale. Rio de Janeiro diventa una grife. Un marchio che possiede un’identità, dei valori e delle narrative che gli sono proprie; è legandosi a questi ultimi che si crea valore aggiunto ai discorsi delle imprese, istituzionali e del terzo settore.
Volendo fare un’analogia tra il marchio territoriale e il marchio corporativo, è possibile affermare che le esperienze connesse al consumo e alla percezione del marchio territoriale hanno un’ampiezza che trascende i limiti metodologici e proprietari della marca corporativa. La marca di una città appartiene alla città stessa e di conseguenza a tutti coloro che la compongono e l’attraversano. Seguendo questa logica, l’immagine della marca città non è un prodotto esclusivo delle narrative sorte con l’azione di mercato e istituzionali del governo della città, ma si configura anche come un prodotto d’autore includendo coloro che vivono e consumano la città in qualità di visitatori, o ancora la sperimentano da imprenditori, e investitori. Si tratta di un autore che firma e produce il marchio-città, in una “logica concettuale e comportamentale ‘opposta’ al mainstreaming socioculturale” come segnalato da Morace (2009, p.11). L’opinione pubblica non si allontana dalla narrativa del governo della città creando anch’essa innumerevoli narrative sul marchio-città, avendo come riferimento l’arte, il design, la tecnologia, le nuove forme di comunicazione, di consumare e vivere – partendo dalle proprie esperienze nell’ambito dei servizi, dell’intrattenimento, dell’ospitalità, della sicurezza, della logistica ed ulteriori aspetti del quotidiano urbano. Espressione di tutto ciò sono rappresentate dall’arte urbana dei graffiti, le incisioni, la città fotografata dal cittadino, dal viaggiatore e dal turista su Instagram, nelle pagine di Facebook, nei prodotti audiovisuali di Youtube, i racconti di viaggio dello scrittore non professionista trasformati in libro, tra le altre forme di raccontare e costruire l’immagine del marchio-città. Ad ogni modo tutti parlano della città. Per questa ragione nasce un marchi-città liberato dalle grandi narrative dello Stato e delle istituzioni.
Il marchio Rio nel broadcast e socialcast
Un ritratto di queste narrative è stato realizzato partendo dalle interviste fatte sul “marchio-rio” con vari intellettuali, allo scopo di analizzare la formazione dell’identità del “marchio Rio” nei messaggi veicolati in broadcast e socialcast, nell’intervallo di tempo compreso tra il 22/05/2012 al 05/07/2012; messaggi relativi alla Conferenza delle nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Rio+20.
Per fare ciò è stata adottata una metodologia, secondo Vergara (2007), esploratrice, documentale e bibliografica, scegliendo come caso di studio della realizzazione di Rio+20 nel giugno del 2012 nella città di rio de Janeiro. L’inquadramento teorico concettuale è stato messo tenendo conto della dimensione del marketing territoriale e delle marche territorial; un’analisi critica della comprensione e gestione della città come logomarca partendo proprio da una serie di interviste fatte sul tema con intellettuali brasiliani di diverse aree di studio e pubblicate nell’inserto Prosa e Verso nel quotidiano O Globo il 6 agosto del 2011 e dalla revsione del concetto di sfera pubblica e della formazione di un’opinione pubblica di Habermas, Luhmann e Lippmann. I dati del caso di studio sono stati uniti attraverso un clipping di notizie su carta stampata ed elettroniche, nazionali e internazionali; dal clipping di annunci pubblicitari diffusi nella versione a stampa nei principali giornali di Rio de Janeiro – O Globo e O dia; dalla mappatura degli hashtags Rio+20 e Riomais20 su Twiter nel periodo compreso tra il 23/4/2012 al 20/5/2012; e dalla mappatura delle pagine e gruppi di facebook nella ricerca del topico Rio+20. L’11/7/2012.
Il Marketing territoriale e le marche territoriali
Il Marketing territoriale si riferisce alla pianificazione allo scopo di mantenere e attrarre affari, contribuire allo sviluppo del turismo, promuovere le esportazioni e gli investimenti stranieri in alcune località, incorporando a questo stesso concetto l’idea di concorrenza e posizionamento sviluppati inizialmente per il marketing corporativo (Mendes 2006). Alcuni lavori sono stati pubblicati nelle due ultime decadi sul tema e gli approcci si differenziano in funzione:
· Delle relazioni tra i concetti classici di marketing e la sua protezione nella dimensione territoriale (Ashworth, 1990 e Kotler, 1994).
· Degli impatti nella cultura e nell’identità locale delle campagne di comunicazione di massa utilizzate nelle grandi trasformazioni urbane e avvenimenti territoriali (Kearns e Philo, 1993).
· Delle questioni dello sviluppo locale in una prospettiva di pianificazione e gestione del territorio in modo relativamente strutturato e istituzionalizzato, così come associato agli interventi di natura urbanistica significativi per la nozione di identità e nella cultura degli abitanti, ampliando la comprensione ben oltre la dimensione del “Promotion” (Texer, 1993; Cidrais, 1998; Antonio, 2010).
· Delle potenzialità dello spazio connesso al sentimento di paura, insicurezza e violenza (Neil, 2001).
· Delle pratiche adottate nel marketing territoriale per aumentare l’attrattiva e il valore di uno spazio (Rainsto, 2003).
· Delle strategie utilizzate per alterare l’immagine negativa del territorio e anche le possibili tecniche di diffusione di messaggi che contribuiscano in qyesto senso (Avraham, 2004).
· Della necessità di sviluppare un posizionamento e un’immagine forti e attraenti, di sviluppare incentivi per i diversi compratori di prodotti e servizi locali in modo da mettere in risalto i differenziali offerti (Kotler, 2006).
La marca territoriale è l’oggetto del marketing territoriale. Studi realizzati presso l’Università di Lisbona rafforzano l’idea che l’identità della marca territoriale sia intimamente legata ai riferimenti e alle narrative storiche e culturali delle regioni. All’interno delle regioni che sono diventate marche con identità ancorate alla storia, cultura e alle caratteristiche delle sue organizzazioni e catene produttive, vi è, ad esempio, il caso del municipio di Marvão, localizzato all’interno del Parco Naturale di São Mamede (Lages, 2010).
Simon Anholt (2004) ha realizzato vari studi sulle marche territoriali e afferma che la sua costruzione coinvolge non solo le persone che vivono in un luogo , ma anche ciò che in quel luogo viene fatto, essendo necessario uno sforzo per comunicare le qualità e le aspirazioni della popolazione, in modo che “si viva il marchio” in modo competitivo. Per l’autore, la coerenza tra le evidenze del luogo e la comunicazione del marchio territoriale è necessaria al fine di inserirla nell’ambito di un mercato mondiale dove i luoghi competono tra loro per ricordi, investimenti e talenti.
Una strategia di marchio territoriale si configura come un modo di definire e comunicare realisticamente, competitivamente e attrattivamente una visione del il paese, regione o città. Le migliori strategie riconoscono che la principale risorsa per la maggior parte dei luoghi, in qualità di fattore determinante della sua “essenza di marchio”, sono le persone che vivono là e le cose che si producono in quello stesso posto. Si tenta dunque dunque di trovare forme per indirizzare le energie della popolazione verso una comunicazione migliore delle proprie qualità e aspirazioni. Ciò equivale nel place-branding a “vivere il marchio” in capo commerciale. In tutti i casi è essenziale assicurare che la visione del luogo sia supportata, rafforzata e arricchita da tutte le azioni di comunicazione. Questa coerenza nella comunicazione è necessaria perché, nel mondo globalizzato che viviamo oggi, ogni luogo deve competere con tutti gli altri luoghi nella memoria delle persone, attraverso proventi, la disputa dei talenti e per la presenza nelle conversazioni delle persone. Soltanto i luoghi che rappresentano qualcosa hanno una minima chance di poter competere per entrare in questo prezioso spazio rappresentato dalla memoria delle persone (Anholt, 2004, p.214, tradotto dagli autori).
Anholt (2004) ha elaborato un esagono delle categorie base della comunicazione di un marchio territoriale.
Turismo – l’aspetto maggiormente visibile del marketing territoriale e dove convergono i maggiori investimenti. Rappresenta solo una parte dell’immagine del marchio territoriale e ha bisogno di unirsi agli altri canali di comunicazione per attivare il potenziale del marchio nel suo complesso.
Marchio da esportazione– è un potente distintivo che il marchio territoriale può offrire basandosi sulla sua principale vocazione. “Made in japan” si presta ad una serie di percezioni nel mercato dell’elettronica, così come il “Made in Italy” le offre nel mercato della moda. Si tratta della forma più potente di costruzione e sostegno di un marchio territoriale.
Politica interna ed esterna – l’immagine dei luoghi si costruisce anche per il modo in cui i suoi liders operano internamente ed esternamente e anche questa dimensione deve tener conto delle strategie del marchio. Quando la politica agisce in sinergia con gli altri canali, si presentano modi più rapidi per stabilire la posizione di un luogo nella comunità globale.
Investimento e immigrazione – molti tra i migliori esempi di crescita rapida durante il secolo scorso hanno avuto luogo perché alcuni luoghi sono diventati delle vere e proprie calamite per imprese di talento, di investimento e di affari. Un marchio potente e consistente può aiutare a creare delle preferenze positive.
Cultura e patrimonio – luoghi che affrontano la crescita appena come una questione puramente economica, corrono il rischio di sviluppare un’immagine bidimensionale, di esclusivo interesse per investitori e speculatori, rappresentando un paradiso fiscale. Cultura, patrimonio e sport forniscono la terza dimensione conferendo al luogo: ricchezza, dignità, fiducia, rispetto e qualità di vita.
Persone– quando ogni comune cittadino, non appena i diplomata, le celebrità e i politici- diventa ambasciatore inamorato del proprio paese o città, si aprono i margini per un cambiamento realmente positivo.
In un editoriale pubblicato nel 2008, Anholt rafforza quanto detto, un marchio territoriale non si forma appena attraverso la comunicazione, ma anche con le politiche. All’interno di questo contesto, l’autore sostiene cinque idee che permeano la costruzione di un’identità di marca territoriale.
1 – I locali devono impegnarsi con il mondo esterno in modo chiaro, coordinato e comunicativo perché possano influenzare l’opinione pubblica. Un’integrazione produttiva tra le imprese, governo e società civile, così come la creazione di nuove istituzioni e strutture per raggiungere e mantenere quest’impegno, è necessaria per l’armonizzazione degli obiettivi, temi e comunicazioni e comportamenti a lungo termine.
2 – La nozione di brand image è fondamentale: la reputazione deve essere intesa come un fenomeno esterno, persino culturale, che non si trova sotto il controllo diretto del “padrone” della marca, ma che nel frattempo ci configura come fattore critico che sostiene tutte le transazioni tra il marchio e il suo pubblico.
3 – La nozione di brand equity è fondamentale: l’idea che la reputazione sia un bene di estremo valore e che deve essere gestito, misurato e protetto, sfruttato e alimentato a lungo termine.
4 – La nozione di brand purpose è fondamentale: l’idea di unire gruppi di persone attorno ad una visione strategica comune, può creare una potente dinamica di progresso, inoltre la gestione del marchio è anzitutto un progetto interno.
5 – L’importanza dell’innovazione promossa e coerente in tutti i settori dell’attività nazionale nell’influenza dell’opinione pubblica: l’opinione pubblica internazionale e di conseguenza, i mezzi di comunicazione, sono molto più interessati alle cose nuove che suggeriscono uno standard di sviluppo e una capacità interna immediata e appetibile, piuttosto che la retorica delle glorie del passato (Anholt, 2008, p. 3).
Una critica alla comprensione e gestione della città come logomarca: il caso di Rio de Janeiro.
Il 6 agosto del 2011 l’inserto Prosa & Verso del giornale O Globo, una delle principali testate brasiliane, presentava una serie di interviste e articoli intitolati la città come “logomarca”, scritti da intellettuali di diverse aree sulla reinvenzione di Rio de Janeiro fatta apposta con il proposito di ospitare Rio+20, la coppa del 2014 e i giochi del 2016. L’approccio promuove una critica sulla proiezione del marchio città nel competitivo mercato globale delle metropoli, versus alcune contraddizioni circa le alterazioni dello spazio fisico e il grado di partecipazione della popolazione locale a questo processo di riposizionamento della città.
Jean Comarofdd, antropologa e professoressa dell’Università di Chicago e di Città del Capo, in un’intervista alcuni giorni prima della sua conferenza di apertura del seminario “Città, futuri possibili”, avvenuta il 9 agosto del 2011, a Rio de Janeiro, sostiene che:
La coppa è stata venduta ai sudafricani come motivo di orgoglio, come un riconoscimento della maturità e della capacità economica e manageriale del paese. Tutto questo è vero, ma la gran parte delle risorse locali che sarebbero dovuto andare alle abitazioni e al trasporto, sono state dirottate ai finanziamenti per la Coppa. Adesso siamo qui a Città del Capo con stadi cari, localizzati dove la maggior parte della popolazione non vi ha accesso… Alcuni colleghi indiani mi raccontano che dopo “The millionaire”
[3] le agenzie turistiche hanno cominciato ad offrire gite nella periferia di Mumbai, così come ci sono i “favela tour” a Rio… Il peggior aspetto di tutto questo è che la povertà diventa, anch’essa merce, un marchio che attira i turisti. Ad un certo livello, anche l’identità diventa
commodity. In Africa del Sud, prima e dopo la Coppa, si è discusso molto sul “marchio” della città in senso pubblicitario. C’era bisogno di spazzar via il crimine dalle strade per “pulire la città”. Ciò ha a che vedere con l’amministrazione dell’immagine della città nei media globali: la città deve essere riconoscibile, deve avere un bell’aspetto, perché si vuole conservare un buon profilo di investimento e un buon credito internazionale. Solo che questo finisce per definire un certo tipo di urbanità. Durante il periodo della Coppa, gli speculatori del marketing internazionale adorarono Città del Capo, così come sicuramente adoreranno Rio de Janeiro, perché sono dei bei pannelli di sfondo per tutto ciò che vogliono annunciare. Quando il governo dichiarò che gli stadi sarebbero dovuti essere costruiti in aree povere al fine de beneficiare la popolazione, i pubblicitari preferirono scenari pittoreschi, perché erano più attraenti della povertà. (Comaroff, 2011, p. 3).
Carlos Vainer, urbanista e professore dell’Istituto di Ricerca de Pianificazione Urbana (IPPU) dell’Università federale di Rio de Janeriro – UFRJ, afferma che vendere l’immagine di Rio nel mercato simbolico della cattura dei grandi eventi, fa in modo che la città funzioni come un’impresa, in cui la pubblicità maschera le contraddizioni sociali e il dibattito si concentri sulle necessità di sfruttare le opportunità. Il caso di Bracellona, usato per la realizzazione dei giochi Olimpici, ad esempio, rappresenta oggi un grande elemento di disuguglianza sociale, nonostante la città si sia trasformata in una cartolina postale; lo stesso avviene per la zona Sud di Rio de Janeiro. “Esiste una controversia all’interno dell’accademia e dei movimenti sociali catalani circa le conseguenze dell’egemonia di questo modello competitivo” (2011, p. 4).
È la trasposizione nella sfera pubblica di modelli di gestione e competizione impresariale. La città comincia ad essere vista come un’impresa, che compete con altre città-impresa nel mercato internazionale. La città è ridotta esclusivamente ad una delle sue dimensioni, quella economica, e nonostante ciò solo ad un aspetto della dimensione economica, ovvero quello impresariale. Dal momento in cui si pensa alla città come ad un’impresa , anch’essa diventa una merce: come posso vendere la mia città al mondo? È da questo presupposto che si sviluppa l’idea di marketing urbano, di cui Bracellona ne è il migliore esempio al mondo, adottato come modello da Rio de Janeiro. Però, quest’ultimo, come qualsiasi operazione di marketing, agisce in una prospettiva riduttrice della realtà: se si vuol “vendere” Rio all’estero, non si devono mostrare le favelas, la povertà e nemmeno le disuguaglianze. Il marketing rende invisibile tutto ciò che non è una virtù della merce. (Vainer, 2011, p. 4)
Secondo Vainer, il megaevento catalizza questo modello perché concentra tutta l’identità di una città in un unico simbolo, riducendo il concetto sociologico di città fondato sulla dimensione, densità e diversità. La costruzione dell’immagine della città –impresa è fatta tanto per l’esterno quanto per la popolazione. Si crea un’autoimmagine che oltretutto mette a tacere il dibattito e la diversità a favore del raggiungimento di un comune obiettivo.
Ancora, sempre secondo Vainer, il più grande problema risiede nella creazione della “città dell’eccezione” (espressione coniata da lui), dove comincia ad esistere una legislazione ad hoc, specifica e casuista, al fine di sfruttare tutte le opportunità per montare sempre piùaffari.
La regola collettiva, pubblica, soccombe innanzi a una successione interminabile di eccezioni: il regime differenziato di contrattazione e l’esenzione tributaria per gli hotel, esenzione fiscale e doganale per i partner. (Vainer, 2011, p. 4)
Vainer conclude l’intervista affermando che il fatto che gli eventi lascino delle eredità visibili, serve da stimolo alla circolazione dell’informazione e alla partecipazione della società; sapendo quali sono i progetti e l’impatto nei bilanci pubblici oggi e domani, tenendo uno stretto controllo sociale della spesa. A suo avviso, il problema della “città –divisa” (espressione coniata dal giornalista e scrittore brasiliano Zuenir Ventura) viene approfondito con le rimozioni. Se la città è diversità, deve essere impedita la creazione di ghetti – poveri e ricchi – e questa questione non è affatto considerata dalla stampa.
Sfera pubblica, formazione e manipolazione dell’opinione
Nel suo libro Trasformazione strutturale della sfera pubblica, Habermas (2003) descrive la nascita della sfera pubblica come uno spazio di mediazione di un processo di differenziazione dello Stato e della società di individui privati, rappresentati dalla borghesia, nei secoli XVII e XIX. Questi spazi sono costituiti da pubblici diversi che occupavano i salotti francesi e le case di caffé di Londra per discutere pubblicamente dell’amministrazione dell’economia, della produzione culturale e le azioni della società civile con le autorità politiche. La scelta dei temi avviene in maniera conforme ad una maturazione nell’uso spazio pubblico (Blotta, 2012).
È nello spazio della sfera pubblica che avviene la razionalizzazione del potere politico, ossia, è dove la legge può essere dibattuta e messa in discussione. Il dominio, così, ha bisogno di essere giustificato in uno spazio pubblico al quale tutti hanno accesso. In questo contesto, la pubblicità significa l’apertura del potere alla critica. Habermas identifica tre tipologie di sfera pubblica: quella letteraria, la politica e economica, che nonostante posseggano criteri normativi propri, preservano una logica di pubblicizzazione connessa alla qualificazione dei suoi criteri, alla comprensione delle relazioni e dell’influenza reciproca e alla generalizzazione del suo successo. (Blotta, 2012).
La fera pubblica rappresenta lo spazio dove si forma l’opinione pubblica, intesa come un aggregato empirico di opinioni individuali, idee e appuntamenti, risultanti da dibattitti che secondo Habermas ricercano sempre un consenso. In questa prospettiva l’autore aggiunge che è il processo, alla ricerca del consenso, che arricchisce il dibattito nelle sfere pubbliche.
Nella teoria dell’azione comunicativa di Habermas, il concetto di comunicazione si concentra sull’atto di partecipare attivamente al processo comunicazionale, non solo capirlo, come è il caso di Luhman, partecipare è svolgere un ruolo attivo e presuppone una componente normativa che intervenga per migliorare l’integrazione dei soggetti coinvolti in una situazione di consenso. L’asse sta nella questione dell’argomentazione, negli scambi simbolici e discorsivi, nel lavoro con i dialoghi, ritraduzioni e convinzioni. Si tratta ancora una volta della vecchia proposta della formazione di una coscienza. La meta è la comprensione e l’intervento di ognuno nell’atto di volerlo raggiungere, cioè nell’intenzionalità. (Marcondes Filho, 2008, p. 2).
Nel frattempo, la teoria di Habermas ha ricevuto varie critiche. Da un lato Nancy Fraser (1992) mette in discussione la formazione delle strutture sociali nelle sfere pubbliche, che poiché non comporta la diversità sociale finisce per non essere legittimata rimanendo più propensa alla manipolazione delle elite e alla mediazione dei mezzi di comunicazione di massa. (Blotta, 2012)
In un’altra dimensione, Niklas Luhman (1971) sorge come uno dei principali oppositori alle idee di Habermas in relazione al concetto generale di sfera pubblica, confrontandolo con la teoria dei sistemi. La comunicazione avviene tra sistemi quando sorge un segnale, e l’informazione referente ha effetti su di un sistema specifico. In questo caso, si riorganizza incorporando questa informazione, e promuovendo la comunicazione (Blotta, 2012). Ad esempio, l’informazione che il presidente di un nazione è morto (sistema politico), ha effetti sul sistema economico che si riformulerà a partire da questo input. In opposizione ad Habermas che crede nei cambiamenti normativi, socioeconomici, politici e culturali, ai dibattitti tra individui, inseriti in società, che avvengono in spazi pubblici alla ricerca (e non la realizzazione) del consenso, Luhman considera che i sistemi operino a danno dell’individuo, che non fa parte della società (gli individui corrispondo alla capillarità del sistema che forma la società).
Secondo Luhmn (2000) non c’è consenso nelle riunioni nei caffè. Ciò che esiste nella formazione dell’opinione pubblica moderna è una selezione di temi, il cui tempo di vita è molto breve, accelerando il processo selettivo di quale tematica sarà in voga. Con la teoria di sistema, l’autore spiega la manipolazione della comunicazione partendo dalla selezione di quale informazione sarà o meno incorporata a determinati sistemi e in modo da promuovere qualche tipo di alterazione. In tal modo, l’opinione pubblica, secondo tali parametri, non è intesa come il prodotto di un sistema, ma emerge innanzi alle molteplici interazioni necessarie all’autopoiesi del sistema politico.
L’opinione pubblica è anche memoria pubblica. I mezzi di comunicazione, come fattori di produzione dell’irritabilità, integrano la memoria individuale a quella sociale, introducendo disordine nei riferimenti retrospettivi dell’opinione pubblica, producendo così l’inatteso. Gli individui possono partecipare a questa memoria pubblica quando seguono le comunicazioni dei mass media (memoria in Luhman è catturare una comunicazione in un’altra e così via in successione). Non si riesce a sapere esattamente in che misura i media influiscano sulla formazione delle opinioni; ciò che fanno è promuovere costantemente l’integrazione della memoria individuale a quella sociale. Molte volte ci sono conflitti tra le due: ciò che appare oggi nei media può entrare in contrasto con ciò che era affermato come opinione pubblica, permettendo seppur in questo modo, nel linguaggio di Luhman, una “coabitazione” reciproca. La decisione politica, così, non opera con le micro-opinioni (non si sa ciò che avviene nella testa di ognuno), ma con schemi e scripts. Gli schemi son i nostri riferimenti a fatti passati, (memoria), che cominciano a funzionare come fatti nuovi. Essi separano ciò che deve rimanere nella memoria da ciò che deve essere escluso, permettendo così di inquadrare nuovi fatti. (Marcondes filho, 2008).
Walter Lippmann un filosofo politico che ha partecipato attivamente agli eventi degli USA nelle decadi degli anni 50 e 60, ha coniato il termine “stereotipo” per riferirsi ai preconcetti basati su opinioni a priori non comprovate, usati come base per un processo decisionale. Il suo principale contributo risiede negli studi sull’uso dei mezzi di comunicazione di massa nella manipolazione dell’opinione pubblica attraverso l’utilizzo di simboli, parole e immagini. Lippmann ha denunciato il ruolo della stampa nell’ educare e informare le masse innanzi alla mancanza di accesso alla realtà; all’esistenza della censura politica e militare: all’alto costo economico nella maniera di fare giornalismo; alla mancanza di conoscenza dei giornalisti; e ai preconcetti ideologici e socioculturali degli editori. (Garcia, 2010).
Lippamn credeva che gli specialisti della stampa e della propaganda, male informati, fossero i responsabili della manipolazione dell’opinione pubblica nordamericana. Espresse infatti la sua delusione in relazione al ruolo sociale della stampa, la cui superficialità sarebbe servita appena a definire l’agenda pubblica, ma senza agire in alcun modo come un’opinione pubblica guidata. (Garcia, 2010, p. 6) tradotto dagli autori)
Lippmann ha rifiutato l’uso della parola pubblico come “corpo fisso di individui”. Nelle sue analisi, il pubblico si riferisce appena alle persone, a sostegno o all’opposizione, che sono interessate ad un determinato argomento o tema, che possa avere un effetto su di loro. L’autore opera la distinzione tra “iniziati” – parte del pubblico con conoscenza diretta degli avvenimenti – e “forestieri” – quelli senza conoscenza diretta. (Garcia, 2010)
Così, secondo Lippmann, ogni argomento pubblico in una democrazia ha degli attori e degli spettatori. Esistono alcuni attori (dal lato di dentro) con un proposito e una capacità di agire, e poi vi è la maggior parte (dal lato di fuori), che interviene esclusivamente caso ci dovesse essere una crisi. “Io ho inteso l’opinione pubblica, non come la voce di Dio, non come la voce della società, ma bensì come la voce degli spettatori interessati alla questione. (Garcia, 2010, p-7 tradotto dagli autori).
Come visto, l’analisi di Lippman completa quella di Luhman circa la funzione dei mezzi di comunicazione di massa nella formazione dell’opinione pubblica. Visto che i media sono impreparati per fare la selezione delle tematiche, queste ultime sono facilmente manipolabili dai “sistemi” di Luhman rispetto a ciò che entrerà o meno nei dibattiti, avvenendo in tal modo non solo la manipolazione dei sistemi sui mezzi di comunicazione di massa, ma rafforzando anche la manipolazione dell’opinione pubblica che è regolata da questi stessi mezzi.
Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione – NTIC – popolarizzate nel passaggio del secolo e incrementate negli ultimi anni con la nascita delle reti sociali, cominciano a conferire una forma nuova al dibattito sulla formazione e manipolazione dell’opinione pubblica. La convergenza tra i mezzi di comunicazione di massa, la cui circolazione occorre unilateralmente e diretta a molte persone (broadcast), e i mezzi di comunicazione di impegno, la cui circolazione del messaggio avviene in diverse direzioni tra gruppi specifici, organizzati per interessi e volatili (social cast), elaborata da Henry Jenkins (2008), propone che ci sarà una coesistenza e interdipendenza di entrambi. I mezzi di comunicazione di massa, dunque, saranno sempre più regolati dai temi e approcci che staranno riscuotendo successo nelle reti sociali. Nel social cast, si trova l’impegno di gruppi specifici, che discutono temi diversi, con alta capacità di diffusione dell’informazione. Nel broadcast, l’altra visibilità con un unico sforzo porta migliaia di individui ad avere conoscenza sul tema dal punto di vista dei media.
Presenza di Rios+20 nel broadcast
Copertura giornalistica Rio+20
La copertura giornalistica di Rio+20 per divulgare la sua organizzazione ed eventi correlati tra cui l’esposizione
Humanidades e il progetto
Paesaggio, l’arrivo delle delegazioni. L’occupazione dell’Aterro del Flamengo con la Cupola dei popoli
[4], tra le altre cose. Reportage di approfondimento nell’inserto di Rio del giornale
O Globo del 10 giugno del 2012 con la manchete: “Pianificazione sostenibile, alla moda carioca. Rio offre opzioni per il tempo libero, moda e gastronomia e cose da fare secondo la filosofia eco-friendly”, per entrare nel clima della conferenza Rio+20 . Il testo affronta la questione delle fiere organiche e il progetto per il noleggio delle biciclette. La rivista della domenica del giornale
O Globo, del 10 giugno del 2012, è stata interamente dedicata a Rio+20, con la frase ad effetto di copertina “Sotto i riflettori di tutto il mondo” sullo sfondo di una foto aerea del paesaggio di Rio. L’edizione presenta una serie di reportage sulla città, i suoi paesaggi e le problematiche ambientali, oltre ad un testo di retrospettiva: “I giri del mondo: Rio+20 ricolloca il Brasile al centro delle discussioni sullo sviluppo sostenibile”. La presenza di celebrità nazionali e internazionali è stata riportata dai notiziari prestando un attenzione particolare alle loro partecipazioni agli eventi connessi e alle loro dichiarazioni sul mancato accordo sul documento finale di Rio+20.
Dopo Rio+20 c’è stata una nuova attenzione ai risultati generati e al fatto che il documento proposto non rispondesse di fatto alle esigenze di cambiamento per la preservazione ambientale, il tutto inasprito da un dibattito, durante l’evento, circa la possibilità di ridiscussione e inclusione di tematiche considerate importanti dai rappresentanti delle organizzazioni sociali. Questo periodo è stato turbolento e ha generato varie manifestazioni nella città, invasa dalla stampa. La copertura con la più grande richiesta è stata l’invasione dell’edificio della Banca Nazionale per lo Sviluppo economico e sociale – BNDES da indios armati di arco e freccia. Inoltre alcuni gruppi hanno cominciato a chiamare in modo ironico l’evento Rio+20 (Rio meno 20) per l’impossibilità di progressione delle discussioni. La copertura più grande, nel frattempo, c’è stata per il delegato che l’evento ha lasciato per l’apertura di nuove discussioni e la polarizzazione sui dibattitti sullo sviluppo sostenibile.
Copertura giornalistica della città
È stata data rilevanza ai problemi causati in cittàa causa dei numerosi cantieri aperti e del traffico, oltre alla dichiarazione del giorno festivo in città. Ci si è interrogati sul fatto che se la città pretende ospitare i diversi eventi nei prossimi anni, la sua struttura dovrebbe essere in grado di supportare non solo gli eventi ma anche la quotidianità della popolazione.
Una ricerca dell’istituzione del terzo settore chiamata Rio Como Vamos
[5] ha affermato che il 74% della popolazione è a conoscenza degli obiettivi della conferenza e intende la relazione dei temi discussi con il proprio quotidiano e la qualità di vita.
Dopo Rio+20, c’è stata una preoccupazione sempre maggiore nel creare una narrativa positiva divulgando buone notizie quali:
· La città ha ricevuto 110 mila turisti durante Rio+20
· I tassi di criminalità hanno avuto una caduta significativa durante Rio+20
· La maggior parte degli stranieri che partecipano alla Rio+20 ha intenzione di ritornare in Brasile.
· Il commercio è cresciuto del 6% durante Rio+20.
Azioni pubblicitarie
Diverse imprese hanno sfruttato l’opportunità offerta da Rio+20 e degli inserti speciali dei giornali per fare annunci pubblicitari vincolando le marche dell’evento al periodo del 10/6 al 30/6 tra le quali siritrovano: Med-Rio (impresa di diagnosi medica); Riocentro (centro eventi e congressi), CCR (concessionaria di rodovie); Brasskem; CNI.
Gli annunci hanno vincolato la presenza delle imprese all’immagine della città. Ad esempio:
Nella rivista domenicale del giornale O Globo del 10 giugno, gli annunci presentano i seguenti contenuti:
· Light – Per 10 giorni tutta Rio de Janeiro parlerà di quello che pratichiamo da più di 100 anni. (Foto di sfondo della collina del Pan di Zucchero).
· Siemens – La città di Rio de Janeiro non ha uno o due punti turistici, ne ha molti, e la Lagoa Rodrigo Freitas ne è uno di questi… (l’impresa sta aiutando nella riqualificazione idrica della Lagoa).
Nell’inserto speciale Rio+20 del giornale O globo del 22 giugno, gli annunci presentano i seguenti contenuti:
· La confederazione nazionale dell’industria – Si rende nota la partecipazione nell’elaborazione del documento consegnato alla ministra per l’Ambiente sui vari progressi e obiettivi dell’industria.
Nel giornale O Globo del 30 giugno, gli annunci presentano i seguenti contenuti:
· Associazione di dirigenti di impresa del mercato immobiliario: – Rio sta provando ad essere più che pronta per accogliere gl’agenda dei prossimi mesi, almeno fino al 2016, ricca di grandi celebrazioni. E se il mondo ancora avesse avuto dei dubbi, la Città meravigliosa gli ha presentato tutto il suo contenuto. Moderna, pulsante, strutturata capace di accogliere con calore i suoi visitanti, tanto da ritornarvi sempre. Rio, capitale del mondo.
Presenza di Rio+20 nei socialcast
Una mappatura delle hashtag Rio+20 nel periodo compreso tra il 26/04/12 e il 20/05/2012 ha prodottto risultati circa il volume di messaggi inviati (tweets), mappa con la rete dei seguaci (friend and followers) che le hashtags hanno mostrato e la mappa dei seguaci (friend and follower) che hanno rinviato (retwittato) i messaggi dopo averli ricevuti:
1- Onda generale di tweet
2- Rete di amici e seguici che partecipano agli hashtag
3- Rete di amici e seguaci che hanno retwittato
Fonte: BASTOS, M. T. A.; TRAVITZKI, R; RAIMUNDO, R.L.G. Plataforma T. São Paulo, Escola de Comunicação e Artes, 2010.
Pagine e gruppi su facebook
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Cúpula dos povos nella Rio+20
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Road to Rio+20
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Rio ti tengo d’occhio – Il trasporto è bocciato dall 81% degli stranieri durante la Rio+20.
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Rio ti tengo d’occhio – Ad un’Africana hanno derubato i suoi documenti, non è potuta tornare a casa.
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Conclusioni
La città di rio de Janeiro conforme ai concetti elaborati in marketing territoriale è un marchio vivo che costruisce man mano la sua identità, partendo dalle diverse dimensioni e includendo gli eventi che la città sta opsitando, come il caso della conferenza dell’Onu Rio+20. L’identità di una città non coinvolge soltanto il luogo, ma ciò che in esso si fa, oltre che le qualità e le aspirazioni della popolazione. La coerenza di questi elementi, come affrontato durante la stesura del testo, è fondamentale per inserire il marchio nel mercato mondiale in modo impegnato, coordinato e comunicativo, perché possa influenzare l’opinione pubblica, e così, diffondere e costruire una reputazione favorevole del luogo.
Stefano Rolando (2008) nel suo lavoro sul marchio Milano nell’organizzazione dell’Esposizione Universale del 2015, discorre circa l’identità, immagine, reputazione e promozione di un marchio territoriale, rafforzando il nostro punto di vista nella conclusione di questo lavoro. Per l’autore, l’immagine rappresenta uno stato avanzato della dinamica di competitiva del territorio, il cui ciclo è costituito da cinque fasi:
1. Quella identitaria, in cui si formano e si gerarchizzano (con tanti e naturali fenomeni di overlapping) i tasselli di una relazione tra la realtà e la necessità di leggerla, interpretarla e “indossarla”.
2. Quella della percezione oggettiva che viene compiuta rispetto a tale identità, attraverso tanti vettori che rispondono a interessi e a obiettivi differenziati, che potremmo chiamare dunque di reputazione, sapendo che in essa più si è “fuori” più giocano fattori stereotipati estranei alla natura reale dei processi, più si è “dentro” più i cambiamenti reali possono influenzare la percezione;
3. Quella dunque della relazione di immagine che per alcuni pubblici è materia di possibili tentativi di scalfirla, sopratutto con mezzi casuali o occasionali;
4. Quella in cui agendo su territorio marcati da un insieme di fattori analizzabili di percezione, attraverso l’immagine veicolata, delle reali identità, è possibile promuovere gli asset e dunque suggerire un’opzione, una scelta vuoi turistica, vuoi culturale, vuoi lavorativa, vuoi progettuale, avvero diretta; oppure anche una scelta indiretta, scegliendo prodotti e servizi in qualche modo contenuti all’interno di quella promozione e del brand cha la firma;
5. Quella, alla fine, in cui il processo di attrazione si è prodotto scegliendo di volta in volta il suo giusto rapporto comunicativo tra mezzi e destinatari e solo quelli bravi per la verità lo fanno, come ha dimostrato il caso del marketing territoriale di Barcellona, svolgendo su questo terreno il suo rimodellare sempre quel piano e le energie che lo alimentano.
La conferenza Rio+20 così come la maggior parte degli eventi che avranno luogo nei prossimi anni a Rio de Janeiro, collabora nella promozione della sua marca. La Rio+20 è stata affrontata principalmente in broadcast, in modo da unire la popolazione attorno ai vantaggi guadagnati dalla città e alla visione strategica della città come marca, nell’ambito interno, e come qualcosa di innovatore e attraente, nell’ambito esterno, attirando l’attenzione internazionale.
Ciò che viene messo in discussione è: si tratta di un modello che rappresenta ciò che è di fatto auspicato dalla popolazione; oppure (2) gli innumerevoli pubblici strategici che costituiscono l’opinione pubblica vengono via via plasmati in modo da credere che questo sia il percorso migliore per lo sviluppo della città; (3) esiste un movimento di avvicinamento tra il potere pubblico e la popolazione, laddove i pubblici strategici della marca sono stimolati a partecipare ai dibattiti su che tipo di sviluppo e sostenibilità desiderano per la città e quali sono le forme per poter crescere senza perdere la ricchezza della diversità.
La “città divisa” di Zuenir Venura o la “città dell’eccezione” di Paulo Verner mostrano che le politiche pubbliche adottate negli ultimi anni per la città di Rio de Janeiro non includono la popolazione nei processi decisionali. Nel frattempo, la partecipazione dello stakehord, nella società contemporanea, avverrà in un modo o in un altro. La convergenza del brodcast e del socialcast promuove la visibilità in massa di tematiche che molte volte non sono selezionate dai cosiddetti “sistemi” di Luhman, ma per l’interesse dimostrato dai gruppi coinvolti e articolati nelle reti sociali (una versione moderna della sfera pubblica elaborata da Habermas). Il dibattito che occorre in questa sfera pubblica digitale, sempre più frequentemente, mette in agenda i temi che saranno selezionati dai mezzi di comunicazione di massa. Intanto si capisce che molte volte il potere pubblico, responsabile per la gestione della marca di una città, non possiede la velocità per accompagnare e l’agilità necessaria per rispondere e partecipare alle nuove dinamiche comunicazionali del mondo contemporaneo.
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[1] Professore, Dottore e docente dell’Università di San Paolo. Email: paulonassar@usp.br
[2] Dottoranda in comunicazione presso la ECA-USP, Laura magistrale in Comunicazione presso la ECO-UFRJ, Professoressa e ricercatrice della ESPM RJ. Email: patriciareis@espm.br; patriciareis@hodcomunicacao.com.br
[3] Film inglese del 2008 il cui titolo originale è Slumdog Milionaire diretto da Danny Boyle e scritto dal Simon Beaufoy. È un adattamento del libro Q/ A dell’autore indiano e diplomata Vikas Swarup. Vincitore dell’Oscar Miglior film, Miglior regista, e Migliore sceneggiatura adattata.
[4] La cupola dei popoli (Cúpula dos Povos è stato un evento paralelo a Rio+20, organizzato da enti, associazioni civili e movimenti sociali di vari paesi. L’evento ha avuto luogo tra il 15 e il 23 di giugno nell’Aterro del Flamengo, a Rio de Janeiro, allo scopo di discutere le cause della crisi sociambientale, presentare soluzioni e pratiche e rafforzare i movimenti sociali del Brasile e del mondo.
[5] Rio Como Vamos http://www.riocomovamos.org.br/portal/