Recuperata in internet Sintesi presentazione ricerca 2004 su immagine Amm.ne penitenziaria italiana

 
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Le due città
Rivista on line del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – Ministero della Giustizia
Novembre dicembre 2004
Comunicare la mission del DAP
Al COM-P.A. di Bologna presentate le linee strategiche della comunicazione dell’Amministrazione Penitenziaria
 
Assunta Borzacchiello
 La partecipazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al COM – P.A., il Salone europeo della comunicazione pubblica e dei servizi al cittadino, tenutosi a Bologna dal 3 al 4 novembre, ha fornito l’occasione per presentare i risultati della ricerca condotta dal DAP in collaborazione con l’università di Roma LUMSA, volta a definire le linee strategiche per il piano di comunicazione 2005. La comunicazione istituzionale è uno degli obiettivi strategici dell’Amministrazione Penitenziaria e, in quanto tale, essa viene affrontata con metodo e strumenti in grado di rilevare i bisogni, organizzare le risorse, definire gli obiettivi. Promuovere le attività di comunicazione di un Ente è un’attività che richiede un complesso studio preliminare che permettere di conoscere lo scenario di riferimento. Questo è quanto è stato fatto con la ricerca promossa dall’Amministrazione Penitenziaria e condotta in collaborazione con la LUMSA. Una ricerca finalizzata a individuare le linee guida per un’attività strategica della comunicazione e della formazione, che ha avuto avvio lo scorso gennaio.
I risultati sono stati presentati nel corso del seminario tenutosi lo scorso 4 novembre nello spazio dibattiti del Salone della comunicazione di Bologna. Al seminario, coordinato da Luigia Mariotti Culla, direttore dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari e coordinatore della ricerca, hanno partecipato Stefano Rolando, docente di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica all’Università IULM di Milano e direttore scientifico di Civicom  e i docenti della LUMSA di Roma Fiammetta Mignella Calvosa e Carlo Gelosi.

La novità della tematica trattata, affrontata per la prima volta in maniera sistematica dall’Amministrazione Penitenziaria, ha fatto sì che il seminario fosse seguito da una platea numerosa e attenta, non solo di “addetti ai lavori”, ovvero di operatori penitenziari in rappresentanza dei sedici Provveditorati regionali dell’Amministrazione, ma anche di studenti di diverse facoltà di Scienze della Comunicazione e di specialisti e operatori della comunicazione pubblica e istituzionale.

La presenza del DAP al COM-P.A. ha rinnovato e potenziato, in termini di azione comunicativa, la presenza del 2003, quando, per la prima volta, il DAP ha colto l’importanza di assicurare la propria presenza nell’evento più significativo che si svolge in Italia sulla tematica della comunicazione. Veniamo, dunque, a quanto è stato detto nel corso del seminario, per provare a stilare un primo bilancio sui risultati della ricerca, prossimamente pubblicati in un volume edito a cura del DAP.
In apertura del seminario, la dottoressa Luigia Mariotti Culla ha illustrato le motivazioni e gli obiettivi della ricerca, richiamando l’interesse profondo dell’Amministrazione Penitenziaria verso una modalità nuova di fare comunicazione, cui ha dato convinto sostegno il Capo del Dipartimento Giovanni Tinebra. Per un’organizzazione complessa come quella penitenziaria, ha spiegato Mariotti Culla, «la comunicazione costituisce un tema di grande rilievo, ed è per questo che ci siamo posti l’obiettivo di delineare le strategie di comunicazione, diretta sia all’interno della macro organizzazione, sia all’esterno, ovvero la comunicazione con e per i cittadini e con le forze presenti sul territorio che interagiscono con l’Amministrazione Penitenziaria. Rilevare i nodi critici che impediscono una comunicazione efficace ha significato creare il presupposto scientifico che consente di modificare flussi di comunicazione che agiscono soprattutto nelle situazioni ‘patologiche’, ovvero eventi di maggiore evidenza caratterizzati da crisi ed emergenze, ma meno su quelle “fisiologiche”, che si concretano nelle prassi di eccellenza delle attività dell’Amministrazione. Abbiamo accolto l’invito del Dipartimento della Funzione Pubblica rivolto alle Amministrazioni Pubbliche, sollecitate a rafforzare le attività di comunicazione e a presentare i piani di comunicazione, tenendo ben presente il quadro normativo di riferimento che, prendendo avvio dal decreto legislativo 29 del 1993 giunge alla legge 150 del 2000. Impianto normativo che ha segnato il punto d’arrivo per stabilire una modalità nuova di fare comunicazione verso il cittadino che è diventato più esigente, sia in termini quantitativi che qualitativi, nella Pubblica Amministrazione». Mariotti Culla ha quindi illustrato ai presenti l’iter seguito per dare avvio alla ricerca: «Abbiamo ritenuto di coinvolgere la componente scientifica per fare una riflessione che non fosse autoreferenziale. Con la LUMSA abbiamo sottoscritto una convenzione che ci ha consentito di avviare un progetto diretto ad affrontare una problematica pressante nella nostra Amministrazione, e abbiamo coinvolto anche CIVICOM, una Società accreditata che si occupa di comunicazione.
La ricerca è stata condotta da uno staff misto costituito da docenti della LUMSA, esperti di CIVICOM e funzionari del DAP, soluzione, che, come sarà in seguito specificato, ha offerto un valore aggiunto alla ricerca, perché ha messo a confronto l’esperienza e la conoscenza degli ‘operatori-ricercatori’ interni con il sapere metodologico e scientifico degli esperti universitari e della comunicazione. Oggi siamo in grado di proporre i primi risultati».
Il coordinatore della ricerca ha quindi illustrato i diversi punti della ricerca: «Abbiamo coinvolto operatori penitenziari delle realtà regionali che hanno animato due focus group per una riflessione sul grado di percezione interna del proprio ruolo e sulle diverse modalità locali con cui viene gestita l’attività di comunicazione; è stata quindi svolta un’indagine su un campione rilevante della popolazione, per capire cosa i cittadini pensano dell’Amministrazione Penitenziaria e sui suoi operatori; abbiamo condotto interviste a testimoni privilegiati, rappresentativi di importanti segmenti delle diverse realtà istituzionali, politiche, culturali; è stata condotta un’ampia analisi di rassegna stampa riferita a periodi in cui si sono verificati eventi critici, che assumono una grossa rilevanza sui mass media e l’analisi della stampa che ha trattato eventi ‘fisiologici’ riferiti a iniziative culturali e trattamentali. Infine, abbiamo esteso la nostra indagine somministrando interviste su un campione di detenuti e di persone sottoposte al regime di semilibertà e all’affidamento in prova al servizio sociale. I risultati sono incoraggianti, non si discostano molto dai risultati dei questionari al cittadino, rileviamo un clima di grande interesse per le attività di comunicazione svolte dall’Amministrazione Penitenziaria, nei soggetti che per la prima volta sono stati interrogati in riferimento al loro livello di vita, nel passaggio dal carcere a una misura alternativa alla detenzione. Ma l’interesse per l’indagine è stato manifestato da tutti gli interlocutori: cittadini, testimoni privilegiati, operatori penitenziari e questo ci conforta sull’esigenza condivisa di proporre un piano di comunicazione che dia conto, tra i diversi obiettivi, della mission dell’Amministrazione Penitenziaria e dei suoi operatori, a qualsiasi livello».
La dottoressa Culla ha ricordato che la ricerca è stata oggetto di un PEA presentato dall’Istituto Superiore di Studi penitenziari, che costituisce uno degli obiettivi del ministro della Giustizia finalizzato a migliorare le attività di comunicazione.
Il rapporto tra piano di comunicazione e riconoscimento dell’identità dell’organizzazione da parte degli operatori è stato uno degli aspetti trattati nell’intervento della professoressa Fiammetta Mignella Calvosa, che si è soffermata su alcuni significativi risultati della ricerca. «I vari settori d’indagine toccati dalla ricerca – ha spiegato la docente della LUMSA – sono stati utili per definire l’identità conosciuta del DAP, e per innestare il piano di comunicazione con riferimento a questa identità. Per noi docenti della LUMSA e ricercatori CIVICOM è stata un’esperienza altamente stimolante lavorare ad un tavolo di lavoro congiunto con gli operatori del DAP. Questa modalità di lavoro ha consentito di ottenere un valore aggiunto allo spessore scientifico della ricerca, dato appunto dall’azione di compartecipazione degli operatori interni all’organizzazione nel progetto. Mi sento di auspicare che questo metodo di lavoro possa ripetersi anche in futuro e in altri ambiti di ricerca, perché il ruolo di supporto svolto dall’Università, in tal modo, viene svolto al meglio». Mignella Calvosa è entrata quindi nel merito dei diversi ambiti d’indagine: «Il fondamento metodologico forte è nell’aver studiato l’immagine dell’Amministrazione Penitenziaria partendo dall’interno, dalla percezione che ne hanno gli operatori cogliendo l’immagine di elementi presenti che non sono rilevati dall’opinione pubblica. La percezione delle funzioni del DAP e degli operatori e la soddisfazione degli utenti da parte dei cittadini è stata colta attraverso interviste telefoniche campione per quote stratificate. I risultati dell’indagine hanno fatto emergere con maggiore forza la “duplice anima” che convive all’interno dell’Amministrazione Penitenziaria: la Polizia Penitenziaria e il personale amministrativo. Le risposte hanno dimostrato, tra l’altro, un’insufficiente conoscenza delle funzioni ulteriori a quella principale di custodia svolte dalla Polizia Penitenziaria, quale il reinserimento sociale e la funzione rieducativa, che costituisce un elemento altamente qualificante che, come ha affermato il Capo del Dipartimento Giovanni Tinebra nel corso di un incontro avuto con noi ricercatori, è riconosciuta a livello internazionale, mentre risulta poco nota ai cittadini italiani».
L’insufficiente conoscenza e la confusione, ad esempio, sull’amministrazione di appartenenza della Polizia Penitenziaria, contribuisce a creare un’immagine confusa anche sulle funzioni svolte dal DAP. «A dire il vero, ha affermato la professoressa Calvosa, ci troviamo di fronte a una confusione interpretativa che non riguarda soltanto l’Amministrazione Penitenziaria, ma anche quelle dell’Interno, della Difesa, della Funzione pubblica e, in generale, tutte le amministrazioni centrali (tab. 1). Questo indica che c’è bisogno di una strategia di comunicazione chiara e netta, che mette in luce come in realtà esiste una conoscenza spesso fuorviata dall’impatto forte delle comunicazioni di massa sulle funzioni del mantenimento dell’ordine pubblico. In occasione di fatti delittuosi di detenuti o ex detenuti, non è il forte impegno sociale del DAP a emergere, ma l’evento di crisi e la funzione svolta dal DAP nel momento di crisi. L’attenzione dei media si sviluppa solo nel momento del fatto negativo».
Sul grado di conoscenza del DAP da parte dell’opinione pubblica si rileva che solo il 12 per cento del totale dei soggetti intervistati nel corso dell’indagine di campo ha dichiarato di conoscere o di aver sentito parlare del DAP, a fronte di un 88 per cento che ne ha una errata conoscenza, attribuendo al DAP, ad esempio, l’appartenenza di altre figure professionali.
Se la ricerca ha dimostrato che all’esterno esiste una certa difficoltà a identificare le funzioni e i ruoli del DAP e dei suoi operatori, ha aggiunto Mignella Calvosa, «ciò significa, quindi, che l’immagine percepita dai cittadini non è adeguata all’identità forte posseduta dai suoi appartenenti, emersa con chiarezza durante gli incontri che i ricercatori hanno avuto con due diversi gruppi di operatori appartenenti all’area della sicurezza e all’area amministrativa. Dai due focus group, infatti, è emersa una forte consapevolezza degli operatori del ruolo e della mission dell’Amministrazione e la necessità di stabilire un efficace e strategico flusso comunicativo innanzi tutto all’interno del DAP, tra le diverse componenti e nelle diverse articolazioni, sia a livello centrale che territoriale, tra il centro e la periferia e viceversa».
Va rilevato, ha affermato Calvosa, che «l’informazione e la comunicazione vengono svolte, anche se a livello non strutturato, in maniera rilevante dalle persone che operano nel DAP. I comunicatori per eccellenza sono proprio gli operatori».
Per quanto riguarda l’attività svolta dalla Polizia Penitenziaria, l’indagine sulla popolazione dimostra che soltanto il 35% del totale dei soggetti intervistati sa che gli agenti di Polizia Penitenziaria dipendono dal Ministero della Giustizia; la maggioranza relativa degli intervistati (oltre il 40% del totale) commette l’errore di ritenere che la Polizia Penitenziaria sia alle dipendenze del Ministero degli Interni, confondendo probabilmente i compiti generici della difesa dell’ordine pubblico con le mansioni specifiche di competenza del DAP. Circa il 15% indica il Ministero della Difesa e poco più del 5% la Funzione pubblica. Le opinioni formulate in relazione al numero degli agenti di Polizia Penitenziaria, emerge dalla ricerca, risultano meno estranee alla realtà di quanto si è constatato per le stime sulle presenze nelle carceri. Circa il 40 per cento indica cifre corrispondenti ai dati reali (circa 40 mila unità); poco meno di 1/4 si colloca al di sotto di questa soglia, mentre una quota di poco superiore al 35 per cento indica numeri superiori alla consistenza effettiva degli organici della Polizia Penitenziaria (Tab. 3). I cittadini più giovani residenti nelle aree settentrionali paiono in questo caso formulare, in entità relativamente più estesa rispetto al resto della popolazione, le cifre più corrette. «Informazioni che confermano che i cittadini sono distratti come i mass media – ha affermato la docente della LUMSA – e la comunicazione deve approfittare dei momenti di crisi per far passare le informazioni, l’immagine che resta ha effetto di trascinamento nella gestione dell’attività».
Concludendo il suo intervento, Mignella Calvosa ha ricordato che «la forza della doppia identità e della duplicità della funzione di custodia e risocializzazione devono essere il punto di forza delle strategie di comunicazione del DAP e proprio la capacità dell’Amministrazione Penitenziaria di favorire il reinserimento è l’elemento di positività su cui lavorare».
Carlo Gelosi ha illustrato un altro importante segmento della ricerca, che offre un interessante elemento di conoscenza per agire in funzione di una modifica dei pregiudizi e degli stereotipi che gravano su un’immagine non realistica del DAP, presentando i risultati dell’analisi della rassegna stampa che evidenzia in maniera interessante il rapporto tra stampa e percezione dell’immagine del DAP da parte del cittadino.
Il professor Gelosi ha spiegato che l’analisi della rassegna stampa ha preso in considerazione 3 periodi, corrispondenti a 3 macro-eventi per 348 articoli che fanno riferimento ai fatti di Sassari (maggio-dicembre 2000); al G8 di Genova (giugno-settembre 2001); agli avvenimenti culturali e del reinserimento sociale (gennaio-febbraio 2004).
Per ogni periodo è stato analizzato ogni articolo apparso sulla stampa (quotidiani e periodici) in base ad una serie di parametri (testata e relativa tiratura; data di pubblicazione; argomento trattato; tipologia e specificità del key message; atteggiamento).
Attraverso questa schematizzazione è stato possibile analizzare i dati rilevati seguendo un profilo di analisi quantitativo. L’analisi della stampa è stata così sintetizzata da Gelosi: «I tre periodi analizzati offrono differenti spunti di lettura. I primi due episodi (Sassari e Genova) sono entrambi caratterizzati da negatività, e tuttavia presentano profili comunicativi distinti: nel caso di Sassari, da parte della stampa si ha un attacco frontale all’Amministrazione Penitenziaria e ai suoi esponenti. L’attacco è mirato, e quella che emerge è la fotografia di un intero sistema penitenziario in stato di emergenza. Tuttavia il caso-Sassari presenta anche positività: se infatti da una parte vi è la dignità offesa e l’attacco al Corpo di Polizia Penitenziaria, dall’altra, il Dipartimento mostra di saper reagire, e ben presto emergono messaggi-chiave positivi quali il senso di onore, di appartenenza e di solidarietà che il Corpo ritrova in sé e riafferma non solo verso se stesso, bensì verso i suoi interlocutori interni (detenuti) ed esterni (istituzioni, media, cittadini). Questi temi (onore, dignità, solidarietà) rappresentano valenze d’identità positivamente legate alla auto-rappresentazione del Dipartimento e dei suoi appartenenti». Il caso di Genova, anch’esso negativamente caratterizzato, è però differente. Qui infatti non vi è un attacco mirato al DAP, ha proseguito Gelosi, «qui l’attacco è generalizzato, contro tutte le Forze dell’ordine coinvolte. L’eccezionalità dell’evento, la sua ampia visibilità politica anche internazionale, non consentono accuse precise alle componenti del Dipartimento. Inoltre, ben presto, dopo i fatti di cronaca, inizieranno veloci scambi di attribuzioni di responsabilità tra le diverse Istituzioni: ciò che permette al DAP di non essere particolarmente visibile/ricollegabile ai negativi accadimenti di quei giorni. La stessa moltitudine di Forze dell’ordine presenti e attive sul posto contribuisce poi ad alimentare una confusione mediatica che permette al DAP di rimanere sottotraccia rispetto ad altre Forze a più alta visibilità».
L’informazione che arriva ai cittadini per mezzo della carta stampata è emotiva e non critica, ha affermato Gelosi, «vengono spesso espresse posizioni pro o contro, in cui non vi è spazio per una riflessione pacata sul mondo penitenziario, sulle sue criticità, sulle necessità di riforma. Simmetricamente alla violenza e al disagio emerge fortemente la dimensione della solidarietà all’interno del mondo penitenziario. Solidarietà che si ritrova non solo tra appartenenti al DAP, ma anche tra sorveglianti e sorvegliati. Di fronte agli attacchi provenienti dall’esterno (stampa ma anche politica e magistratura) il mondo penitenziario ritrova una forte coesione fondata anche e soprattutto sulla consapevolezza di svolgere un ruolo fondamentale nell’amministrazione dello stato e nella difesa della società». Gelosi ha poi commentato l’analisi della rassegna stampa relativa al periodo gennaio-febbraio 2004 spiegando che da essa si ricava una fotografia di segno finalmente opposto rispetto ai periodi e agli accadimenti analizzati nei due casi sopra riportati. Gli articoli analizzati riferiscono di eventi realizzati nelle carceri con diverse finalità: alleviare il disagio della condizione detentiva; creare un rapporto con la società civile; permettere la possibilità di occasioni formative in vista del futuro reinserimento dei detenuti. «In particolare, tra tutti gli eventi di cui la stampa riferisce, quelli che ottengono maggior risalto sono quelli relativi alle sfilate di moda e alle rappresentazioni teatrali. Se nel primo caso la scelta di ambientare un evento all’interno di una struttura carceraria può dare adito a qualche sospetto di strumentalizzazione da parte degli operatori del settore, dato il ruolo passivo dei detenuti (mentre l’effetto-spiazzamento dell’accoppiata carcere-moda produce risonanza garantita), nel caso delle rappresentazioni teatrali, cui partecipano, spesso con grandi risultati, i detenuti, l’effetto pubblicitario non è inferiore a quello culturale ed educativo».
Tra i temi presenti con maggiore frequenza sulla stampa, Carlo Gelosi ha ricordato che «in gran parte si riferiscono a scontri e violenza, indagini, ricerca di responsabilità; il 16,1 per cento tratta della difesa della Polizia Penitenziaria. In tutti gli articoli è limitata la parte sulla missione del DAP e solo il 12,4 per cento degli articoli trattano il tema del reinserimento dei detenuti; l’8,4 per cento riguarda la vita nel sistema penitenziario e il 7,5 per cento i diritti, i valori e il rispetto delle regole. Se si parla del fatto in sé, la valutazione è neutrale per il 44,4 per cento, positiva per il 30 per cento e nettamente negativa per il 25,6 per cento».
Gelosi ha infine tirato un bilancio: «Il sistema mediatico porta alla spettacolarizzazione. Abbiamo indagato maggiormente sulla parte critica mentre per gli aspetti positivi, che pure ci sono, si pone il timore che sia trattato l’evento in sé e non la contestualizzazione. Il problema, allora, è di fare in modo che le attività così dette ordinarie, fisiologiche dell’Amministrazione Penitenziaria, diventino tematica di trattazione sistematica da parte dei mass media, decontestualizzandole dagli eventi di carattere negativo».

L’intervento di Stefano Rolando, uno dei massimi esperti di comunicazione, già Consigliere del ministro della Funzione Pubblica, autore di numerose pubblicazioni lette e studiate come veri e propri testi sacri della disciplina, e anche direttore scientifico di Civicom, è stato ricco di suggestioni. Rolando, andando dritto allo scopo, ha affermato che «la cura dell’immagine è diritto delle istituzioni a difesa della propria buona reputazione e quindi della ricevibilità dei propri servizi di occuparsi, nel consentito, di immagine». Sgomberando il campo dai pregiudizi che spesso circondano il concetto di immagine riferito alle organizzazioni pubbliche, Rolando ha spiegato: «Cos’è l’immagine? È il rapporto fra identità e fiducia. Non è pensabile un rapporto di servizio pubblico senza identità e senza fiducia. È evidente che se l’immagine è questo, d’immagine bisogna parlare con consapevolezza. I parametri costitutivi dell’immagine istituzionale sono cinque, cioè su una Amministrazione come quella che è stata qui raccontata pesano cinque fattori, in maniera paritaria: il 20 per cento dipende dalla fisiologia, ci sono Amministrazioni pubbliche che, per loro fortuna, stanno strutturalmente nella fisiologia, e Amministrazioni pubbliche che, per loro natura, stanno strutturalmente nella patologia. È un fattore che è a monte, che pesa positivamente o negativamente, per pura collocazione di competenze; il 20 per cento dipende dalla capacità di comunicare all’esterno; il 20 per cento dipende dalla coesione e dalla motivazione dell’apparato e cioè dalla comunicazione interna; il 20 per cento, infine, dipende dagli stereotipi che sono sedimentazione di tutte queste cose che hanno ingenerato intorno alla reputazione dell’Amministrazione delle figure di immaginario collettivo, che possono essere totalmente travolgenti rispetto alla realtà ma che, se non si riesce a disincagliare, restano presenti per ogni articolo di stampa, per ogni intervento pubblico, per ogni intervento politico. Per una corretta gestione dell’immagine bisognerebbe prendere questi cinque fattori e metterli in un equilibrio positivo, perché se si hanno quattro di questi fattori che pesano contro, si ha una perdita in termini di immagine. Ciò significa che ho contro un sistema interno ed esterno di comunicazione che non mi permette, indipendentemente dalla mia volontà, di agire con dei risultati. Questa indagine svolta per il DAP mi fa dire che da essa emerge un equilibrio positivo che dimostra che ci sono almeno tre cose che vanno presidiate per costruire l’equilibrio positivo: una è la visione generale del problema, e solo per il fatto di aver voluto fare un’iniziativa del genere direi che c’è la visione generale del problema; l’altra è la volontà politica che come sempre l’Amministrazione dice non mi riguarda, è sopra di me, ma un’Amministrazione relazionata sa che l’alta amministrazione è parte della costruzione della volontà politica. Infine, il terzo fattore, è la coerenza tra atti e comportamenti, tra gli enunciati e tutto ciò che costituisce la gestione delle polis. Se noi cerchiamo di far quadrare questi cinque fattori, ognuno dei presenti (magistrati, dirigenti, operatori di settore) sa dove va collocata la qualità dei servizi resi e sa quanto conta essere dentro una patologia. Il supporto comunicativo che viene costruito a partire da questo ragionamento poggia su due punti essenziali: la capacità di intercettare i dati scorretti che circolano, quindi la capacità di presidiare l’informazione».
Un secondo fattore messo in luce dal prof.  Rolando è la costruzione di culture condivise nell’area istituzionale e nell’area dell’utenza. Ciò vuol dire che «non bisogna fidarsi solo della funzionalità delle strutture burocratiche previste dalla legge per fronteggiare un problema di rappresentazione pubblica di queste dimensioni e crucialità, è molto più importante, nel vostro caso, costruire il ‘vissuto carcerario’ in una modalità che trasferisca al contempo conoscenza e percezione delle implicazioni, cosa che nessun URP e nessun ufficio stampa possono fare, perché quello è il modo di potere agire sull’opinione diffusa, perché io abbia la possibilità di controllare la rappresentazione dello stereotipo».
Per meglio far comprendere il concetto, Rolando ha fatto riferimento alle fiction televisive, «la suggestione di entrare nella fiction televisiva è di tutte le Amministrazioni, ad esempio la fiction “Un medico in famiglia” ha contribuito, attraverso la location, a comunicare ai cittadini che in un’ASL c’è una vita accettabile, senza ricorrere a meraviglie tecnologiche, modificando in senso positivo la percezione negativa e diffusa che si aveva delle ASL. Altro esempio è dato dal “Maresciallo Rocca” che ha contribuito a costruire l’identità dei Carabinieri. Nel vostro caso bisogna saper controllare lo stereotipo che è facile che si verifichi quando si tratta di vissuto carcerario. Quindi, il trasferimento di questo tema in termini di costruzione di una politica comunicativa passa attraverso la capacità di tenere in equilibrio due fortissimi sentimenti pubblici centrali: la psicologia o la cultura della punizione e della redenzione. Due principi centrali di ogni tribù, due grandi tematiche: punire e redimere passano attraverso due fattori razionali che sono la cultura della sicurezza e la cultura della socialità. Se noi riusciamo a tenere in equilibrio questi fattori possiamo affidarci alla fiction, in caso contrario contribuiamo a costruire altri stereotipi».
Concludendo, Stefano Rolando ha affermato che «bisogna riportare i fattori che incidono sull’immagine da tre a due a nostro vantaggio. Bisogna fidarsi delle strutture burocratiche della comunicazione, ma bisogna cominciare a costruire una rappresentazione, un racconto della problematica, attenti a tenere in equilibrio i sentimenti della gente, che sono contraddittori, altrimenti ci affidiamo allo stereotipo, anziché dominarlo».