Pezzotta e i ricorsi storici (Facebook, 10 febbraio 2013)
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Buona e mala politica/ Diario di trincea 17
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Ricorsi storici
Savino Pezzotta– in un lucido intervento pronunciato alla convention dei popolari lombardi per Ambrosoli ieri sabato 9 febbraio al Palace a Milano (popolari, va detto, che ricongiungono diverse esperienze politiche di centrosinistra e di centrodestra, cioè quelle che hanno rotto “a sinistra” con l’UDC, quelle che hanno rotto “a destra” con l’IDV e quelle di tradizione repubblicana diciamo delusa dall’averci provato molto con il berlusconismo) – ha detto che il leghismo e appunto il berlusconismo sono due storie politiche nate in Lombardia e offerte, ottenendo consenso, come modello al paese, capaci di generare un’onda lunga. Cioè un ventennio. Dice Pezzotta che – come per tutti i “ventenni” finiti male – “sono ora i lombardi a dover esprimere le soluzioni di cambio ciclo“.
Non sembri una forzatura il paragone con la fine di Mussolini nell’aprile del ’45. Certamente altro contesto, dramma di una guerra violenta, due anni di resistenza e guerra civile in atto, bombardamenti su Milano fino a alla distruzione della parte prevalente della città. Senza ricorrere a queste visioni, il ciclo di distruzione della qualità della democrazia è quello che però contrassegnò il fascismo e che contrappose poi in guerra due visioni in Europa della democrazia. Che Berlusconi ancora oggi non abbia questo tema come caposaldo e ragioni sul fascismo in termini di bonifiche e imprese coloniali è un esempio che riporta la sua “fine del ciclo” a quella “fine del ciclo”.
L’accostamento vale per il fatto che una soluzione, che in quell’aprile del ’45 qualcuno andava cercando, riguardava la possibile consegna di Mussolini agli inglesi. E l’altra soluzione – più dura e immediata – prevalse nel CLNAI nel convincimento che dovevano essere gli italiani a regolare il cambio-pagina della storia. Qui per fortuna non ci sono di mezzo armi e non ci sono contesti cruenti, se non quelli di condizioni di povertà crescenti, di problemi sociali ed economici irrisolti e di perdita di reputazione delle istituzioni.
Per cui è il voto lo strumento popolare con cui regolare la “soluzione interna” ai lombardi di quella pagina durata fin troppo a lungo, per produrre un cambiamento e un progetto di rigenerazione.
Non è dunque il solo cambio possibile di maggioranza nazionale che può ricreare il tessuto della democrazia in Lombardia. E’ la scelta consapevole della maggioranza dei lombardi a rileggere senza propaganda negli orecchi una storia ormai senza sbocchi affidandosi al cambiamento senza avventure che, nelle condizioni date, è la più forte e costruttiva delle rivoluzioni possibili. Per giunta una scelta che, influenzando il voto anche per il Parlamento e portando a condizioni di governabilità il Senato, diventa essa la creazione – appunto dalla Lombardia – della nuova onda.
Scrivo queste note sostituendomi a molti illustri editorialisti italiani che finora stanno ancora un po’ alla finestra e questa cosa (ancora) non la dicono.