Opening Statement Club of Venice (Biblioteca Marciana, VE, 18 novembre 2010)
Cari Amici e Colleghi,
do il benvenuto a tutti qui a Venezia, nel 25° anno di vita e di sviluppo di questa sorprendente realtà che è il Club di Venezia, nato nel 1986 per svolgere una verifica, quasi una sperimentazione, mantenuto negli anni nell’informalità, senza strutture, senza statuti, senza organizzazione stabile, senza fondi, senza poteri.
Eppure vivo e creativo. Perché fondato su un ruolo funzionale, su un bisogno, su un’aspettativa.
Quale ruolo funzionale?
Quello che – lo dico con il pieno rispetto delle attività formali e istituzionali che si compiono in materia di comunicazione nelle istituzioni comunitarie – corrisponde a una circolazione di opinioni e a uno scambio di esperienze di carattere insieme professionale e culturale, prima ancora che corrispondente ai problemi di rappresentanza di interessi nazionali o inter-governativi. E dunque più di merito, meno “diplomatico”, sempre condotto con la valorizzazione della conoscenza e dei rapporti personali.
Quale bisogno?
Quello che – tra le dinamiche europee e quelle nazionali e territoriali in materia di comunicazione istituzionale – si sviluppi più armonizzazione, non stabilita da una “normativa di auspici”, ma dal riconoscimento che:
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vi sono contesti più sviluppati e performanti da cui vi è da apprendere;
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ci sono soluzioni messe a punto per gestire meglio servizi al cittadino da mutuare;
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ci sono problemi comuni e anche criticità comuni (le risorse, il cambiamento, la formazione, l’autonomia professionale, i rapporti con la politica, eccetera) che possono essere oggetto di dialogo.
Insomma il dialogo concreto e professionale è la pre-condizione di una armonizzazione fondata sulle modifiche compatibili di strutture che dipendono non solo dalle leggi e dai governi ma anche dalla qualità professionali di chi vi lavora.
Quale aspettativa?
Dopo 25 anni la stessa comunicazione delle istituzioni non è più la stessa.
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A metà degli anni ’80 essa era una esperienza modesta, che – salvo in alcuni paesi (a cominciare dalla Gran Bretagna) – cercava una propria identità prendendo in prestito le tecniche dalla comunicazione di impresa e cercando di capire come costruire percorsi diretti di relazione con i cittadini (non c’era
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internet e la stampa era una via difficile per tutti) per non limitare il lavoro solo ai comunicati e alle conferenze stampa.
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Oggi quella comunicazione è tecnologicamente e strutturalmente cresciuta perché è aumentata la domanda sociale dei cittadini, perché si sono formati profili professionali più adeguati, perché le istituzioni e i governi hanno compreso molto di più che la comunicazione è parte integrante del servizio.
Ove la comunicazione battesse solo le strade della propaganda ciò contribuirebbe a far crescere la percezione della sfiducia. Dunque l’aspettativa riguarda un tema preciso: come crescere dando valore aggiunto ad una professione per sua natura difficile e condizionata. La propaganda resta un’ombra nera in agguato. Sappiamo benissimo che nel mondo essa ha ancora un grande peso nella comunicazione istituzionale. Su questo terreno matura un dibattito civile e professionale in Europa che è interessante e indispensabile.
Un mese fa a Bruxelles si è svolta la prima conferenza europea sulla comunicazione del settore pubblico. Essa è stata meritoriamente promossa dal Comitato delle Regioni – e nel quadro di presidenza UE del governo belga, dunque con l’attiva partnership del nostro amico e collega Olivier Alsteens – e Laurent Thieule farà in questi giorni un necessario debriefing dell’evento. Il Club of Venice (che esprime la dimensione comunitaria e nazionale) ha collaborato in tutti i modi possibili. Ringrazio ancora per avermi consentito a nome del CdV di prendere parte alla tavola rotonda finale. Consapevoli noi che:
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la dimensione del territorio è essenziale per sviluppare un sistema integrato e multilevel in cui la comunicazione sull’Europa e per l’Europa se non ha presa nelle dinamiche locali fatica ad entrare nella comprensione quotidiana della gente e rimane soggetta ai misteri della crisi economica e dell’Europa vissuta come vincolo e non come opportunità;
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la crescita quantitativa ha bisogno di avere anche una crescita qualitativa, ovvero fare progredire tecniche e condizioni concrete di interattività ma anche migliorare l’accesso di queste strutture alle dinamiche decisionali delle proprie istituzioni (a Bruxelles si è accertato che il 65% della comunicazione istituzionale è svolta in Europa senza consentire agli operatori di influire sui processi decisionali dei propri organismi).
Si è tuttavia aperta la via a valorizzare la rete degli operatori a livello europeo. Noi siamo favorevoli perché è evidente che non vi è nessuna conflittualità possibile tra i diversi ambiti:
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è bene che il territorio (basti solo pensare alle 250 regioni d’Europa per capire la vastità del tema) sia più protagonista esprimendo una propria rete;
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è bene che i livelli nazionali e quelli comunitari mantengano aperta la loro riflessione sull’equilibrio mai facile che è ancora la metafora della complessità del processo di integrazione europea;
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è bene che vi sia un ambito professionale di massa in Europa, cioè aperto a tutti i potenziali operatori, per discutere due questioni che noi qui abbiamo più volte esaminato e promosso:
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l’Europa dovrebbe avere uno statuto professionale della comunicazione pubblica che serva come base alla definizione dei profili per tutti;
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l’Europa dovrebbe discutere di una base disciplinare della materia che consenta alla formazione (universitaria e non) di avere punti comuni di trattamento;
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ciò potrà portare a concepire questo ambito come professione moderna al servizio di interessi generali, dando ossigeno a un ambito di lavoro che ha un carattere specialistico – e dunque adeguatamente formato – e non può essere più l’adattamento casuale di funzionari genericamente formati.
Due parole su questa nostra sessione:
Innanzi tutto anche quest’anno essa giunge a realizzazione grazie al contributo intelligente e generoso di Vincenzo Le Voci, il cui profilo di coordinamento operativo è essenziale, con il sostegno delle strutture del Dipartimento Affari Europei della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiana, che voglio qui pure ringraziare nelle persone di Anna Maria Villa e di Tiziana Antonelli. E con il contributo sempre vivo e brillante dello steering committee (presidente ma soprattutto vice-presidenti e coordinatore) che mettono la loro esperienza (nazionale o comunitaria) al servizio dei più giovani, di chi si affaccia da poco a questa esperienza, di chi ha assunto responsabilità in continuità con i predecessori. Un magnifico rapporto di collaborazione tra giovani e meno giovani professionisti che Mike Granatt governa sempre con grande competenza.
Sull’agenda sarà lo stesso Mike ad informarvi. Credo che si tocchino temi molto seri e concreti e che, come sempre, chi partecipa abbia la possibilità di misurare la temperatura evolutiva di una professione che ogni cinque anni abbandona completamente il suo vecchio vestito perché obsoleto. Dunque chi non si aggiorna, chi non vede il cambiamento in atto, rapidamente rischia il “fuori gioco”. Analizzeremo insieme le attuali sfide e le prospettive future per i comunicatori pubblici partendo con un dibattito ad ampio raggio sulla comunicazione governativa e istituzionale e sviluppando poi i nostri scambi nell’ambito di gruppi di lavoro tematici.
Naturalmente vorrei esprimere un ringraziamento a tutti coloro che, dall’esterno del CdV, portano a questa sessione un qualificato contributo. Per essere qui con noi all’apertura dei lavori cito per prima – e con tutto l’affetto che noi abbiamo per questa città – l’assessore alla Cultura di Venezia Tiziana Agostini e la nostra ospite la direttrice della Biblioteca Marciana Maria Letizia Sebastiani. Fatemi anche dire la nostra gratitudine per la presenza di Philippe Cayla, Presidente di Euronews, e di un caro amico come Giampiero Gramaglia, Direttore di Agence Europe.
Nel quadro del cambiamento c’è anche la percezione di nuovi importanti temi che si integrano. Quest’anno abbiamo ritenuto di mettere sotto i nostri riflettori il tema della statistica. Quella europea e quelle nazionali. Avendo qui domani mattina un grande esperto, il presidente dell’Istituto nazionale di statistica italiano, ma che è stato a lungo capo del Dipartimento di Statistica dell’OCSE. Membro della Commissione Stieglitz per lo studio sui parametri di misurazione dello sviluppo. Il caso della crisi in Grecia ha messo in evidenza che il funzionamento delle strutture di statistica è fortemente intrecciato alla comunicazione istituzionale dei governi. Ma non è solo in negativo che dobbiamo guardare ai problemi. Ma anche capire perché oggi il sistema dei media in Europa preferisce dare spazio ai sondaggi – che raccontano la percezione che i cittadini hanno della realtà – e non alla statistica che invece racconta direttamente la realtà. Ci sono vizi dei media, ma forse c’è anche l’esigenza di comunicare in modo nuovo e più adeguato la statistica. Il prof. Enrico Giovannini – è un grande onore per noi – ci viene a parlare di questo argomento pochi giorni prima che a Roma si apra – appunto su questi temi – la conferenza nazionale di statistica.
L’allargamento del nostro tavolo a paesi e istituzioni europee sta creando uno standard elevato di presenze. Nelle ultime riunioni sempre attorno alla quarantina.
Io credo che dobbiamo migliorare il modo di rendere fruibili i materiali di scambio, pur in una certa riservatezza che comportano le nostre discussioni. E credo che sarebbe bene che lavorassimo anche a raccontare in modo serio e sintetico cosa ha fatto in 25 anni il CdV (materia su cui so che Vincenzo è sensibile).
Rinnovo i saluti – soprattutto a chi viene a Venezia per la prima volta – e i ringraziamenti a tutti coloro che hanno collaborato per il successo dell’organizzazione e, come sempre, ai signori interpreti nostri indispensabili collaboratori.
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