Nota di G.M.
Capitano certe cose che riscaldano un po’ il cuore. Questa lettera è di una mia compagna di scuola, un anno avanti, firma così con le sigle la lettera e rispetto le sue sigle. Ma metterei questo commento tra gli altri nel sito, perchè è il primo davvero “generazionale”.
Caro Stefano,
ero nel pubblico alla presentazione del tuo libro a Milano. Ma poi nella ressa di amici per le copie autografate – so che è d’uso – non mi sono fermata. E mi dispiace di non avere scambiato una parola di persona. Dopo tanti anni!
In realtà già alla presentazione io avevo già comprato il libro e in buona parte lo avevo anche letto. Dunque, mi sono un po’ irritata per molte cose dette dai relatori alcuni con evidente scarsa conoscenza di quelle fitte pagine. Una cosa non mi pare si possa fare: trattare questo libro con lo stile di “sorvolo”. Appena abbassi lo sguardo e ti fai prendere dalla “cantilena” del racconto, c’è sempre una frasetta a tranello, un inciso che apre squarci e rimanda ad altro. Più volte ho visto che usi questa specie di “segreto letterario”. E alla fine da lì capisci chi legge e chi non legge.
A buoni conti tra i racconti maggiori e questa striscia di analisi, commenti e rimandi, è come se la vita che abbiamo vissuto ci scorresse in moviola a due velocità. Una, quella degli eventi l’altra quella delle emozioni.
Voglio darti atto di avere tenuto bene il doppio registro. Così che c’è un pubblico – magari anche di giovani e giovanissimi interessati al passato prossimo, che possono viaggiare con te sull’onda dei fatti. E un altro pubblico – io dico “noi” con quell’ironia che metti tu nelle ultime due pagine – che può fare altri percorsi. Anche quando il consenso ha un limite. Sugli anni ottanta per esempio si capisce talmente che sprizzi entusiasmo per quel che ti e ci sta attorno che il giudizio politico non può poi essere controverso. Hai ragione. Anche a difendere quegli anni. Ma a me restano dubbi su un ceto politico che aveva una doppia morale, che non ha sempre servito il bene comune e per cui – come si diceva da bambini – san giuan fa minga di ingann. Alla fine è andato a “carte e quarantotto” (a proposito…) perché c’era qualcosa che non andava. Ma in fondo lo dici anche tu. Ma non vuoi che il paese butti via l’acqua con il bambino, distrugga, cancelli. E’ questo il monito più forte. Per non fare dei ragazzi di oggi dei carciofi. E soprattutto per non darla vinta a chi – come è parso a tutti il Glisenti nel suo intervento – che pensa davvero che si può sostituire l’identità, la memoria, i percorsi comuni, con una bella ideologia neutrale, qui da noi l’Expo e in Sicilia magari il Ponte sullo stretto. Pensa un po’, alle ortiche il secolo breve (che ci ha anche insegnato a cancellare la parola guerra dal nostro vocabolario) per celebrare la filosofia nei nuovi palazzinari. So bene che c’è una lettura “scientifica” dell’Expo e una lettura “filosofica” del ponte sullo Stretto. Ma se cancelli le ragioni e i contesti di quelle letture ti rimane solo e soltanto il cemento.
Bravo tu a mantenerti dritto trattando ancora con chi ha il potere. Io il mio lo esercito in un contesto così disagiato e minuscolo che mi rende ogni giorno in lite con la coscienza. Ma non ho più avuto da tempo una voce amica, un compagno di strada, un fratello-sorella, per farmi sentire il senso di un viaggio non solo individuale. Ritrovo questi sentimenti nel tuo libro e, con la voglia anche di criticarti (come tu proponi all’inizio) ti voglio ringraziare.
G.M.