Nota a margine del Dossier “Cuba, tutt’altro che un’isola felice”

Nota a margine del Dossier “Cuba, tutt’altro che un’isola felice“,
coordinato per il Partito Transnazionale Radicale dall’avv. Pierluigi Morena



Roma, 2 giugno 2010

Ho letto il Dossier sulla violazione di diritti e libertà a Cuba che l’avvocato Pierluigi Morena mi ha sottoposto. Pur avvertendo il curatore che le informazioni filtrano a fatica e che la compilazione del rapporto non può avere requisiti “scientifici” (indagine diretta), il carattere asciutto e con indicatori di evidente senso (imprigionamenti, condanne, proibizioni, restrizioni) attribuiscono al “caso cubano” una esemplarità negativa internazionale rispetto a cui non deve essere frapposto l’alibi culturale (soprattutto per generazioni non più verdissime) della lotta di stampo prima garibaldino che marxista del castrismo per la libertà, per mettere fine all’inquinato regime di Fulgencio Batista e soprattutto il richiamo della figura generosa di Che Guevara, attorno a cui – con il rispetto che è dovuto alla sua vicenda – vi è ancora più mitologia che analisi accreditata dell’evoluzione dei suoi rapporti con Castro e la sua modalità di governo.

Qui sono passati i “secoli “ tradendo ogni senso di una democrazia. Libere elezioni, alternanza dei gruppi di potere, controlli internazionali sui diritti umani e civili, libera circolazione della conoscenza e dell’informazione, diritto d’opinione liberamente esercitato.
La persecuzione dell’uso libero della rete, il mercato nero delle parabole satellitari, l’assenza di organi di informazione privi di censura preventiva, la convenzione – che ben sottolinea il Rapporto – del senso solo criminale della parola “dissenso”, non consentono più alibi e tolgono a Cuba il requisito di avere tentato il suo ingresso nel mondo della libertà; cosa che avrebbe comportato trovare quella via alla democrazia che altri paesi latino-americani hanno cercato e trovato, superando nodi storici drammatici (Brasile, Cile e Argentina tra questi).
Il viaggio a Cuba di Giovanni Paolo II nel 1998 fu letto da qualcuno (ci provò anche il nostro Manifesto) come un viaggio legittimante. In verità Giovanni Paolo II volle infondere coraggio ad una Chiesa perseguitata per più di trent’anni. Pretendendo, prima di intraprendere il viaggio, precise garanzie perché fosse garantita una maggiore libertà d’azione per contribuire alla ricostruzione del tessuto morale del popolo. In più il Papa spese parole contro l’eredità del materialismo marxista che è quasi sempre quella consumista, contro i fenomeni che hanno condotto ad una grave crisi delle famiglie a Cuba, con una prostituzione dilagante (alimentata vergognosamente da tanti “turisti del sesso” europei, con il regime che chiude un occhio perché ha bisogno di valuta pregiata), eccetera. Si vede dal Rapporto coordinato da Morena che è nell’ambito di quella comunità cristiana che sta emergendo, nel paese, una volontà di presidiare la lotta per le libertà civili e democratiche e per l’informazione. Cosa che spiega meglio le intenzioni che ebbe, appunto, il Pontefice.
Andai a Cuba a metà degli anni ’80 – ero allora direttore generale dell’Istituto Luce – e attorno al festival di Varadero nacque una coproduzione sulla musica cubana che trovò alla fine lo spazio di due ore sulla nostra Rai2. Un lungo colloquio con il direttore generale della tv cubana, castrista intelligente e molto “di casa” nel palazzo, mi tolse però ogni dubbio sul quadro di restrizioni non più tollerabili nel sistema della comunicazione e dell’informazione. Pensai tuttavia che la comunità internazionale doveva tenere rapporti con il paese ed esercitare pressioni, avere canali di negoziato, scambiare possibili maggiori libertà con maggiore visibilità delle cose buone che il paese aveva (la musica era una di queste). Credo che il quadro sia enormemente peggiorato e che si debba pretendere lo smantellamento del regime unico, ormai dinastico, riportando la condizione dei poteri alle regole elementari della democrazia. Impedendo – come i radicali hanno più volte denunciato – le esecuzioni capitali motivate da dissenso politico. Consentendo la circolazione della comunicazione internazionale che non a caso è stata uno dei fattori che ha più contribuito allo smantellamento sostanziale del muro di Berlino.
Vi è un argomento d’ufficio dei regimi comunisti – molto impiegato a Cuba, di rigore nella storia dell’est europeo – che tra l’indegna sperequazione tra ricchissimi e poverissimi e la modestia dignitosa per tutti, dove è assicurata casa, scuola e salute conta il giudizio dei più poveri non dei più ricchi. Qui si ribalta la famosa autodifesa pronunciata da Fidel Castro il 16 ottobre 1953, durante il processo celebrato a Santiago di Cuba contro gli accusati per l’assalto alla Moncada: “la geografia ci condanna, la storia mi assolverà”. La storia ha dimostrato in tanta parte del mondo che la dignità è una, fatta di strutture di base e di una immaterialità densisissima: la libertà. Ci sono esempi che hanno retto al furore della geografia (anche nella nostra Italia povera e stra-emigrata) e che oggi, attorno al caso cubano, ci fanno dire: “sulla geografia hai vinto la tua battaglia, a condannarti oggi è proprio la storia”.

Stefano Rolando
Professore di  “Teoria e tecniche della comunicazione pubblica “ e di “Politiche pubbliche per le comunicazioni
Università IULM di Milano
Segretario generale di Fondazione Università IULM.
Direttore di Rivista italiana di comunicazione pubblica
Membro del Comitato scientifico Unesco-Bresce
Membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni