Monti a Washington e le copertine di Time (Finanza&Mercati 14 febbraio 2012)
L’immagine non è cipria
Stefano Rolando
L’Italia non è solo sottoposta a verifiche di ranking sulla solvibilità finanziaria, sulla credibilità relazionata ai titoli di Stato, sulla capacità di recuperare gap rispetto a paesi come la Germania. E’ anche verificata rispetto alla sua immagine e alla sua credibilità tout court.
Vi sono luoghi, modi e metodi con cui queste misure si prendono. I più accreditati sono i centri di analisi inglesi – quelli del Nation Brand Index e City Brand Index che fanno capo a Simon Anholt – secondo cui negli ultimi anni il posizionamento dell’Italia (nella percezione di immagine mondiale fondata non tanto sulla conoscenza ma appunto sulla immaginazione, fatta di flussi, stereotipi, dicerie, verità) oscilla attorno alla settima posizione. Grosso modo in coerenza con il suo posto nelle classifiche di economia reale (da ultimo scivolato tuttavia verso la nona posizione). Non male. Anche per una certa stabilità, che rende i fattori di percezione positiva (“il bel giardino”) più forti dell’ondata di notizie nere (immondizia a Napoli, crolli a Pompei, bunga bunga, scandali e illegalità, più solita mafia e disastri ambientali). C’è tempo per ulteriori assestamenti. Il nuovo rapporto uscirà quest’estate, si vedrà se USA e Germania avranno tenuto ancora la prima e la seconda posizione e si vedrà se l’Italia di Monti avrà consentito di consolidare rispetto ad un temuto arretramento.
Di recente, il bisogno di indagare meglio gli aspetti di dettaglio e di mettere a fuoco segmenti di opinione pubblica rispetto a cui l’ immagine è vitale per le sorti dell’economia (ambiti a forte interscambio commerciale e turistico) sta generando anche una “scuola italiana” di analisi che ha tardato a mettersi in movimento e che potrebbe a breve produrre elementi di conoscenza più mirati, grazie all’attivazione di amministrazioni, come Milano, sensibili alla materia per necessità di rilancio (Repubblica ha anticipato domenica 12 febbraio notizie di un fondo di 4 milioni per eventi e comunicazione e per monitorare la reputazione percepita).
Nel segnalare il tema facciamo riferimento a dati generali e di cronaca. Sul Corriere scorrono le pagine che Time ha dedicato agli italiani portatori di rappresentatività simbolica. Interessante sequenza. Dopo i politici storici (Mussolini e il ricambio del dopoguerra) il primo a tornare in evidenza è stato Berlusconi catalizzando ormai segnali di discredito e di rischio nel rapporto tra politica ed economia. “L’uomo dietro alla più pericolosa economia del mondo”. L’albo d’oro è stato spesso lontano dalla politica. Sofia Loren, Pavarotti, Armani. La dynasty di Fiat dall’epoca di Agnelli a quella di Marchionne (ceo anche di Chrysler). L’arrivo della copertina di Time dedicata a Monti rivela novità: “Can this man save Europe?”. Il punto di domanda è pertinente, ma è il segnale della virata percettiva di classi dirigenti e sensori mediatici. Chi ha seguito in diretta la conferenza stampa di Mario Monti a Washington, ha colto che alla virata corrisponde sostanza. Le sue risposte sono state di alto profilo. Per finezza di linguaggio. Per l’apporto del gergo economico in una visione però politica generale fondata sulle ragioni della cooperazione e del rispetto. Per la nettezza con cui fa valere i punti di forza (proprio i punti di forza!) del nostro paese. Quando parla degli altri – colpisce l’acutezza di analisi sulla Germania – Monti non lo fa né da tecnico puro e neppure solo da economista. Ricorda lo stile dello storico, dello studioso dei costumi, dell’estimatore delle radici culturali con cui tanti anni fa un altro grande economista che fu primo ministro, Francesco Saverio Nitti, parlava della Germania, sapendo parlare anch’egli tedesco.
La velocità con cui in Europa e USA si è ribaltata una condizione di disagio percettivo a proposito dell’Italia è in sé elemento di analisi. Nemmeno Monti è un mago della pioggia. Il sistema Italia – dal Quirinale ai soggetti che mettono energie sul carattere costruens e non demolitivo delle relazioni, cioè della politica – aveva un piano B. Lo ha varato utilizzando l’emergenza dei tempi drammatici dello spread. E quel piano ha agito diventando pre-condizione di processi decisionali ripuliti dal velo velenoso della non credibilità. Negli USA, in più, c’era un altro piano B, quello di cercare un forte interlocutore europeo a fronte delle fragilità crescenti di Sarkozy e Merkel.
Dedicato a chi dice che l’immagine è cipria e non sostanza economica. Ma – attenzione ! – anche in attesa di verifiche di fondo sulle percezioni popolari profonde, in Italia e nel mondo. Quelle che conteranno per tirarci fuori, o meno, dalla crisi.