Milano. Auspicati programmi seri per conquistare il voto civico (Linkiesta 1.1.2016)
Saranno i programmi intelligenti a chiarire il patto con il voto civico a Milano
Stefano Rolando
Ho scritto variamente negli ultimi anni che il civismo progressista milanese è stato varie volte, nella storia e nell’età recente, capace di offrire alla politica non solo domande ma anche risposte.
Per questa ragione ricevo in questi giorni interrogativi maliziosi: perché il civismo milanese, che negli ultimi anni si è mosso con una certa compattezza per sostenere prima l’outsider Pisapia alle amministrative e poi il civico Ambrosoli alle regionali, è sembrato in questa fase frammentato, scomposto, senza regia?
Dopo lunghe incertezze prodotte dall’irrevocabile (e per alcuni non del tutto decifrabile) abbandono di Giuliano Pisapia, la contesa nel centrosinistra a Milano ha assunto ora volti più definiti, attorno a cui la cosiddetta “società civile” è stata fin qui poco determinante. Il grosso delle scelte ha ruotato dentro complessità e contraddizioni del PD. E attorno alla percezione (in verità infragilita) dell’Amministrazione di Palazzo Marino di essere “soggetto politico”. I partiti minori non hanno espresso soluzioni. Facendo più o meno quel che ha fatto fa il civismo politicamente attivo: un agire liquido e di rimessa, con posizionamenti di varia natura, talvolta meditati talvolta precipitosi.
Il posizionamento dei candidati del centrosinistra
Questa è la situazione che si profila dopo Natale. Sono in campo cinque candidati nel centrosinistra, uno (per ora) nel centrodestra e una per M5S.
Pierfrancesco Majorino ha connotazioni di tradizione e al tempo stesso di nuova generazione nella sinistra: appartiene alla transizione di una componente storica della sinistra (all’origine comunista), ha radicate esperienze nelle politiche sociali; è anagraficamente “generazione Renzi” superando dunque i vincoli ideologici ma senza rinunciare all’agire anche teorico (ovvero senza immolarsi al pragmatismo puro).
Roberto Caputo è erede minore di un socialismo ambrosiano che non ha usato il salvagente berlusconiano, è stato capogruppo del Pd in consiglio provinciale e ha attenzione per le realtà della “vasta area” milanese.
Giuseppe Sala ha una candidatura posizionata oggettivamente nell’area della società civile (competenze tecniche relazionate alla politica ma finora espresse nel management) in grado di offrire un’opzione all’elettorato di centro-destra in crisi di identificazione tra il declino di Berlusconi e la nuova egemonia di Salvini e al tempo stesso in grado di prefigurare per il Pd – attorno al caso Milano – un ampliamento dei consensi che in Italia qualcuno considera necessario (e quindi da qualche parte da collaudare) in attuazione dell’Italicum.
Francesca Balzani è la scialuppa per l’ipotesi di ampia coalizione del centrosinistra (brand Pisapia, ma ora senza il sostegno della giunta Pisapia), al tempo stesso offre all’elettorato femminile una carta di appartenenza, poi configura un punto di convergenza per il civismo delle professioni attente alla politica e alla cura delle pubbliche amministrazioni, prefigurando una competenza delicata per questa fase storica di crisi della spesa pubblica.
Antonio Iannetta è espressione dell’associazionismo sportivo popolare (non quello professionistico e milionario) ed ha esperienza associativa di “terzo settore”. E’ fuori dal radar dei media e, salvo dirompenti invenzioni, rischia il cono d’ombra fino alla fine.
La competizione nel SINISTRA-centro favorisce alle primarie il candidato posizionato nel CENTRO-sinistra, che è Sala. Che tuttavia deve ancora mettere a punto il suo “racconto” sulle ragioni della dedizione (che al debutto è parso poco più che la ripetizione del cv) ma che, attorno alla posizione di “favorito”, si è trovato un parterre di sostegno (tre quarti della giunta Pisapia) che ne legittima l’appartenenza ad uno schieramento da cui il suo cv tendeva a tenerlo lontano.
Primarie
Personalmente ho deciso di non firmare per le primarie perché, rispetto a tutti i candidati, il mio tempo di valutazione, ritengo con piena indipendenza e senza ruoli attivi, attorno alle cose che mi premono e mi interessano (ne ho fatta recente sintesi in “Civismo politico”, edito da Rubbettino) non può essere immediato e pregiudiziale. Anzi richiede la verifica di qualche progettualità più definita e al tempo stesso la capacità dei candidati di definirsi nella speranza che non si comprometta il piccolo patrimonio politico “ambrosiano” originale che, se dissolto, mette Milano al traino della confusione politica generale.
Ritengo anche di sostenere il vincitore nella successiva vera battaglia elettorale. Consapevole che larga parte della progettualità della crescita di Milano verso un ruolo trainante in Italia e verso un nuovo ruolo competitivo nel mondo si appoggia oggi sui profili politici del centrosinistra. Quello che ha riacquisito cultura di governo, formando – sui dossier decisionali e nei servizi pubblici – classe dirigente ed esprimendo conoscenza dei vincoli (normativi e finanziari).
E’ questo lo schieramento che cinque anni fa si è messo radicalmente in cantiere, mentre il centro-destra non ha ancora cominciato questa dura impresa, che sarebbe necessaria per quella coalizione. Nell’obiettivo, non scontato, che la crisi politica della giunta Pisapia (intervenuta sostanzialmente con le dimissioni di Ada Lucia De Cesaris) possa trovare soluzioni, innovazioni e nuovi equilibri una volta che le primarie abbiano assolto al loro ruolo di scomporre. Equilibri possibilmente centrati su un municipalismo aperto all’Italia e al mondo che non è la stessa cosa del “partito della Nazione”. Quel principio degli “interessi della città” che l’assessore Franco D’Alfonso aveva proposto come autonomo posizionamento della giunta e del management uscenti senza arrivare a meta e quindi ripiegando, come la maggior parte degli assessori, sulla “realistica” adesione al candidato favorito. Altri hanno espresso concetti analoghi, magari con parole diverse.
Frammentazione del civismo
Per “civismo politico” si conviene infatti che esso sia parte di una offerta politica che integra, con dimensione municipalistica, il ruolo di partiti con radicamenti nazionali. Esso tuttavia si spalma, in questa fase, in tutte le candidature in campo. Per la preliminare ragione che è prima di tutto un “sentiment” diverso dall’antipolitica. Critica ma rispetta la politica quando essa fa correttamente il suo dovere e assume responsabilità, pronto a sostituire o a incalzare quando essa deraglia. Se fosse – per pure ragioni di “posizionamento” – un sistema organizzato, sarebbe un partito (ne sono in campo molti nati come “nuvole” diventati poi “professionismo”).
Sala (mai iscritto a partiti) ha apparentemente più argomenti per rivendicarne l’origine, anche se il suo è fin qui profilo più tecnocratico che civico. Il sostegno con ruolo di “partner” di Umberto Ambrosoli consolida un certo richiamo per quell’elettorato. Balzani ha un profilo professionale di qualità e la sua esperienza europarlamentare si è svolta con l’etichetta di “indipendente”, viene sostenuta dalla neo-presidente della lista civica milanese Lucia Castellano, divaricando quindi il posizionamento del “Patto Civico” regionale, ma pare non sostenuta da detta lista. Majorino – pur nella sua evidente posizione di militante di partito – si rivolge a settori del solidarismo sociale che sono la parte migliore e più valoriale del civismo. Caputo, pur orfano della politica della prima Repubblica che si esprimeva compiutamente nella centralità dei partiti proprio per l’evaporazione di quei partiti è parte oggi di un ceto politico in transizione più che esponente di apparati. Iannetta rappresenta associazionismo valoriale, è dunque parte del tessuto civico per definizione ma la competizione politica in tempo di leadership illodevolmente lo derubrica.
Per raggiungere il 51% è necessario ricomporre
In realtà questa fotografia frammentata si spiega anche con il naturale “liberi tutti” del civismo. Ma, come è stato nel 2011, il blocco civico spontaneo – cioè quello sensibile a sentimenti di convergenza ideale – ha bisogno di avere un solo candidato di schieramento per poter sentire il grado di compenetrazione e per poter esprimere ad esso una convergenza che elettoralmente può stare nella forbice tra il 14% (la soglia quasi raggiunta da Ambrosoli nel 2013) e il 18% (la sommatoria di diversi sondaggi con 4 punti aggiuntivi di potenziale assorbimento di un, per ora, persistente astensionismo).
Il momento è delicato. Le primarie possono scavare fossati. Ma possono anche fare emergere denominatori comuni con diversi accenti. E’ possibile che questo secondo fenomeno accada, magari con differenze quantitative, chiunque sia il vincitore delle primarie. E che possa mostrare il peso di una componente che agisce elettoralmente non per impulso dei partiti e, anche questa volta, con decisività attorno alla necessità di raggiungere il 51%. Anche il centrodestra alla fine punterà su questo format non affidandosi solo agli elettorati di partito.
Resta vero che, nel corso dei mesi segnati dallo stupore per le decisioni di Pisapia, è prevalsa nella cosiddetta società civile milanese (come avevo segnalato fin da settembre) una grande, anche eccessiva, cautela e una sostanziale indisponibilità delle figure più in vista per assumersi qualche responsabilità, magari solo di tipo ricognitivo o aggregativo. Segno di debolezza propositiva dell’area civica che ha deciso di limitare il suo apporto alla vera e propria successiva contesa elettorale tra schieramenti.
Oggi i soggetti capaci di aggregare voto civico, dunque voto ragionevolmente sottratto più all’astensionismo che ai partiti, hanno compiuto la loro inevitabile frammentazione. Per esempio i competitor delle primarie del 2011 stanno con Balzani; i principali supporter del 2011 stanno con Sala. In questa fase nessuno è stato fin qui in grado di proporre e imporre un comun denominatore. Anche perché su quel denominatore negli ultimi tempi non si è molto indagato (pochi sanno che proprio il civismo milanese e lombardo non ha saputo che farsene, nel senso di “domanda zero”, di un centro studi di oltre cinquanta professori universitari presieduto da uno tra i più illustri studiosi milanesi).
Gli altri
Quanto a Corrado Passera e a Cinquestelle anche essi dovrebbero aggregare un voto sostanzialmente civico non molto distante da temi e attese del “civismo” che si considera “progressista”. Più moderato il primo, dunque competitivo con Sala; più radicale il secondo dunque competitivo con Balzani. Ciò che nella fase post-primarie viene considerato da alcuni istituti demoscopici un fattore di rischio, per plafonamento precostituito, soprattutto per la candidatura di Sala, che per entrambi questi altri due soggetti in campo è (in quanto in odore di renzismo) la meno compatibile. Passera ripercorre qui il posizionamento dei montiani, in ritardo rispetto alla loro fase migliore, magari con la possibilità di creare a Milano la base per scalare un’area politica nazionale che può riavere ruolo solo rinnovando vecchie leadership (Casini, Formigoni, eccetera). La stessa Lega ha messo in campo alle regionali una lista civica “maroniana” che è stata capace di superare il 10% dei voti e che a Milano potrebbe ancora esprimersi.
Nel ritardo della designazione del candidato “ufficiale” del centrodestra non c’è solo la tattica di verificare prima la caratura del concorrente. C’è anche la lotta per chi fa il king-maker, in cui il contrasto tra vecchi e nuovi leader è altrettanto drammatico quanto la poca analisi esistente sul rapporto e sulla domanda tra vecchi e nuovi elettorati. Tanto che per non decidere niente né su un fronte né sull’altro non stupirebbe il compromesso sul nome in fondo più distante sia da Berlusconi che da Salvini, cioè Corrado Passera.
Alla fine si vedrà, comunque, che l’offerta politica complessivamente rivolta con connotazioni civiche all’insieme degli elettori di tutti gli schieramenti corrisponderà ad un suffragio almeno pari a quello che raccoglieranno le liste di partito. Il che farà tornare a due sintesi note da tempo: destra e sinistra hanno subito una radicale trasformazione rispetto ai paradigmi della politica del ‘900; partiti e politica non strutturata sono ormai forme entrambe costituzionalmente accettabili della partecipazione.
Non sottovalutare i programmi
Si spera ora che la contesa non sia solo a colpi di marketing. Battute, allusioni, genericità. Con frasi fatte alle bancarelle. Un fattore che potrebbe (vorrei dire dovrebbe) accelerare e qualificare il dopo-Pisapia potrebbe essere costituito ora dall’intelligenza dei programmi. Pisapia di programmi ne aveva uno soprattutto di cornice, quello “liberatorio”, oggi insufficiente. Programmi che, proprio per questa ragione, non dovrebbero essere snobbati con il confezionamento di testi di routine senza alcun investimento creativo.La via imboccata nella Milano post-Expo a profilare ambiti più sfidanti per la città, non consente di elencare “scatole vuote” (città metropolitana, housing sociale, periferie, inclusione, mobilità, eccetera). E’ una via invece che segnala nuovi temi, nuovi approcci al rapporto tra politica ed economia, nuovi bisogni partecipativi e co-decisionali, nuovo sguardo critico al mondo e alle sue opportunità, nuovo peso dei fattori identitari e simbolici. La qualità di quei programmi sarà un segnale attrattivo per chi, magari essendo stato alla finestra, potrebbe riprendere il suo posto in uno schema collettivo che non prevede un uomo solo al comando e non consente neppure un eccesso di deleghe.