MESSAGGIO ELETTORALE DI VALERIO ONIDA (18 febbraio 2013)

 
Cari amici,
ormai siamo alla vigilia delle elezioni, e questa vota il voto – anzi, i voti – saranno davvero determinanti per il futuro del paese. Quindi, è la prima conseguenza, nessuno dovrebbe prenderlo alla leggera o sacrificarlo a qualche viaggio all’estero.
Nel 1996 abbiamo inaugurato, con l’Ulivo, una stagione di speranza, presto tramontata sotto i colpi dei particolarismi della sinistra, delle pericolose aperture a cambiamenti della Costituzione della bicamerale D’Alema, e delle resistenze al nuovo di vecchi apparati partitici. Nel 2001 abbiamo assistito al dilagare del berlusconismo, debolmente contrastato dalle scelte del centro sinistra (basta ricordare che fu preferito un Rutelli ad Amato per guidare la coalizione). Nel 2006 si è sconsideratamente preferito festeggiare una mezza vittoria risicata chiudendosi in un fragile recinto autoreferenziale, anziché cercare l’allargamento del consenso per emarginare la nuova destra. Nel 2008 questo errore è stato pagato con un’altra vittoria berlusconiana, andata in crisi soltanto per il precipitare degli eventi economici, e sfociata infine nella svolta del Governo Monti. Ora siamo al dunque.
Apparentemente le condizioni sono più che mai favorevoli. La destra berlusconiana in disfacimento, dopo aver perso pezzi importanti del proprio schieramento, importanti confronti elettorali amministrativi, e da ultimo anche il potere centrale, e dopo essersi dimostrata incapace anche solo di pensarsi al di fuori del personalistico e sfacciato paradigma berlusconiano. Il delinearsi di un centro-destra assai diverso (quello di Monti) con il quale, a differenza che con la prima, esistono ampi margini di possibile intesa sulle “cose”, e anche una ipotesi – nel caso risultasse necessaria e opportuna – di “grande coalizione” non sarebbe implausibile. La caduta di immagine della Lega, orfana del “carisma” (?) bossiano e vittima di scandali e scandaletti. Lo sfrangiarsi della sinistra “estrema”, fra pratica scomparsa di vecchie sigle consunte, definitivo screditamento del “populismo del no” alla Di Pietro, e comparsa di nuove improbabili “rivoluzioni” incentrate su magistrati malati di protagonismo. Tutto potrebbe sembrare cospirare a rendere possibile la ripresa robusta di una politica di ricostruzione civile, saldamente ancorata ai fondamenti della Costituzione, pronta a liberarsi a sua volta di feticci del passato, lontana dalle tentazioni del potere per il potere (o per i soldi), seria e seriamente impegnata nell’opera difficile, pragmatica ma non dimentica degli ideali collettivi, chiamata a governare un paese in crisi economica e non solo economica.
Pure si ha la sensazione che non sia un’opera a portata di mano. Il livello di screditamento della politica in generale e di sfiducia in ogni prospettiva costruttiva è enorme, ed è espresso anche dal massiccio consenso raccolto dal movimento di Grillo, di cui sono chiari solo il grido di rifiuto e l’idolatria (forse però guidata) della “rete”, molto meno i possibili contenuti ricostruttivi. I “richiami della foresta” dei Berlusconi anti-comunisti e anti-tasse, e della Lega anti-immigrati e della secessione fiscale, sono ancora in grado di attrarre consensi. I “no” prevalgono sui “sì”, lo scetticismo sulla fiducia; molti pensano che con i protagonisti attuali non ci sia niente da fare e rinviano la speranza di un rinnovamento ad un futuro indeterminato e del quale non si pongono nemmeno le fondamenta.
Però adesso andiamo a votare, per una legislatura nazionale e per una regionale che dovrebbero durare cinque anni (anche se già si comincia a dire che non dureranno: ecco sempre lo scetticismo), e che comunque per lungo tempo condizioneranno pesantemente il paese. Fra l’altro, il nuovo Parlamento, con i delegati regionali, eleggerà fra pochi mesi un nuovo Capo dello Stato: e negli ultimi anni abbiamo visto quanto sia importante avere un Presidente che rappresenti bene l’unità nazionale. Allora, oggi, si deve dire anzitutto che è giusto e doveroso votare: un astensionismo “di sinistra” in questo momento non avrebbe alcun senso.
In secondo luogo, il voto dovrebbe orientarsi verso prospettive positive e costruttive, più che esprimere la rabbia del “no”. Vogliamo sapere quali prospettive emergono e sono portate avanti. Poi vedremo: vedremo quanto ancora trascinano consenso i miti populisti alla Berlusconi, i localismi da Lega Nord, che cosa in Parlamento (dopo gli esperimenti municipali di Parma o di Mira) riusciranno ad esprimere i “grillini” (e magari – ce lo auguriamo – potremmo avere qualche sorpresa positiva, se questo personale politico nuovo saprà darsi un volto autonomo anche dal “capo”); se e quanto conteranno i nostalgici della sinistra “dura e pura”, e gli ultra-liberisti (seri) di “Fare per fermare il declino”; vedremo se nasce o si consolida il nuovo centro-destra coagulato intorno a Monti. E vedremo anche se e come il centro-sinistra, ove risulti vittorioso o determinante, saprà avviare una nuova fase, liberarsi da impacci e da prassi del passato, proporre nuove prospettive, rispondere alla sfida dei problemi urgenti.
 
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In Lombardia abbiamo anche il voto per il consiglio regionale e per il Presidente della Regione: una svolta comunque, dopo la lunga era di Formigoni. La Regione Lombardia è storicamente la capofila del nuovo regionalismo italiano, quello nato non sulla base di rivendicazioni di identità etnico-culturali né di aspirazioni indipendentiste, ma sulla base di una visione politica dell’autonomia come “libertà locale”, costruzione di un potere pubblico più vicino ai cittadini e più efficace nel rispondere alle esigenze della comunità, snodo di un governo dell’economia aperto al mondo ma attento ai caratteri del territorio. Era la Regione che nel 1974 anticipava lo Stato facendo la prima legge sull’inquinamento delle acque; che già negli anni Settanta conosceva uno sforzo di pianificazione territoriale “in grande”. In questo momento è più nota come la Regione dominata e “occupata” da Comunione e Liberazione; la Regione che ha avallato, a rimorchio evidentemente della Lega, politiche discriminatorie nei confronti degli stranieri (basti ricordare la legge che, attribuendo agli invalidi al 100% il diritto di viaggiare gratis sui mezzi pubblici, richiedeva però il requisito della cittadinanza italiana, o quella che escludeva le confessioni religiose senza intesa con lo Stato – fra cui quella islamica – dai contributi per l’edificazione di luoghi di culto: entrambe previsioni cassate dalla Corte costituzionale); la Regione che, invece di promuovere la rapida costituzione della “Città metropolitana”, destinata a rompere l’antico squilibrio fra il capoluogo e l’’hinterland, favoriva nuovi localismi con la istituzione della nuova Provincia di Monza-Brianza (mentre Bossi apriva fantomatici uffici di rappresentanza di Ministeri romani nella Villa Reale di Monza); la Regione che proprio in questi giorni ha bloccato a Roma l’approvazione del nuovo decreto sull’indicatore di situazione economica da impiegare per l’accesso con criteri di maggiore equità ai servizi pubblici; la Regione che ha favorito ampiamente, all’insegna della “libertà di scelta”, lo sviluppo di strutture sanitare private (tra cui il S. Raffaele o la Maugeri) mentre le strutture sanitarie pubbliche “storiche” di cui Milano era orgogliosa soffrono di ristrettezze crescenti.
La posta delle elezioni regionali è dunque alta: e le condizioni di partenza sono apparentemente favorevoli: un unico candidato Presidente di tutto il centro-sinistra (Umberto Ambrosoli), mentre la destra si divide fra il candidato leghista (Roberto Maroni), che cerca di proporsi come “rinnovatore” (!), all’insegna di uno slogan (peraltro ambiguo e irrealizzabile) di “secessionismo fiscale” – il famoso 75 % delle tasse “trattenuto”), dopo avere per tutti questi anni governato la Regione con il PDL di Formigoni, e un dissidente del PDL, già voluto e poi abbandonato da Formigoni (Gabriele Albertini). Pure, il rischio che anche in Lombardia il prevalere di vecchie logiche di schieramento o degli interessi di potere di gruppi finora dominanti porti a non cogliere l’occasione è forte. Il voto dei lombardi è particolarmente rilevante non solo per il Senato, dove il meccanismo del premio di maggioranza regionale condiziona l’esito della battaglia nazionale, ma soprattutto per la Regione, dove la vera contesa è fra Ambrosoli e Maroni, e il prevalere di quest’ultimo rischia di lasciare libero campo ai vaneggiamenti secessionisti della “macroregione del nord”.
 
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E’ utile ricordare i meccanismi del voto e della trasformazione dei voti in seggi, distinguendo i tre voti cui siamo chiamati:
a) per la Camera dei deputati, si può votare solo la lista prescelta (riunita o meno con altre in coalizione), mentre non si può esprimere alcuna preferenza. L’esito complessivo si gioca sul piano nazionale, nel senso che la coalizione che ottiene più voti (quale che sia la soglia raggiunta) consegue la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, distribuiti poi proporzionalmente fra le liste, rispettivamente, della coalizione vincente e delle altre coalizioni, purché ottengano almeno il 2% dei voti su base nazionale (se la relativa coalizione ottiene almeno il 10%), mentre le altre liste partecipano alla distribuzione dei seggi solo se ottengono almeno il 4%; l’ordine di elezione dei singoli candidati è determinato dall’ordine di lista, e dunque l’unico modo per favorire l’elezione di un candidato è votarne la lista;
b) per il Senato, come per la Camera, si può votare solo la lista prescelta (riunita o meno con altre in coalizione), mentre non si può esprimere alcun voto di preferenza. Ma la distribuzione dei seggi avviene su base regionale (fra le liste che hanno ottenuto almeno il 3% se parte di una coalizione che abbia ottenuto almeno il 20%, altrimenti almeno l’8%), con un premio di maggioranza attribuito in ogni Regione alla coalizione che ottiene più voti nella stessa; anche qui, l’ordine di elezione dei candidati è determinato dall’ordine di lista, e dunque anche qui l’unico modo per favorire l’elezione di un candidato è votare la lista in cui egli si presenta, a preferenza delle altre anche appartenenti alla medesima coalizione.
c) Per la Regione, invece, l’elettore può esprimere tre voti: uno per il candidato Presidente, ed è eletto quello che ha più voti; uno per una delle liste provinciali che si presentano per il consiglio regionale, anche se collegata ad un candidato Presidente diverso da quello che si è votato (c.d. voto disgiunto); un voto di preferenza per uno solo dei candidati della lista che si è votata. La distribuzione dei seggi in consiglio avviene in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna lista (purché il gruppo di liste ottenga almeno il 3% a livello regionale ovvero sia collegato a un candidato presidente che abbia ottenuto almeno il 5%), con un premio di maggioranza variabile a favore di quelle collegate con il candidato Presidente che viene eletto.
 
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Ai fini del voto nazionale, non essendovi voto di preferenza, posso solo segnalarvi la presenza, nella lista del Partito Democratico per il Senato, al dodicesimo posto, di Marilisa D’Amico, costituzionalista della Statale e presidente della commissione affari istituzionali del Consiglio comunale di Milano.
Ai fini dell’elezione del consiglio regionale, invece, dove si possono o esprimere i tre voti che ho detto, e quindi anche un voto di preferenza, vi segnalo i seguenti candidati presenti nelle liste collegate al candidato Presidente Umberto Ambrosoli :
– Nella lista del Partito Democratico per la Provincia di Milano:
– Ferruccio Capelli, socio di “Città Costituzione”; direttore della Casa della cultura; docente del Laboratorio di comunicazione pubblica presso l’Università di Milano Bicocca; autore di “Indignarsi è giusto”, “La formazione (è) umanistica”, “Sinistra light, populismo mediatico e silenzio delle idee”; ha ricoperto ruoli di direzione politica nel PCI, nel PDS-DS, nel PD; per la prima volta candidato in Regione.
– Nella lista Con Ambrosoli Presidente-Patto Civico per la Provincia di Milano:
– – Lucia Castellano (capolista), socia di “Città Costituzione”, assessore alla casa, ai lavori pubblici e al demanio nella Giunta comunale Pisapia, già “storica” direttrice del carcere di Bollate, per tanti versi un modello di come dovrebbero essere tute le “normali” carceri in Italia, per i criteri di gestione e per il forte orientamento dei programmi alla finalità costituzionale della risocializzazione dei condannati; autrice, con Donatella Stasio, di “Diritti e castighi”, un libro sul carcere. Per la prima volta candidata in Regione.
Silvia Fossati, socia di “Città Costituzione”, laureata in fisica, manager di ST Microelectronics nella sede produttiva di Agrate, una industria leader nella tecnologia elettronica, a lungo impegnata negli organismi rappresentativi della scuola a Milano. Per la prima volta candidata in Regione.
Beniamino Piccone, socio fondatore di “Città Costituzione”, laureato in economia aziendale, esperto di economia e finanza, docente di Sistema finanziario alla Università Carlo Cattaneo-LIUC, già impegnato in diversi ruoli istituzionali in Assolombarda, animatore del blog “Faust e il Governatore”. Per la prima volta candidato in Regione.
Buon voto a tutti!
 
Milano, 18 febbraio 2013
Valerio Onida