Memoria e comunicazione

Un’intervista in aula a Stefano Rolando  sull’attuale percorso di scrittura.
Stefano Rolando ha risposto, nel corso di  un seminario promosso alla ripresa autunnale del 2008 dal Master in Management della comunicazione sociale, politica e istituzionale dell’Università IULM di Milano dedicato al rapporto tra memoria e comunicazione, a dieci  domande che gli ha rivolto il coordinatore didattico del Master stesso Alessandro Papini.

Per quale ragione un professore universitario che appartiene al raggruppamento di Economia e gestione delle imprese e che insegna Teoria e tecniche della comunicazione pubblica sta intraprendendo un percorso di scrittura dedicato al passato prossimo?

E’ una domanda insidiosa, perché rivolta qui nelle aule dell’Università. Nel senso che l’accademia è ancora molto dipendente dai compartimenti determinati dai raggruppamenti, dai confini disciplinari e dai “territori” di potere che tutto ciò identifica. Io forse ho fatto un percorso accademicamente irregolare, approdando ai ruoli tardi e comunque dopo molte esperienze professionali. Ma soprattutto ci sono arrivato con una laurea in scienze politiche che ha generato un costante interesse all’approccio interpretativo della politica. Con una lunga frequentazione del sistema della comunicazione, attraversato prevalentemente dalla cultura sociologica. Con un’appartenenza professionale al management d’azienda (iniziato alla fine degli anni ’70 e passato attraverso un master in “Pianificazione e analisi strategica” in Bocconi che fu proprio una scuola di general management) che mi ha portato a vedere prevalentemente i risvolti  gestionali, organizzativi, di incidenza sul “social&economic building” delle attività comunicative, che ha reso sensato il mio rapporto con il raggruppamento economico a cui appartengo. Con una attenzione tuttavia trasversale – in tutta la vita – per la storia e per il metodo di raffreddamento e di scomposizione che aiuta anche lo studioso appassionato  a leggere in controluce ciò che spesso è trattamento stereotipato. Ecco, se metto insieme questi percorsi, mi è meno difficile cercare di spiegare il nodo attuale di scrittura dedicato al passato prossimo. E per farlo debbo  innanzi tutto dichiarare che la categoria di interesse che mi ha di più accompagnato nella vita professionale e ora universitaria è quella legata alle questioni dell’identità. Una categoria che mi ha fatto disegnare – nelle esperienze aziendali – percorsi  attenti al valore del brand e al rapporto di fedeltà e appartenenza dei consumatori. Che mi ha fatto lavorare – su scala nazionale, regionale e locale – a molte esperienze di branding pubblico. Che mi ha portato a riconoscere – tra esperienze collettive e esperienze personali – i legami fortissimi che caratterizzano rapporti di fiducia, di generazione, di appartenenza, come fattori in cui si costruiscono le solidarietà, di generano le imprese, si creano i movimenti di idee, si producono i più stimolanti consumi di cultura. 

In qualche modo  questo nuovo percorso è stato rivelato in Quarantotto, il libro pubblicato a giugno di quest’anno da Bompiani?

Si, certamente questo libro è addirittura plateale per intercettare tutte le dimensioni qui accennate. Ma avevo ronzato molto e prima intorno alla questione. Innanzi tutti lavorando con le pubblicazioni promosse alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (un catalogo di circa mille pubblicazioni in dieci anni) e poi attraverso Rivista italiana di comunicazione pubblica dal 1998 a oggi sul tema dell’identità nazionale. Un libro collettaneo (Italia ed Europa, identità e comunicazione) è stato da me curato nel 1999 per Franco Angeli. E poi per tutti questi anni ho seguito il processo di integrazione europea soprattutto nell’ottica della preoccupazione di Habermas, cioè attorno alla difficile formazione di una identità europea. Al tema ho dedicato larga parte dei lavori del Club of Venice che presiedo dal 1986. Debbo dire che le reazioni che sto ottenendo con Quarantotto mi consentono di rispondere che questo dibattito non è per nulla un dibattito tra persone anziane e neppure un dibattito con lo sguardo all’indietro. C’è un grande bisogno anche dei giovani di ritrovarsi all’interno di scie, di memorie, di “storie grandi”, rispetto a cui sempre meno persone, sempre meno media, sempre meno genitori, sempre meno professori ce li vogliono condurre. I presenti qui diranno a favore o contro questa tesi. E’ certamente la mia tesi, su cui però ho dedicato in questi anni sempre un angolo di confronto con i miei studenti. E con risultati su cui in giorno penso di fare una più meditata riflessione.  

Beh, in più la nostra non è una università di storia o filosofia, ma molto centrata sulle scienze della comunicazione. Quindi con lo sguardo molto sul presente….

E’ proprio questo approccio che cerco di discutere se non anche di combattere. Senza interpretazione non c’è comunicazione originale. Essa diventa ripetizione del bla bla, del passaparola mediatico, del punto basso del pensiero corrente. Quell’interpretazione è una tensione continua tra passato, presente e futuro. Il passato per costruire modelli, il presente per sperimentarli, il futuro per disegnare il posto dove si può scommettere sulla loro tenuta. Penso per esempio al lavoro amatissimo degli studenti che fa il mio collega di Storia del cinema Gianni Canova. Va al cuore di questo modo di concepire la “comunicazione” e cerca delle piste connesse al vissuto emozionale per far riflettere meglio sulle nostre categorie di vita e di pensiero. Io cerco – e non so se ci riesco sempre – di fare un po’ la stessa cosa attorno al modello di “racconto” che le nostri istituzioni, le nostre nazioni, le nostre città, i nostri territori, vanno svolgendo attorno a sé attraverso il tempo e le diverse condizioni generali (più o meno libertà, più o meno crescita, più o meno contaminazione). Facendo opera di partecipazione democratica e di coscienza collettiva, oppure al contrario  opera di propaganda e di decerebrazione sociale.  

Hai presentato in questi giorni a Palazzo Marino un libro da te curato e che contiene anche ricerche di Fondazione IULM sul tema Brand Milano. Nella tua lunga introduzione c’è molta storia nel rapporto tra Milano e la sua immagine.

Sì, Brand Milano è in uscita, con l’editore Franco Angeli. Contiene ricerche per Camera di Commercio e Provincia di Milano con il patrocinio del Comune . Il sindaco Letizia Moratti mi ha – in forma per me molto lusingante – chiesto di svolgere delle riflessioni al gruppo degli esperti che accompagnano la sua delega alla cultura proprio sul rapporto tra la cultura a Milano e il brand della città. A ragione del fatto che proprio la cultura pesa meno sull’identità e l’immagine complessiva della città del suo vero peso. Qui c’è un percorso di scrittura che si poggia sul passato ma con lo sguardo ben avanti, perché Expo 2015 potrebbe essere un potente traino per una rivisitazione proprio della “scatola nera” identitaria (così la chiamo nel libro) della città e dei suoi ormai compositi e complessi abitanti.  

In questa cornice è vero che stai tornando al periodo del fascismo con alcuni libri in preparazione?

Non esattamente. Ho concluso in questi giorni – sempre per Bompiani – un breve (assai più breve del lungo Quarantotto) dialogo (duecento domande  altrettante risposte) con una straordinaria donna quasi centenaria, Maria Luigia Nitti Baldini,  che essendo stata la figlia di Nullo Baldini e la nuora di Francesco Saverio Nitti rappresenta la memoria della cultura riformista rispetto al massimalismo e la memoria del principio liberale nello Stato rispetto alle diverse forme del pensiero autoritario. La sua ricchezza umana e lo spirito che ancora la anima fanno di questo Il mio viaggio nel secolo cattivo un bicchiere di champagne. Che si beve presto ma che non è una bibituccia. Mi sono così anche misurato con il ruolo della donna nella politica relativamente emancipata dell’Italia. E mi sono misurato con lo storico duello a sinistra su cui torno volentieri, dopo alcune pagine di Quarantotto, perché il confronto con il “tanto peggio tanto meglio” è storicamente quello che mette sotto e vanifica spesso gli sforzi di chi pensa che l’Italia sia governabile con le riforme e con il buon senso. 

In Quarantotto ci sono pagine dedicate a questa storia. Pagine che mettono l’accento delle scelte personali più sugli anni ‘60 e sugli anni ‘80, rispetto agli anni ’70 e agli anni ’90. Pagine in cui ci sono sentimenti ancora aperti sulle questioni che hanno sconvolto la geografia del paese e cancellato alcune forze politiche. 

Si, ci sono limitatamente al fatto che in quel libro sono raccolti oltre cento scritti miei, prevalentemente su materia civile e di attualità, che in alcune occasioni toccano appunto questi nodi. La cornice che ho cercato di disegnare (soprattutto l’introduzione) è lo sforzo di leggere tutto ciò anche come bilancio generazionale. Tuttavia sempre con una lavorazione lunga, cominciata all’inizio del 2006, per stimolo e sollecitazione della Fondazione Craxi, ho cercato di indagare una storia centrale nel rapporto tra la mia esperienza personale e alcune pagine sconvolgenti di questi anni. La storia dei socialisti italiani, soprattutto leggendo – qui credo di esser  tra i primi  farlo con una prima necessaria distanza di tempo – questa storia per come essa ha voluto raccontarsi, quindi attraverso la storia della loro comunicazione. Sia diretta agli italiani, sia intercettata (e spesso polemicamente) dal sistema mediatico. Il libro analizza la vicenda alla metà degli anni 70 (esattamente dal 1976) alla sparizione del Partito Socialista nel 1994. Si intitolerà Una voce poco fa e lo sta curando editorialmente Marsilio, presumo con uscita ai primi del 2009. Il mio testo  è trapuntato da 35 interviste con protagonisti di quella vicenda (almeno quelli che hanno voluto rispondermi) e concluso da un lungo colloquio con Francesco Cossiga.  

E non è finita qui, se sono vere le notizie che circolano…

Non circola nulla perché non ho detto niente a nessuno. Però già che ci siamo dico a chi mi segue di più tra studenti vecchi e nuovi quali sono i tavoli domenicali (e di qualche nottata) che tengo sgombri dalle carte del lavoro quotidiano per cercare di misurarmi con altre cose. Soprattutto con altre emozioni. Dunque sono due libri che hanno una previsione di uscita uno nel 2009 (in occasione dei settanta anni di inizio della seconda guerra mondiale) e uno nel 2010 (nel cinquantenario della fine assoluta dell’età della ricostruzione di Milano). Con entrambi questi libri regolo anche i conti affettivi con i miei amati genitori. Soprattutto con mio padre. Il primo dei due libri si chiamerà Cara Furni. Metafore dell’8 settembre e ruota appunto attorno all’8 settembre. Come qualcuno ha scritto “c’è un 8 settembre diverso per ciascun italiano che l’ha vissuto”. Quello di mio padre –  medaglia d’argento al VM – è ruotato nelle isole dell’Egeo e  nel ritorno a casa a fine 1946. Qui ascolto un semplice soldato, quasi novantenne  che fu suo fidatissimo attendente nelle isole di Samo e Furni e contestualizza questo racconto degli italiani più poveri con altri moduli espressivi che ora non dico perché li ritengo una piccola sorpresa. Questo libro è in fase avanzata di scrittura. Ma penso che sarà necessario anche fare un sopralluogo (anche con testimoni) nelle isole greche prima di chiudere la redazione. Dunque conto di consegnare il libro – anche simbolicamente – a Pasqua.  

E il secondo libro?

Il secondo libro è dedicato al capitolo chiave della moderna identità di Milano. Gli anni della ricostruzione. Ho raccolto molto materiale ma non ho ancora individuato il percorso narrativo. Titolo provvisorio Ex novo. Sono determinato a compiere questa rivisitazione proprio all’interno del rapporto tra la generazione che mi ha preceduto e la nostra. Soprattutto a cercare il dna dello sforzo collettivo a cancellare i segni della distruzione e a generare pace e progresso.  

Poi basta?

No, questo ciclo ha ancora un soggetto che cova. Non faccio mai mistero del fatto che la mia vita è molto trasformata da una figlia che ha 13 anni e che vive nei due paesi  – per metà di nazionalità italiana, per metà di nazionalità romena – con uno suo percorso di studi in cui le lingue essenziali – oltre alle due lingue madri – sono il tedesco, l’inglese e il francese. Sto molto indagando la relazione di immagine tra italiani e romeni. Lo faccio, attraverso Fondazione Università IULM, che dirigo qui in ateneo, con lo stimolo di Unimpresa Romania (cioè l’associazione degli imprenditori italiani che operano là) con un primo ciclo di ricerche svolte nel 2004 e un secondo ciclo che sto svolgendo adesso. Nel frattempo ho intercettato una grande quantità di storie umane, di storie di impresa, di storie di dolori e di speranze, di storie di successo, legati a questo processo di contaminazione di massa (milioni di persone sono state attraversate da questa vicenda) e legati ad una nuova pagina di ricerca identitaria che intanto quel paese deve compiere se vuole stare in Europa con una soggettività nuova e piena, e al tempo stesso orgogliosamente dentro la propria storia. Ecco questo è il canovaccio dell’ultimo progetto in cantiere. Titolo provvisorio Italia&Romania, una ricerca identitaria. Ma ad esso voglio dedicare tempi lunghi di elaborazione perché la questione la si capisce a poco a poco. E voglio dare il tempo alla mia principale “collaboratrice”, mia figlia, di sintonizzarsi con me su questo progetto.  

Hai qualcosa da aggiungere?

Ho raccontato – perché è stato scelto questo tema come case history del tema oggi in discussione “memoria e comunicazione” – di un percorso un po’ laterale rispetto ai nodi di interesse più specificatamente disciplinare. Fatemi accennare anche a questi in conclusione, per non dare la sensazione a qualcuno di essere ammattito. In realtà sto per finire un tentativo di rileggere il rapporto per molti anni distante e contrapposto tra la comunicazione di impresa e la comunicazione pubblica. Sono stato sollecitato proprio dal mio raggruppamento a compiere questo lavoro. Restano ancora ben inteso campi applicativi e modalità tecnico-professionali saldati alle rispettive diversità. Tuttavia i passi di convergenza – all’interno della nozione di “organizzazioni complesse” – sono importanti e ad essi vorrei dare un primo spessore valutativo e analitico. Il libro ha per titolo La comunicazione delle organizzazioni complesse ed è pronto a fine anno. Esce con CEDAM di Padova.

Era annunciata una nuova versione del manuele Teoria e tecniche della comunicazione pubblica: ma i tempi sembrano allungati. No?

Lo detto anche in aula aglòi studenti, devo rimettere le mani sul manuale Teoria e tecniche della comunicazione pubblica, con Etas, che ha un impianto di scrittura del 2001 e poi è stato rimaneggiato e aggiornato nel 2003. Credo che la nuove stesura sia rivoluzionaria. Ho bisogno ancora di qualche mese e di metabolizzare fino in fondo un periodo un po’ tumultuoso e anche critico sulla comunicazione pubblica in Italia che considero che si concluderà alla fine del salone della comunicazione pubblica appunto in svolgimento a Milano dal 21 al 23 ottobre. Uscirà comunque nel 2010. Forse dividendo in due il manuale, da un lato un testo snello di analisi culturale e di intrerpretazione dei processi (che vorrei intitolare La comunicazione pubblica per pensare in grande), dall’altro lato il manuale molto asciugato, più che altro definitorio e di inventario del perimetro pieno della materia.

E’ tutto?

Infine – forse questo i mie stessi studenti che hanno fatto l’esperienza dei corsi di laurea e poi del master non lo sanno ancora – ho avuto assegnato dall’anno accademico 2009-2010 un nuovo insegnamento. Che contiene le parole “comunicazione” e pubblico” ma non è affatto la comunicazione pubblica. Bensì le Politiche pubbliche per le comunicazioni. Insomma qualcosa che riflette piuttosto i tanti mestieri fatti nel settore (pubblicità, televisione, cinema,editoria, media), rispetto a cui sono tuttora membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni. Un libro reso possibile da un contributo di ricerca di Corecom Lombardia e che è in realizzazione anche con il contributo di coordinamento delle tre parti in cui si articola di Anna Alessi, Stefano Florio e Alberto Rossi. Anche questo libro – che sarà edito nel 2009 – è di Etas.