Maroni bifronte. Taccuino alla Conferenza Migrazioni. Su Mondoperaio n7/2009.

mondoperaio 7/2009 taccuino
Conferenza sull’immigrazione
Maroni bifronte
Stefano Rolando
 
Non pochi partecipanti alla seconda conferenza nazionale sulle migrazioni promossa dal Ministero dell’Interno e dall’ANCI il 25 e 26 settembre presso l’Università Cattolica di Milano si sono chiesti, almeno fino a un minuto prima dell’intervento conclusivo del ministro Maroni, per quali ragioni quello stesso ministro abbia approvato un programma – nome per nome, titolo per titolo – in cui per la parte prevalente dei lavori si è sentito raccontare l’immigrazione con accenti diversi, se non distanti, dalle cose che lui e il suo partito sono soliti dire su questo fenomeno. Il tema stesso di fondo (“Identità e pluralismo”) è parte di una visione liberal del doppio movimento culturale: gli immigrati che si adattano a noi, noi che ci adattiamo agli immigrati (lo ha sottolineato l’ex ministro dell’Interno Giuliano Amato, aprendo – con un contributo di livello internazionale più volte applaudito – la tavola rotonda conclusiva).

Intanto la stessa location del convegno alla Cattolica, con il rettore Lorenzo Ornaghi ovviamente attento alle tematiche integrazioniste. Poi il lavoro istruttorio e organizzativo affidato a Nomisma, che non è più agenzia prodiana ma pur sempre reca quell’impronta storica. E poi i relatori di apertura. Zygmunt Baumann (registrato) che ha evocato, citando Habermas, la comunicazione del consenso per affrontare la materia. Poi Giuseppe De Rita, che ha proposto di considerare chiusa la prima fase della nuova era migratoria basata sulla percezione localistica fondata sulla paura per guardare ad una percezione mondialistica più rallentata e più stabilizzata. Poi Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, con forti richiami alla cultura dell’accoglienza. Attorno a loro l’apparato dell’Interno con la voglia di esprimere e comunicare una buona volta la cultura civile di quell’amministrazione più che quella di polizia. Ai sottosegretari di Stato, coordinatori dei tavoli di lavoro, distribuiti tra i partiti della coalizione di governo, è spettato un compito di ascolto e di inventario delle opinioni dei relatori (chi scrive tra questi). In taluni casi riferendo con prudenza interpretativa (Pasquale Viespoli di PDL-AN) o correggendo un poco faziosamente le cose sentite (Francesca Martini della Lega, che ha fatto la parte della “cattiva” lasciando al ministro un campo più morbido). In altri casi non riferendo nulla (Alfredo Mantovano di PDL-AN e Margherita Boniver di PDL-Forza Italia per il Comitato parlamentare Shengen), perché stranamente assenti nel momento di resoconto in plenaria.
La seconda giornata dei lavori è stata introdotta dalla lettura dei giornali sul ministro Maroni che polemizza con i PM ove non applichino la legge che considera reato la clandestinità. Una contro-conferenza? Una doppia pista? Anche grazie a questa “teatralità” la domanda sulle strategie della conferenza si è resa politicamente e giornalisticamente più evidente. Avvenire ha impaginato la contraddizione. Da un lato Maroni contro i giudici, dall’altro “le ricette per nuove convivenze” della conferenza voluta da Maroni.
Prima di Maroni – oltre ad Amato – le fila politiche del tema avevano avuto più protagonismo di proposta in Sergio Chiamparino (presidente dell’ANCI) – con accenti che gli hanno portato un’ovazione a proposito di correzioni di tiro sulle regole del diritto d’asilo – che in Roberto Formigoni e Letizia Moratti, che hanno fatto equilibrati interventi di rivendicazione di corrette pratiche di gestione. E in chiusura il segno politico è stato affidato per la parte governativa a Stefania Craxi (che porta un cognome che ha una storia nel rapporto tra popoli e diritti, sia nel quadro del Mediterraneo che dell’ONU): “Prepariamoci ad essere davvero multietnici e multireligiosi, e che nessuno si permetta di dire che gli italiani sono xenofobi e razzisti”, ha detto, ed ha chiesto a Maroni di “interpretare la legge, che non può consentire la caccia a cinquecentomila irregolari ma serve a far discernere amministrativamente i casi”; e per la parte dell’opposizione (e comunque per dar voce alle Regioni) a Vasco Errani, presidente dell’Emilia-Romagna. Garbato sfottò finale di Giuliano Amato – davanti a Maroni – che ha chiamato l’ex militante comunista Errani “principe del federalismo”. Ed Errani ha messo in discussione la “dimensione culturale” dell’Italia per affrontare modernamente la portata del fenomeno, argomentando che esso non può essere limitato dentro la cornice del tema “sicurezza” e deve essere meno cavalcato per ragioni di consenso, nonché stigmatizzando i tagli agli enti locali per le politiche pubbliche sul welfare.
Maroni ha ringraziato prima di tutti Giuliano Amatoper l’intelligenza e la lungimiranza del contributo”. Ha detto che l’intervento di Baumann è stato “bellissimo”. Ha rivendicato il suo rispetto per la diversità delle opinioni. Ha detto che la conferenza è stata “ricca”, e che non era il caso di “tirare conclusioni”. Un imputato: la Commissione europea, “voce flebile e poco autorevole, che ha agito poco e ha agito male, sia sul contrasto, sia sul progetto di integrazione”. Un auspicio (rivolto al ministro spagnolo presente) circa la capacità della Spagna (prossima presidenza di turno) di prendere la leadership del tema imponendo all’Europa di trovare soluzioni condivise. Una mano tesa: ha detto che “essendo re del federalismo” può ben trovare accordi federalisti con Errani, perché senza risorse non si trovano soluzioni, ricordando conflittualità Stato-Regioni del passato a suo avviso “paradossali”. Una criticità: i minori non accompagnati (con cinque minuti di dura contestazione “associazionista” in aula), per segnalare il virtuoso esempio della Fondazione S. Vito di Mazara del Vallo, ma anche la debolezza istituzionale sulla materia. Una proposta: fare una conferenza permanente sul tema dell’immigrazione, con tutti i soggetti fin qui coinvolti e con altri. E con l’Università Cattolica partner scientifico: “visione integrata e accoglienza delle proposte anche critiche”. Dunque la lettura dell’evento consente varie risposte. Quella di un passaggio di ravvedimento nella politica leghista sull’immigrazione; quella di un percorso di accoglienza della complessità del tema che va compiendo lo stesso ministro dell’Interno; quella della necessità strategica della Lega di trovare forti argomenti di accreditamento presso il mondo cattolico e presso il Vaticano; quella – sussurrata a bassa voce da qualcuno in sala – di Roberto Maroni che tenta alle prossime regionali la scalata alla Lombardia (scalzando Formigoni e un voto “centrista” forte a Milano). A fine lavori e scrivendo questa rapida nota di resoconto, propendiamo per un mix di tutto ciò (con qualche dubbio sulla conversione della Lega). Ci semplifica la spiegazione e ci fa stare nello spazio assegnato.