05/11/2008 – Discussione a cena al Mama di Milano
discutono il libro di Stefano Rolando, edito da Bompiani
Nota di Alessandro Papini
Simpatica partecipazione conviviale il 5 novembre al Ristorante Cafè Mama di via Caminadella a Milano per una riflessione pubblica a più voci sul libro Quarantotto di Stefano Rolando (Bompiani).
Ha introdotto la serata Alberto Mina (direttore delle relazioni esterne di Regione Lombardia) osservando che il libro è una vasta fonte di argomenti ricollocati nella lettura dei decenni che ci separano dalla nascita della Costituzione “scelta – oggi si direbbe singolarmente – dall’autore come data gemella della propria stessa nascita”. Il giornalismo studentesco negli anni cinquanta e sessanta e la “scoperta” sociale e politica del Brasile a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Poi l’incidenza di un’esperienza in Rai “vissuta come introduzione alla cultura professionale e personale di servizio pubblico” e, tra gli anni settanta e ottanta, l’incidenza dell’esperienza politica e della questione del socialismo in Italia (“per cui il libro rivela che la questione PSI costituisce ancora un deposito forte”). Non c’è tanto “la politica”, ma la relazione costante tra il privato e il pubblico che “porta all’attualità, al passaggio del secolo, senza retorica e senza nostalgie ma con la voglia vitale di parlare ai giovani”.
Maria Luisa Sangiorgio (presidente del Corecom della Lombardia, già assessore all’istruzione a Milano e già parlamentare del Pci) ha colto il contributo del libro “a ritrovare nel libro cose che si sono un po’ perdute, come figure importanti della vita milanese come Paolo Grassi o vicende che hanno davvero segnato un percorso generazionale”. “Se questo libro fosse stato scritto venti anni fa – ha detto – sarebbe sicuramente stato presentato in uno dei tanti circoli di cultura politica vivi e vitali a Milano oggi spariti”. Insomma un libro che aiuta a fare un bilancio delle cose acquisite e delle cose perdute. Un libro che caratterizza persone e ambienti, rispetto a cui “si profilano anche le figure femminili, intese non solo come soggetti di affetti ma anche come persone con il loro profilo sociale e professionale”.
Andrèe Ruth Shammah (direttore artistico del Teatro Franco Parenti) ha esordito ragionando sull’indice dei nomi del libro. “Leggendolo ho capito che era fantastico stare dentro questo indice. Perché scorrendolo ho ritrovato tutta la mia vita. E ho detto di conoscere questo libro prima ancora di leggerlo”. I ritratti – da Grassi a Pertini a Craxi – ci restituiscono con il loro posto nella nostra memoria collettiva persone di cui si è smesso di parlare. Quindi vi è una restituzione di memoria ma anche di sollecitazione a guardare in altro modo al futuro. Ed è un libro che restituisce anche un giusto profilo al suo autore, “una vita dedicata ad essere al servizio di qualcosa di più grande dell’interesse materiale e quotidiano”.
Carlo Tognoli (già sindaco socialista di Milano, parlamentare e ministro e attualmente presidente del Policlinico di Milano) ha accolto l’invito a stare sull’indice dei nomi come perimetro generazionale, osservando che – agli occhi di chi ha dieci anni di più dell’autore – nel bagaglio dei riferimenti manca qualcuno (come l’ungherese Imre Nagy, ad esempio) e qualcuno c’è un po’ di sfuggita (come John Kennedy). “Ho apprezzato il libro perché non è carico di giudizi, salvo uno netto e inequivocabile riguardante la lunga pagina del terrorismo”. Importante il contributo al ricordo di Sandro Pertini “un presidente della Repubblica molto attento a Milano, città in cui veniva anche in forma privata”. La citazione fatta da Mina alla stampa studentesca corrisponde ad una più ampia palestra di formazione civile e politica prima del ’68 che ha riguardato quassi tutta la classe dirigente. “Condivido l’opinione dell’autore sulla generazione fortunata, nata e cresciuta in condizioni di vivere con certezza il futuro e condivido molti sentimenti provati di fronte a luoghi ed eventi della storia, come la conoscenza di Israele rimproverando caso mai Stefano Rolando di esserci andato tardi”.
Antonio Del Pennino (già vice-sindaco di Milano e per otto legislature parlamentare repubblicano di Milano) ha ritrovato nei ricordi condivisi l’esperienza giovanile nelle file repubblicane milanesi prima del ’68 e ha apprezzato il filo roso di un percorso culturale e civile coerentemente orientato al riformismo. Sul terrorismo apprezza la fermezza dei giudizi e la chiarezza di ricostruzioni (come quella del caso Tobagi), nel quadro di una storia che è ancora largamente da indagare. “Nel contributo originale alla descrizione di alcune personalità è da segnalare la capacità di offrire un tratto di analisi pre-politica rispetto a figure come Pertini”. Qualche perplessità sul giudizio indulgente verso l’ipotesi di nuove aggregazioni nella politica italiana “che si vanno delineando non come sintesi ma come sommatorie”.
Mario Abis (presidente dell’Istituto Makno) ha aperto il suo intervento con un articolato giudizio di sintesi:”E’ – magari sorprendentemente – un bel libro. Scritto scioltamente, non retorico, non nostalgico, tutto in tensione tra pubblico e privato. Non frammentario, ma costruito sulla ambiguità di ciò che è complesso”. Il ritorno, negli anni, dell’approccio a Milano (identità e cambiamento) è uno dei caratteri forti del libro. Partendo della ricostruzione e arrivando alle nuove attuali trasformazioni. Da questo punto di vista la parte finale è forse la più interessante. Nella parte centrale si segnalano spunti di grande attualità su come intendere l’evoluzione dell’industria culturale in Italia. Sul piano personale “il ritratto di una figura costantemente al servizio delle istituzioni”.
Giuseppe Zola (già pro-sindaco democristiano di Milano, impegnato nel movimento di CL) ha concluso gli interventi, a sua volta rifacendosi alla prima parte di rievocazione della Milano del dopoguerra: “nella prima parte del libro ho condiviso il clima di quartiere che ispira molte descrizioni di ambienti comuni; e poi ho condiviso giudizi su periodi importanti della nostra vita, come quello di chiamare l’età febbrile gli anni sessanta”. Un contributo a rileggere l’interesse e la passione per la politica come esperienza ideale. Ma anche una polemica contro la lettura degli eventi in chiave eccessivamente ideologica per preferire “le storie dell’uomo comune che cerca anche la poesia della vita quotidiana”. Spunti nel libro per capire tuttavia anche alcune dinamiche generali, come ad esempio lo spirito del centro-sinistra di quegli anni. “Meritava di dare più spazio all’esperienza generazionale rappresentata da Gioventù Studentesca ispirata da don Giussani”.
Stefano Rolando ha ringraziato tutti gli amici presenti, commensali e relatori “che hanno parlato come una sorta di soggetto collettivo di una certa milanesità, cogliendo connessi e complementari aspetti che il libro cerca di far emergere sapendo di parlare a sensibilità diverse”. Il libro ha voluto dare un contributo generazionale al bilancio di un periodo leggibile come lunga evoluzione. Milano, ma anche Roma “città ugualmente amata”. Personalità della politica e della cultura, “ugualmente maestri”. Apprezzamento per chi ha colto che le eredità identitarie servono a posizionarci per il futuro, caratteristica da sempre dei milanesi. Vera l’intransigenza per la rielaborazione sul terrorismo, anche quando alcune pagine di analisi mettono in evidenza più ambiguità che chiarezze. Un tentativo di parlare ai giovani (anzi risistemando qui in forma diversa i contributi per il futuro, accogliendo i consigli di Patrizia Galeazzo) ma anche a chi ha espresso punti di vista diversi ma interattivi. E’ il caso del mondo cattolico, di cui vi sono varie tracce nel libro. “E’ vero che è meno rappresentato il dialogo con CL – in gioventù era anche un forte confronto – che tuttavia c’è stato e su cui darò ulteriori contributi”. Infine sul confronto a sinistra: “una storia ripresa più volte nel libro, una partita non chiusa, anche se – come dimostra la lettera alla fine a Piero Fassino – non vi è stata e non vi è indulgenza di posizioni”. Oggi l’esperienza universitaria e di Fondazione Iulm (“ringrazio per la presenza alcuni miei collaboratori e i miei colleghi Emanuele Invernizzi e Giorgio Fiorentini”) aprono un nuovo capitolo di lettura del rapporto tra Milano, l’Italia e l’Europa e quindi “spunti per esprimere opinioni, come ho intenzione di continuare a fare”.