Linda Lanzillotta – La nuova Tangentopoli (Europa, 26 feb 2010)

Europa 26-02-2010
La nuova tangentopoli
di Linda Lanzillotta 
Ancora una volta, dopo quasi diciotto anni, un’ondata di inchieste giudiziarie si abbatte sulle istituzioni italiane e sulla pubblica amministrazione e rischia di abbattere la Seconda Repubblica come accadde nel ’92 con la Prima. E ancora una volta la politica sgrana gli occhi stupita e sembra scoprire improvvisamente ciò che da tempo era prevedibile e che non è riuscita a prevenire con riforme tempestive. I fatti emersi nelle ultime settimane segnalano infatti una profonda trasformazione rispetto alle vicende di Tangentopoli. Si tratta di cambiamenti che discendono direttamente dal diverso assetto dei poteri politici e amministrativi che si è andato configurando in questo ventennio.
Un potere centralizzato che si frantuma e si diffonde negli innumerevoli nodi di una rete multilivello in grado ognuno di condizionare le decisioni di altri; un sistema nuovo nato con l’ambizione di accrescere responsabilità, trasparenza, semplicità e il cui risultato, in molti casi, è stato esattamente l’opposto. La corruzione si manifesta oggi laddove le riforme istituzionali, politiche e amministrative degli anni Novanta e Duemila hanno spostato il potere: il potere di decidere e il potere di gestire risorse pubbliche. E, infatti, se nei primi anni Novanta protagonisti delle inchieste erano i partiti nazionali, i loro segretari politici e amministrativi, i ministri e gli amministratori locali in quanto terminali delle decisioni dei partiti nazionali, oggi vediamo che la corruzione, a livello centrale, riguarda prevalentemente l’alta burocrazia i cui poteri, in nome del principio di separazione tra politica e amministrazione sono stati enormemente rafforzati; e, al contrario, a livello locale, nelle regioni e nelle città, le inchieste investono direttamente amministratori, sindaci, assessori, presidenti di regione dei quali non solo il federalismo ha amplificato enormemente le competenze ma che, parallelamente, grazie a un esercizio spregiudicato e senza limiti dello spoil system e a una espansione abnorme delle funzioni affidate a società per azioni amministrate fiduciariamente da persone nominate dai partiti, hanno instaurato un controllo diretto sulla gestione amministrativa.
Separazione tra politica e amministrazione e affidamento all’autonoma determinazione della burocrazia dei poteri di gestione nell’amministrazione statale, devoluzione di competenze a regioni ed enti locali, vale a dire le riforme pensate proprio per rispondere alla Tangentopoli degli anni ’90 hanno finito per produrre esiti opposti a quelli voluti. Perdita di indipendenza e di terzietà da parte della pubblica amministrazione, aleatorietà dei controlli, stratificazione dei livelli decisionali e dei passaggi burocratici con conseguente moltiplicazione della intermediazione politica. Ma questo esito non era né scontato né inevitabile, se le riforme, come spesso capita nel nostro paese, non fossero rimaste a metà e se una interpretazione perversa del bipolarismo non avesse fatto sì che, a ogni legislatura e a ogni cambio di maggioranza, si smontasse quello che si era fatto o avviato nella precedente rendendo impossibile realizzare cambiamenti che hanno bisogno, per dare frutti, di tempo e di continuità. Fatto sta che lo spoil system e la nuova modalità di affidamento degli incarichi ai dirigenti dello stato non sono stati accompagnati da una adeguata riforma dei controlli che, con buona pace della Corte dei Conti, sono rimasti di carattere puramente formale mentre non si è neppure tentato di “misurare” i dirigenti sulla base di verifiche sostanziali che valutassero e comparassero, ad esempio per le opere pubbliche, i tempi di realizzazione, i costi unitari, la qualità; cioè quegli indicatori reali che fanno emergere anomalie e malversazioni. E invece, con il colpevole contributo della cultura interdittiva della sinistra e del peggior ambientalismo, si sono costruite procedure farraginose fatte di innumerevoli passaggi autorizzatori (il cui superamento comporta altrettante mediazioni o “dazioni” politiche) che hanno rappresentato l’alibi per procedimenti opachi gestiti da burocrazie mai chiamate a rispondere dei risultati giustificando il ricorso sempre più ampio a procedure di carattere straordinario. E’ così che la burocrazia statale e tutto il sistema che intorno ad essa ruota – organismi tecnici, consulenti appartenenti alle magistrature preposte al controllo e alla giurisdizione – è diventata un corpo sempre più potente ed autoreferenziale, in grado di condizionare la politica che da lei dipende per riuscire a realizzare i risultati sulla cui base i cittadini/elettori valutano l’operato dei governanti ma difficilmente orientabile dalla politica negli obiettivi e ancor meno controllabile quanto a risultati.
Molto diversamente sono andate le cose a livello locale dove i governi regionali e locali, destinatari a partire dal 1997 e ancora di più dal 2001, di poteri sempre più ampi e ricchi, hanno di fatto aggirato le norme sulla separazione tra politica e amministrazione nominando personale di propria fiducia a capo delle strutture amministrative, oppure affidando alle società in house, compiti sempre più ampi al di fuori di ogni regola pubblicistica, senza controlli e senza trasparenza. Il risultato è stato quello di sindaci e presidenti di regione sempre più potenti, punto di riferimento dei poteri economici, sempre più in grado di controllare i partiti a livello locale e di condizionarne gli assetti nazionali. Nei partiti, dunque, rispetto agli anni ’80, i rapporti tra centro e periferia si sono ribaltati. E anche per questo, io credo, i partiti sempre meno sono in grado di esprimere e proporre al paese una visione nazionale che non sia la mera mediazione di interessi locali. Che fare allora? Bisogna riprendere il filo delle riforme interrotte e intervenire con decisione laddove si sono aperte le falle che hanno fatto incuneare la corruzione e farlo prima che si aprano delle voragini.
E’ possibile farlo con misure concrete che faranno parte, insieme a norme per la riduzione e la trasparenza dei costi elettorali a livello locale, di un pacchetto anticorruzione che API presenterà nei prossimi giorni:
  1. Prevedere controlli sostanziali sulle amministrazioni per misurare i risultati dell’azione amministrativa e, su questi, chiamare i dirigenti a rispondere del loro operato.
  2. Introdurre un regime d’incompatibilità per i magistrati amministrativi e contabili stabilendo una separazione tra funzioni ausiliarie e funzioni giurisdizionali: chi giudica degli atti della P.A. non può svolgere il ruolo di consulente e viceversa. Più in generale va definito un severo regime di incompatibilità per chi riveste cariche pubbliche o ricopre incarichi amministrativi individuando anche un organo sottratto alle maggioranze politiche che faccia rispettare la legge.
  3. Limitare drasticamente lo spoils system nelle amministrazioni statali e ancor più nelle regioni e negli enti locali stabilendo che il reclutamento dei dirigenti deve avvenire per concorso e introducendo l’obbligo di rotazione per gli incarichi dirigenziali: ricoprire la stessa carica troppo a lungo determina pericolose incrostazioni di potere.
  4. Nelle regioni e negli enti locali limitare radicalmente la istituzione e l’ambito operativo delle società in house e stabilire che siano le minoranze a nominare negli enti e nelle società partecipate gli organi di revisione e controllo.
  5. Nella sanità le nomine siano affidate ad una Agenzia nazionale e indipendente che selezioni i manager sulla base di titoli professionali e scientifici e li assegni alle singole Asl secondo criteri automatici. I manager siano valutati per i risultati conseguiti e non in base alla loro fedeltà e compiacenza verso la politica.
  6. Semplificare drasticamente le procedure autorizzative limitando al massimo i casi in cui più di un livello istituzionale (regione, provincia, comune) debba esprimersi sulla stessa autorizzazione.
Se la politica troverà la capacità e la coesione per interventi non demagogici ma capaci di incidere sui meccanismi che oggi generano la corruzione allora sarà possibile riallacciare i nodi di una rete che si sta strappando e recuperare le ragioni virtuose delle riforme federaliste. Altrimenti sarebbe alto il rischio di trasformare la complessità istituzionale del federalismo in un labirinto senza via d’uscita.