Lettera a Paolo Giacomoni, cognato di Giorgio Bocca (26 dicembre 2011)
Corsia dei Servi, Milano 1971 – Con Giorgio Bocca a Camillo De Piaz
Caro Paolo,
una giornata tra influenza, trasferimento da Milano a Roma, niente giornali. E così ho appreso in ritardo la notizia della scomparsa di Giorgio Bocca.
Almeno a te (e se possibile a tua sorella) vorrei dire tutto il mio dispiacere. Per me – nel lontano ricordo del liceo e del nostro Mr. Giosuè – Bocca è stato il risultato di una scelta fatta tra le due redazioni, la nostra e quella della Zanzara (tu eri già all’università), per avere una intervista-testimonianza complessiva nel numero che insieme dedicammo al ventennale della Resistenza, nell’aprile del 1965. Dell’intervista si incaricò Walter Tobagi. Fu uno dei pezzi forti del fascicolo.
E così ti porti dietro per una vita uno che, senza padrini e senza padroni, ti ha ammonito, incoraggiato, avvertito, disilluso, osteggiato, sostenuto, secondo i casi, tantissimo. Sul Giorno, per noi indelebilmente. E poi, si sa, nella lunga appartenenza a Repubblica-Espresso, ma credo soprattutto nella sua appertenenza alla sua storia e al suo modo di vedere la storia. Mi ricordo a fine anni ’70 Martelli, mentre i socialisti già lo soffrivano non poco per le sue sferzate, parlandone a proposito di critiche, lo difendeva perchè “uno così comunque da molto, da molto”. Non so quanto sia andato avanti a difenderlo. A un certo punto le divaricazioni sono divenute ovviamente viscerali. Ma per me – parlando del giornalismo civile in generale – fino ad oggi ha dato molto, ci ha dato molto.
Tu avrai condiviso parecchio della sua vita un po’ orsesca. Chissà come ha sopportato il tuo entusiasmo e il tuo ottimismo!
Per le ragioni dette e forse anche per altre, un abbraccio
Stefano
PS
Ecco l’intervista di Tobagi a Bocca del 1965
Aprile 1965
Numero speciale dei giornali studenteschi
La Zanzara, Liceo Parini (Milano), Mr. Giosuè, Liceo Carducci (Milano
INTERVISTA CON GIORGIO BOCCA
L’attualità della Resistenza
A cura di Walter Tobagi
Giorgio Bocca è uno dei più attivi storiografi e pubblicisti della Resistenza: lo è, oltre che per una ragione culturale, per un motivo sentimentale. «Io, la Resistenza, l’ho fatta», dice: «per questo voglio comunicare agli altri il perché del nostro impegno».
Nel suo studio, sovrabbondante di libri, di giornali, di appunti, Bocca ci mostra un pacco di fogli, che contengono la prima parte della storia partigiana, alla quale si sta dedicando da molto tempo. Lui,combattente GL, del cuneese, ha letto quasi tutti i tremila volumi che sulla Resistenza sono stati pubblicati: ha percorso le regioni dove il fenomeno resistenziale si è manifestato con maggiore forza. Proprio da questo studio serio e metodico, Bocca ha tratto la convinzione che la Resistenza, a venti anni di distanza, sia ancora una cosa viva e importantissima dello stato, che non si sarebbe mai formato libero e democratico senza il decisivo apporto dei partigiani.
«La nostra democrazia – esordisce Bocca – è gracile, compromissoria, ma non è una democrazia trovatella. E se non è trovatella, se ha il minimo indispensabile di legittimità, lo deve alla Resistenza. La quale dà alla democrazia in cui viviamo quella base democratica, quel suffragio popolare sufficientemente grandi per considerarsi ed essere considerata legittima».
Smette di parlare, per concentrarsi, per spiegarsi meglio, riprende «Per capire bene, anche oggi, il valore della legittimità, basta pensare alla sorte di quei grandi trovatelli della democrazia che sono il Giappone e la Germania, i quali saranno cento volte più apprezzati di noi come produttori di cose: eppure restano fuori dalla coscienza democratica del mondo, oppure non ne hanno ancora ricevuto il riconoscimento».
La solidarietà democratica
Come giudica la piattaforma democratica formatasi durante la Resistenza? «Un fatto in assoluto positivo: perché positivi sono le convinzioni, le tradizioni, i legami automatici che danno alla democrazia una sua guardia perenne. Un certo numero di cittadini, al di sopra della loro educazione, hanno deciso, una volta per tutte, che alcuni valori fondamentali vanno difesi. È durante la Resistenza che un numero notevole di italiani capisce, per la prima volta a fondo, che cosa è la solidarietà democratica. Su certi temi, tutti possono essere d’accordo: il rispetto del lavoro, il bando alle discriminazioni sociali, un minimo di giustizia, un minimo di verità».
Questa unità, improvvisamente sorta tra persone di diversissime classi sociali, è il retaggio forse più importante della Resistenza e costituisce, a giudizio di Bocca, la prospettiva più sicura.
«Il patto resistenziale non è solo la garanzia democratica, è anche uno stimolo, un fermento, un esempio della grande democrazia futura: più omogenea, più stabile, meglio articolata nei grandi partiti delle grandi democrazie».
Il periodo attuale è un periodo transitorio, nel quale le aspirazioni della Resistenza si sono attuate solo in parte: in futuro spetterà a noi giovani attuarle pienamente secondo i modi e le necessità politiche contingenti. L’eredità dei giovani è essenzialmente morale perché la Resistenza ci ha impegnato all’unità, all’unità degli uomini su un piano di parità, nel reciproco rispetto delle opinioni. Dovrebbe, quindi, scomparire ogni residuo di ideologie che predicano la violenza: «Almeno un ideale della Resistenza deve rimanere vivo: il rispetto dei propri avversari politici, coi quali è auspicabile un fattivo dialogo, ma è deprecabile il ricorso alla violenza».
Rispetto a questa affermazione, noi giovani non dobbiamo tornare indietro: dobbiamo approfondire e far nostri i motivi ideali ispiratori della Resistenza. Perciò è necessario studiarla nella sua nuda verità, priva degli orpelli retorici ai quali si ricorre in troppe commemorazioni: giustamente Bocca ha proposto un riesame critico dei fatti da parte di chi ha combattuto quella «guerra civile».
Intanto non si può far a meno di constatare l’importanza avuto dalla Resistenza per le regioni in cui si è svolta. «La Resistenza equivale anche oggi a una migliore informazione politica: anche oggi le province della Resistenza sono politicamente più informate delle altre». Ma forse il fenomeno può essere inteso anche in senso inverso: le province in cui vi era una maggiore maturità politica furono quelle in cui la Resistenza ebbe maggior seguito. La conseguenza, in ogni caso, è una sola: che esistono ancora zone di sottosviluppata preparazione o informazione, che dir si voglia, politica. Basti l’esempio di quanto capitò a Spoleto l’estate scorsa. È Bocca stesso che dice: «La borghesia fascista fece rumore e scandalo contro lo spettacolo “Bella ciao”. Chiedevo ai borghesi scandalizzati: “Ma perché ce l’avete con la canzone Bella ciao?” “Perché è comunista”. “Ma chi ve l’ha detto?” “È una canzone partigiana, dunque comunista”. Proprio così: c’è un’Italia che non conobbe la Resistenza, che anche oggi non conosce la sua unica vera guerra popolare e nazionale».
Il lascito della Resistenza
È una considerazione nient’affatto allegra; consolante è, in compenso, la constatazione che questa parte dell’Italia va diminuendo, soprattutto tra i giovani. Forse tra non molti anni si potrà parlare di completa chiarificazione. Allora non esisteranno più equivoci e l’attualità della Resistenza potrà essere compresa tanto su un piano politico, quanto su un piano culturale.
Dice Bocca «Nella Resistenza, la politica diventa cultura, le idee nuove esigono il linguaggio nuovo.La Resistenza è il taglio con le idee e il linguaggio dannunziani. Con la Resistenza la cultura italiana ritrova dimensioni internazionali, riprende il colloquio con il resto del mondo. Mentre i fascisti si ripiegano su se stessi, si chiudono in un loro mondo provinciale risuonante di parole vuote, il movimento partigiano riscopre la indivisibilità della cultura; è, da subito, un movimento con interessi internazionali, riceve subito il contributo internazionale dell’antifascismo». Il movimento italiano s’inquadra nella generale rivolta di tutti i Paesi dell’Europa al nazi-fascismo: è una sollevazione politica ed umana, che nel nostro Paese investe anche problemi di costume: «La Resistenza liquida una buona volta lo strapaese e offre alle nuove generazioni uno strumento per capire il resto del mondo».