Una lettera di Raffaelle De Marte

Raffaella è una mia laureata, che ha fatto con me “laboratorio” didattico e – per un modo comune di appassionarci alle questioni civili – è anche divenuto accompagnamento al percorso di carriera. Prima al Parlamento Europeo, poi ad una responsabilità  non banale nel sistema del rapporto tra  rappresentanze e istituzioni nel quadro comunitario (responsabile della comunicazione a Bruxelles del sistema delle Ferrovie europee), oggi per concorso superato di nuovo in procinto di tornare “dall’altra parte”, nell’ambito della Commissione. In mezzo alcune scritture condivise (tra cui quella con lo sguardo più avanti, sulla “democrazia partecipativa”). Quindi non a caso Raffaella sta nell’ultimo capitolo del libro (Giovani , futuro e nuovi luoghi della conoscenza) con il suo pensiero e le sue parole. Una sua lettera, prima o poi, me l’aspettavo. Siccome è impulsiva – come lo è Amelia – non ha la pazienza di arrivare con la lettura almeno a metà strada. E, finita la pur corposa Introduzione, mi dice la sua. Con l’affettività dei meridionali e la sensibilità dei nomadi.

 

 

5 ottobre 2008

In una domenica di pioggia a Bruxelles…

Carissimo Prof.

Non posso resistere a iniziare a commentare “Quarantotto“, anche se non sono nemmeno alla fine dell’introduzione. E’ un testo cosi denso che devo appuntare pensieri/sensazioni al lato, per non farli scorrere via nell’intenso susseguirsi delle parole. Prima di tutto, sono felice di ritrovare lei nelle pagine del libro, ci ha fatto uno splendido regalo. Tutte le conversazioni interrotte, le riflessioni solo abbozzate, spesso per mancanza di tempo e nel mio caso anche per la distanza, trovano un filo conduttore nel suo racconto e mi permettono di conoscerla meglio, di approfondire il senso di stima e la curiosità che ho sempre avuto per la sua persona e la sua storia. Spero che il racconto si possa trasformare anche in un dialogo fra noi e fra le nostre generazioni, come già succede nelle ultime pagine del libro…

Senza ancora poter entrare nel merito delle vicende storiche trattate nel libro, voglio appuntare qualche parola chiave:

1- Storia privata/storia collettiva: l’intreccio di cui lei è protagonista, mi trasmette un senso di nostalgia. Quella consapevolezza della vostra generazione di “vivere nelle storie più grandi”, quindi di esserne in parte responsabili, io la sento scomparire. Un’esplosione di ego prende il posto di quelle tessiture collettive. spesso conflittuali, segnate da errori che lei lucidamente descrive. ma collettive. certo anche noi abbiamo le nostre categorie sociologiche pret-à-porter (“generazione internet”, “generazione erasmus”…). ma io personalmente sento la mancanza di identificazioni collettive nel senso di progetto, di impegno, di valori irrinunciabili in grado di dare senso alle storie individuali. credo che siate stati una generazione fortunata anche per questo.

2- Ideali/passione: il suo racconto lo sento vibrante, vero. percepisco l’autenticità dei valori e degli ideali a cui fa riferimento e che sono al centro della sua vita. sento che c’è il cuore in quello che scrive, c’è bellezza e purezza. bellezza che ho conosciuto e che mi ha fatto avvicinare a lei dal secondo anno di università…e non lasciarla più. senza questa parte, lei non sarebbe uno dei “fari” della mia vita. è bello ed emozionante ritrovarla nelle pagine del libro.

3- Non naif…questa idealità vissuta con il cuore, non contraddice il senso della realtà, ed è il senso che do alla sua rivendicazione del “riformismo”. Ora che sono più grandicella, mi riconosco in questa sintesi, e quindi in un’idea riformista. sintesi fra idealità e senso della realtà, unica maniera di approdare a risultati, anche a costo di sacrificare” l’anima bella”, anche a costo di sporcarsi le mani. può immaginare che la mia esperienza in Europa – patria del faticoso, paziente, certosino lavorio sulle sfumature, sulle virgole, sul compromesso – abbia influenzato molto il mio sentire in questo senso. Anche se a volte è duro rinunciare all’identificazione con un’idealità “pura”  e mettersi a fare i” badilanti del cambiamento”…

4 – Coerenza. Ecco, qui molto umilmente mi voglio mettere vicino a lei. perchè sento che le persone che hanno onestà intellettuale e rispetto di se stessi, non possono che essere coerenti, non ce la fanno a fare “qui lo dico e qui lo nego”. Io ho sofferto parecchio quando sono stata accusata di “volta gabbana” perchè ho lavorato con diverse parti politiche, ma ora so che la coerenza risponde al rigore morale e intellettuale che abbiamo dentro di noi, e non è una questione di bandierine e di tribù. è molto più profonda e molto più esigente la coerenza. sono felice che i miei genitori mi abbiano trasmesso questo rigore, forse l’unica forma di intransigenza sensata. e sono contenta, ancora una volta, di ritrovarlo nel suo racconto.

5 – Senso dello stato e delle istituzioni. preoccupantemente sotto attacco… In questi giorni mi sento proprio avvilita dal constatare che molti dei valori acquisiti, per noi (ma anche per voi) quasi scontati, alla base della Costituzione e della nostra convivenza, vengono messi in discussione e se possibile smantellati. mi dico che i ragazzi di domani non cresceranno come noi, ma peggio, il che è quanto dire. Egoisticamente, sono contenta di osservare questo smantellamento relativamente da lontano, e di aver scelto di servire le istituzioni europee, che – con tutti i loro limiti – almeno non mettono in discussione le fondamenta del vivere civile: la pace, la tolleranza, il diritto all’educazione…E chissà che possano presto tornare a promuoverle in modo più convincente e più partecipato. Con questa sfida, che mi vede coinvolta e per cui mi prendo il mio piccolo granello di responsabilità, chiudo questa confusa rassegna di pensieri preliminari. Torno al libro, e poi tornero’, se me lo permetterà, a trarne spunti.

Un abbraccio forte.

Raffaella