Laboratori di cambiamento al sud. La domanda si forma, ma ci sarà offerta politica?
31 maggio 2012
Stefano Rolando
Ho dedicato un certo numero di giorni a laboratori di formazione nel Mezzogiorno. Ambiti non scontati, cioè non di quelli che spesso non costando ai partecipanti, grazie all’utilizzo di fondi pubblici, possono avere ma anche non avere formazione di qualità e veri esiti di miglioramento individuale. In questi casi vi è stata la mediazione di una fondazione che ha per scopo principale quello di combattere lo stereotipo secondo cui “il sud è condannato”. Si tratta della Fondazione “Francesco Saverio Nitti” che opera in Basilicata, non solo occupandosi dell’illustre statista che sognava un secolo fa un’Italia intera moderna e responsabile, che in questi casi si è misurata con cento giorni di completo ritiro a Maratea di un gruppo di quadri e dirigenti in carriera sul tema del management dello sviluppo in condizioni di difficoltà e vincoli. E che a Melfi ha contribuito a un’esperienza di mille ore di didattica sul tema della gestione del patrimonio archivistico nelle condizioni di estrema gravità dei presidi culturali ugualmente note.
Vorrei trarre qualche riflessione da queste esperienze sulle colonne di un giornale che abitualmente parla al nord, ad operatori finanziari, ad un pubblico che comincia a valutare l’ipotesi della separabilità del paese come via di uscita.
La prima riflessione cerca di mitigare pregiudizi dei lettori. Se anziché in luoghi laboriosi, frequentati da gente per bene e capace, fossi stato immerso in esperienze di malasanità o in territori controllati dalla malavita, non avrei potuto migliorare l’immagine critica che il sud si porta dietro tra i settentrionali. Metto un cip su questo miglioramento asserendo che in entrambi i casi ho frequentato luoghi seri e laboriosi, partecipati da gente per bene a capace. Il cip è su questo punto: quei luoghi esistono.
La seconda riflessione va un filo più avanti. Punta a scalfire qualche preconcetto. A cosa serve la formazione di nuove e alte competenze se poi esse non trovano investimenti disponibili per metterle alla prova, dato che lo scoraggiamento ad investire è diffuso e con insufficienti controtendenze?
In uno dei due casi lo Stato ha presidiato l’esperienza in modo vigorosissimo. A Maratea il Capo dello Stato ha speso parole di forte incoraggiamento a non mollare la presa dopo il primo round e da Roma sono scesi due ministri di peso (Francesco Profumo e Fabrizio Barca) per sancire i risultati del laboratorio. Una ventina di soggetti hanno contribuito mandando loro quadri “utili” (24 in tutto, provenienti da istituzioni, aziende, terzo settore) credendo nella scommessa. Il punto è quello di non lasciar mai sola l’iniziativa di miglioramento ma di dare massima legittimazione alla trincea che può dimostrare che si fa la differenza, cioè la differenza culturale. Quella che sposta comportamenti, limita scoraggiamenti, riduce delusioni, stimola reattività.
La terza riflessione è di contesto. L’immersione si è svolta nei giorni in cui istituzioni e media hanno dato un posizionamento alto in agenda al ventennale della strage di Capaci riproponendo soprattutto ai giovani il profilo eroico di Falcone e Borsellino, mentre la bomba di Brindisi ha tenuto in ulteriore tensione questo sforzo comunicativo. Tema: la condizione “abbracciata” dei cittadini meridionali sani (la maggioranza) determina reazioni. I responsabili di serie associazioni imprenditoriali trovano spinta propositiva, i giovani laureati provano ad immaginarsi un futuro senza scappare (ci vuol coraggio), le amministrazioni locali magari disidratate provano ad uscire dall’attendismo.
La quarta riflessione è di “posta in gioco” e riguarda la scadenza elettorale del 2013. I due piccoli casi di spunto sono solo uno spunto. Rispetto a tante prove che ci sono. Sono modificazioni della domanda. Ma se l’offerta politica che si prepara per il 2013 sarà quella della continuità di padrinati, caciccati, populismi e clientelismi, fenomeni cresciuti nelle sacrestie dei vecchi partititi politici e ora in libera uscita, ultimo galleggiamento al potere di esauste classi dirigenti, le energie di cui parla Giorgio Napolitano saranno annientate. Il patto possibile tra momenti organizzati della società civile (associazioni e imprese) per assumersi responsabilità politiche, come si sta facendo in qualche angolo del nord, è la posta in gioco che guarda anche a stimolare da vicino il rinnovamento dei partiti. Se l’offerta sarà mortificante salirà l’idea che la sola mafia è rimasta, in sostanza, a presidiare capacità di “gestire”. Con ciò addio unità d’Italia e addio a chi prova a trovare in turismo, cultura, economia creativa il contributo del sud economicamente significativo per tenere insieme il sistema.
L’offerta di ragionamento fatta da Giorgio Napolitano è stata questa: “L’innalzamento degli standard formativi nel Mezzogiorno e la valorizzazione del capitale umano di cui spesso il meridione è ricco sono condizione imprescindibile per lo sviluppo dell’intera Italia. Solo investendo sulle migliori risorse ed energie del Paese, e in particolare su quelle del Sud, finora lungamente sottoutilizzate, sarà possibile superare le attuali difficoltà di ordine economico e sociale e offrire una prospettiva di rilancio e di crescita sul piano nazionale”. Solo se ad essa si risponde dal sud anche politicamente, migliorando alcune esperienze che pur ci sono, i laboratori in corso potrebbero avere senso e prospettiva.
Presidente della Fondazione Nitti, professore IULM Milano