La tv del domani sarà su cellulari e tablet (Avvenire,28 giugno 2016)

Intervista quotidiano Avvenire (28 giugno 2016)
Ma la tv del domani sarà su cellulari e tablet
(a cura di Giacomo Gambassi)
 
Stefano Rolando
Professore di Politiche pubbliche per le comunicazioni all’Università Iulm di Milano. Componente del Corecom della Lombardia. Già membro del Consiglio superiore delle Comunicazioni
 
1.       In Italia si guarda al T2. Poteva già essere adottato con il passaggio al digitale terrestre negli anni scorsi?
No, se non modificando radicalmente le cose e ripristinando il controllo pubblico su un bene come le frequenze. Il che politicamente in Italia non era possibile.
 
2.      Dietro alle questioni tecniche ci sono cioè nodi politici ancora irrisolti ?
Certo che ci sono, sia in relazione all’occupazione dell’etere che alla mancanza di una pianificazione delle frequenze che possa dirsi “rigorosa”. Il passaggio dalle trasmissioni analogiche a quelle digitali avrebbe potuto porre rimedio, separare cioè realmente i fornitori di contenuti delle emittenti. Per cui basta una semplice autorizzazione dagli operatori di rete gestori dei canali frequenza, i cosiddetti multiplex, rompendo definitivamente con il vecchio modello del broadcaster verticalmente integrato. In Francia lo si è fatto nel 1974, con la nascita di società editoriali delle tre emittenti pubbliche distinte dalla società unica di gestione delle torri che anche dopo la deregulation del mercato è rimasta praticamente l’unica a gestire anche il trasporto dei segnali delle emittenti private. In Italia, sia pure con società distinte un soggetto operante nel mercato televisivo terrestre, può invece continuare ad essere proprietario di fatto di un bene pubblico come la frequenza sulla quale ormai può imbarcare anche emittenti di terzi. Per le tv locali il valore del loro asset era e rimane la frequenza e non certo i contenuti spesso appaltati a chi fornisce televendite e altre cose di questo genere.
 
3.      Ritiene che avremo un secondo switch-off con tutte le difficoltà e i problemi che quello precedente ha comportato? Il T2 porterà benefici “diretti” per il pubblico televisivo?
Si, ma occorre bene governare questo secondo switch off. Come è stata particolarmente delicata la transizione dall’analogico al digitale, a causa dell’occupazione selvaggia dello spettro e dell’assenza nei fatti di una seria pianificazione di un bene pubblico come le frequenze, altrettanto se non più complessa è la transizione nell’ambito del digitale terrestre DVB-T.
Lo è tanto più dopo che gli ultimi dieci canali UHF da 60 a 70 sono già stati dismessi per le trasmissioni televisive e che anche la famigerata banda 700 (quella dei canali da 50 a 59) dovrà essere liberata entro il 2022. La Commissione europea avrebbe voluto che ciò avvenisse prima del 2020 per consentire un migliore sviluppo della telefonia mobile 5G, ossia di quinta generazione, che di fatto consentirà di veicolare la televisione via protocolli Internet e in nuove modalità in rete beneficiando di infrastrutture di reti molto più capillari e flessibili rispetto alle attuali vecchie torri. Per fortuna nel medio-lungo termine. Altri paesi sono pronti perché come nell’era analogica anche nell’era digitale non hanno occupato tutto lo spettro ma utilizzato da 6 a 8 canali frequenze, ossia ne hanno lasciati liberi tanti e quindi potuto pianificare con maggiore cura la transizione dall’analogico al digitale, quella dal T1 al T2, senza preoccuparsi troppo delle bande da liberare per le telecomunicazioni mobili.
 
4.      Il T2 è legato anche alla liberazione della banda 700. L’Italia ha ottenuto lo slittamento al 2022. Ci sarà spazio per tutte le emittenti (in particolare per tutte le tv locali) dopo questo ulteriore “taglio” dello spettro?
Ci sarà spazio sempre di più per gli editori di contenuti televisivi anche locali ma non per soggetti che vogliono essere anche operatori di rete, un mestiere complesso e destinato ad integrarsi con le future telecomunicazioni mobili. Occorre una netta separazione fra chi è l’editore e fornitore dei contenuti dell’emittente televisiva e l’operatore di rete che gestisce le frequenze.

5.      Guardando in prospettiva, il digitale terrestre è una tecnologia che garantisce il futuro della tv?
Da noi, plausibilmente, si affronterà seriamente la questione solo a pochi mesi dalla scadenza ultima imposta dall’Europa ovvero nel 2022 , che poi non è lontanissimo. La questione sarà più o meno complessa a seconda del successo della banda ultra larga in fibra sino a casa, dove si scontrano Telecom ed Enel. Il che pone forse un’ipoteca sul successo del piano. Dipende non solo dalle scelte politiche, ma anche dal mercato e dall’effettiva partenza anticipata delle reti mobili di quinta generazione che a mio parere faranno migrare sempre più fruitori di contenuti televisivi soprattutto per le news su smartphone tablet e postazioni mobili. A questo punto forse le tv locali cederanno le loro frequenze  e capiranno che non c’è futuro per le vecchie televendite nell’era in cui Amazon ti consegna un prodotto in meno di un’ora  e che, per sopravvivere, devono riqualificare i loro contenuti soprattutto informativi e i loro servizi di prossimità dove non arrivano i giganti