La Milano che vogliamo (intervento all’Ambrosianeum, 4 febbraio 2011)
La Milano che vogliamo
Ambrosianeum, venerdì 4 febbraio 2011
Incontro promosso da Edoardo Croci. Introdotto da Fiorello Cortiana e concluso da Marco Vitale.
Stefano Rolando
- Vogliamo una città più vigile sulle sue tradizioni, sulla lezione della storia, quindi anche per questo più capace di prevedere e di proporre un trasparente piano di sviluppo, più coerente nel rapporto tra classe dirigente e etica pubblica, più moderna e più giusta (nel senso in cui i pensatori contemporanei della complessità – penso ad Amartya Sen - indicano, segnalando che stressare ricchezza e povertà significare costruire bombe).
- Vogliamo una città che assicuri – quello che per la verità costituisce ancora il suo pregio forse maggiore – un mercato del lavoro a cui si può accedere senza inginocchiarsi, sena prostituirsi, senza pellegrinaggi di raccomandazioni; accettando alcune logiche della flessibilità e della “prova di merito” ma non facendo del precariato un alibi.
- Vogliamo una città in cui i beni comuni (l’ambiente, il patrimonio culturale, le risorse di base) siano gestiti strategicamente e nel profondo degli interessi collettivi. Cioè considerandoli anche risorse economiche ma i cui profitti devono essere investiti nel miglioramento – tecnologico e sociale – della loro fruizione.
- Vogliamo una città in cui essere donna, essere anziano, essere un bambino, essere straniero, essere perplesso, essere inquieto, essere senza partito preso, essere alla ricerca, essere capace di fare domande, essere handicappato, siano condizioni identitarie profondamente, socialmente, istituzionalmente rispettate.
- Vogliamo una città attenta, attentissima, alla formazione della sua classe dirigente. Quella destinata alla produzione e al mercato, quella destinata agli affari pubblici, quella destinata ai servizi, quella destinata alla stessa formazione. Che cerchi di mettere lì le risorse aggiuntive che ci sono, ci sono nelle banche, ci sono nei privati ricchi, ci sono nei patrimoni, ci sono nei margini fiscali, ci sarebbero anche in azionariato sociale e popolare ove si delineassero politiche adeguate.
- Vogliamo una città che lavori sul serio per percepirsi come territorio metropolitano in grande trasformazione, perché quello è il teatro del confronto sociale, del confronto internazionale, del confronto con la modernizzazione e con il disegno di nuove opportunità.
- Vogliamo una città che quando viene assegnata ad essa l’esposizione universale del 2015 – rendendo merito a chi ha conseguito il risultato – non debba aspettare poi tre anni per capire che l’Expo non è solo un affare per pochi ma è un volano per tutti ed è una condizione per connettere la cultura della città ad un grande tema e a un grande dibattito (la nutrizione del mondo e la lotta alle insufficienze) che ancora oggi Milano non ha percepito essere il tema al centro dell’Expo.
- Vogliamo una città in cui quando si dice classe dirigente si intende soprattutto gente preparata a capire, gestire e promuovere un difficilissimo equilibrio tra gli aspetti di globalizzazione della città e della comunità (moda, design, università, ospedalità, musica, finanza, immigrazione, sport e altro) e gli aspetti profondamente locali e di tradizione (la sua storia raccontata con verità, i suoi linguaggi, il suo patrimonio culturale).
- Vogliamo una città in cui la parola qualità sia applicata non solo ai consumi di beni privati ma anche ai consumi di pubblica utilità, in testa a tutto l’ambiente, l’urbanistica, i luoghi dell’educazione. E, in primis, sia applicata ai processi democratici e decisionali, rilanciando seriamente il dibattito pubblico e le forme della democrazia deliberativa.
- Vogliamo una città in cui nei giorni dell’indignazione – che riguardano non solo ciò che i media fanno assurgere a temi obbligati dell’agenda, ma anche ciò che fatica ad emergere nel dibattito pubblico – vi siano le voci istituzionali che non si nascondano nella loro appartenenza quando quella appartenenza obbliga al silenzio, ma che privilegino il bisogno (tante sono le modalità per dare segnali) di “rappresentare” sentimenti collettivi oggettivamente diffusi.