Domande a Stefano Rolando sulla quarta di copertina

Per reagire al sonno della memoria
che pesa sul nostro passato prossimo.

Si, nel libro (soprattutto nella ampia introduzione) si fanno frequenti riferimenti al “taglio della memoria” sul passato prossimo dell’Italia intervenuto a partire dagli anni novanta (già inoltrati) quando il crollo del muro di Berlino, la crisi dei partiti, gli scandali giudiziari, la trasformazione di alcune forze politiche che hanno cercato di salvaguardare le loro vecchie classi dirigenti, hanno determinato una nuvola forte e intensa che ha coperto per molto tempo la vista della realtà storica recente. Chi ne ha scritto in modo più lucido e corretto è stata Barbara Spinelli appunto nel suo libro “Il sonno della memoria” del 2001. Immaginavo che il 2008 avrebbe fatto riemergere da parte sia dei media che degli editori di libri alcuni spunti di ripresa di dibattito. Assistiamo finora ad un diritto alla parola soprattutto da parte di chi è portatore (e non vittima) di storie violente e patologiche. Anche in ciò la manipolazione della memoria mantiene il suo carattere provocatorio.

Per raccogliere il bilancio su diritti e libertà
che sessant’anni di Costituzione repubblicana mettono a segno.
Questo è il carattere che dobbiamo innanzi tutto fare emergere da sessanta anni di vita repubblicana e costituzionale che ha consentito di incrementare diritti civili (con particolare rilievo per le donne) e di riequilibrare il rapporto della gente con il principio di autorità, non come dicono i conservatori perché è aumentata l’anarchia, ma perché si sono create potenziali condizioni partecipative impensabili nell’Italia pre-fascista, fascista e immediatamente post-bellica.


Per rifiutare il bilancio della violenza e delle ambiguità
che i nemici di quella Costituzione hanno prodotto.
E questa è l’altra parte di un bilancio (che tocca anche i dibattiti “celebrativi” che sono aperti sul Sessantotto e sul “caso Moro” per le derive che hanno comportato la rottura – per la duplice morsa dell’Italia conservatrice e della sinistra ancora espressione di doppiezze e di velleità rivoluzionarie –  dell’ipotesi di riformismo e miglioramento sociale del paese innescato dal primo centrosinistra. Violenza vi è stata con a capo un brandello della mia generazione che è passata dall’ozio liceale alle spranghe dei servizi d’ordine e per alcuni ha significato un delirio pagato a caro prezzo, soprattutto dai democratici. Ambiguità vi è stata con a capo un altro brandello della mia generazione che ha alimentato confusione, estremismo inquinato, uso affaristico della politica.
Per ritrovare oggi il sentimento della partecipazione
che una generazione nata fortunata ha avuto in dono.
Qui sono accennate due “fotografie” molto chiare nelle mie pagine. Quella di una generazione assai fortunata – la mia – per essere nata fuori dagli orrori della guerra, nelle condizioni di rilancio del paese e di ritrovamento delle famiglia attorno a valori positivi. E quella di condizioni di scolarità, di conoscenza, di pluralismo culturale e informativo, di mobilità e libertà nei movimenti individuali, che hanno permesso di rendere la parola “partecipazione” un’occasione di scelta responsabile. Un sentimento che ha avuto pagine felici, vissute nel quadro di speranze anche mondiali (penso soprattutto agli anni sessanta e agli anni ottanta). Questo sentimento deve essere rigenerato, vincendo l’idea che il potere sia possesso esclusivo dei professionisti dei meccanismi della politica e degli affari e dei loro yes men. Recuperando la cultura di un maggior controllo sociale e di una responsabilità dei cittadini e del loro associazionismo, che è il risvolto dinamico oggi dei paesi più civili al mondo.
Per rilanciare grazie ai giovani
un’idea moderna dell’identità italiana.
L’identità italiana è un bellissimo tema, che offre ai giovani l’opportunità di un viaggio storico alle radici del racconto che siamo stati capaci di fare di noi stessi e verso una prospettiva in cui – e soprattutto i giovani con una nuova mentalità lo possono fare meglio – si faccia guerra agli stereotipi dei vizi italiani di cui purtroppo gli italiani spesso si compiacciono. Oggi attorno al tema dell’identità italiana ci sono nuove poste in gioco, di tipo competitivo, di crescita economica e culturale, di conquista di spazi di libertà e di creatività. L’assegnazione dell’Expo a Milano per il 2015 è il primo segnale che torna a illuminare questo paese dopo la straordinaria battaglia compiuta nella prima parete degli anni ottanta per fare percepire a noi stessi e al mondo  (gli anni del rilancio del made in Italy) che avevamo diritto di stare nel gruppo di testa dell’economia mondiale, venendo accettati nel G7. Con il vantaggio che questa vicenda è anche più valoriale, più legata a istanze civili e solidaristiche. Si tratta di trattare queste opportunità con alto senso di responsabilità e di concordia. Cosa che i giovani seri vorrebbero molto di più di certi “vecchiettini rabbiosi” della mia generazione che continuano a disputarsi cose mezze sepolte solo per mantenere il loro protagonismo personale.