Intervento di Stefano Rolando per la presentazione a Milano del libro di A.Oddi Baglioni (17.3.2010)
Astorre II Baglioni
Guerriero e letterato
di Alessandra Oddi Baglioni
Volumnia Editrice
Presentazione e dibattito sul tema
Le relazioni tra Unione europea e Turchia
Intervengono: Carlo Corazza, Maria Grazia Cavenaghi-Smith, Stefano Rolando, Valeria Talbot
mercoledì 17 marzo 2010 ore 17, Milano, Sala convegni Parlamento europeo – Corso Magenta 59
Intervento del prof. Stefano Rolando
(Università IULM, Milano)
Innanzi tutto vorrei dire che quello di oggi è un modo apprezzabile per affrontare un grande tema politico attuale cercando radici nel nostro stesso (non sempre esplicito) posizionamento culturale. Sulla nostra storia, sulle relazioni storiche e attuali con l’alterità che muta appunto nel corso del tempo.
Si tratta di un bel libro, quello da cui prendiamo spunto, scritto da Alessandra Oddi Baglioni, scritto come un giallo elegante di cui è noto il finale. Dunque un crescendo narrativo che deve alimentarsi di contesto e non di esito. E il crescendo prende alta quota proprio verso l’epilogo quando si staglia – dopo la figura del protagonista (il comandante in seconda della resistenza veneziana all’assedio ottomano a Famagosta) il nobile perugino Astorre II Baglioni – il ruolo di sua moglie Ginevra che, a tu per tu con il Doge a Venezia e con il Papa a Roma, arriva a promuovere l’armo di una flotta per tentare di salvare la vita al marito.
La storia contenuta nel libro richiama le date epocali delle battaglie di Famagosta e di Lepanto, che rappresentano brani di storia emblematica.
Nel quadro di una dimensione oggi diremmo moderna della conflittualità (la globalità, l’importanza della geo-politica, Il rapporto tra politica e religione, potremmo anche dire il doppio senso della forza e della fragilità dei larghi schieramenti) il nodo della caduta di Cipro (prima Nicosia e poi Famagosta), in cui i veneziani (che difendevano terre occupate ma anche che commerciavano con gli ottomani e che avevano forse altre priorità rispetto al punto pur molto strategico di Cipro) mollano il loro procuratore Marcantonio Bragadin e il suo comandante Astorre Baglioni al loro destino, fanno pensare al cinismo della politica. In un certo senso è grazie alle crudeltà perpetuate dai turchi a Famagosta che si trova il motivo finale per la costosissima Lega Santa in cui, con a capo gli spagnoli, tutti i poteri della cristianità si uniscono per impedire definitivamente ai turchi di passare la soglia a ovest e quindi di minacciare Roma.
La famosa battaglia di Lepanto, che nello stesso 1571 segna lo spartiacque rigido tra cristianità e mondo musulmano, resta il capitolo non scritto di questo bel libro che invece finisce là dove deve finire, alla lettera di Astorre Baglioni – letta postuma – in cui delinea il percorso di formazione del figlio. Ai doveri verso la cristianità, alla guerra ma anche – come era per quella generazione – alla tessitura della pace.
Nel rapporto tra storia e attualità a cui questa lettura ci induce vi sono molti temi di analisi. Solo qualche spunto. La crisi di credibilità della Chiesa (non della religione) era – e forse ancora è – un tema dell’Europa meridionale, quella non riguardata dalla riforma protestante. Il problema della autonomia politica dei sistemi intermedi – come lo è l’Italia provinciale di cui il Baglioni è espressione – che deve scegliere tra Genova, Venezia, i potentati meridionali e il Papa, compiendo con la Serenissima la scelta più flessibile, anzi un’ipotesi di futura politica laica, che tuttavia lo conduce a soffrire il tradimento del proprio stesso Stato (condizione spesso moderna della pubblica dirigenza coraggiosa). E quindi il ruolo dei grandi soggetti internazionali nella vicenda italiana (in questo caso la centralità della Spagna) come storia lunga che si protrae nel tempo fino ai giorni nostri. E ancora il tema della strategicità del Mediterraneo (visione oggi in fase critica, che ha tuttavia dominato fino al Novecento compreso). Tema questo che forse spiega una parte del declino dell’impegno stesso dell’Europa verso il negoziato con la Turchia, dato che i 35 capitoli del negoziato stesso hanno visto solo 8 aperture di fascicoli e – come osserva Carlo Corazza – una sola conclusione di procedura (il dossier sulla scienza e la ricerca).
Dietro alla fatidica data di quel 1571 il libro introduce una storia sapientemente ricostruita, che prende in prestito da Pamuk l’artificio degli oggetti narranti e mescola carte d’archivio con interpretazioni letterarie.
La vicenda di Astorre II Baglioni consente qualche ulteriore chiosa. Innanzi tutto il tema della formazione cultura e civile (formarsi – come ho già detto – alla guerra e alla tessitura della pace) che è questione assai presente nelle famiglie e negli Stati. Tutto il tema del contesto estetico è importante (la qualità ambientale e l’eleganza, come archetipo della civiltà italiana, in cui i vestiti delle donne – con scrittura presa a prestito dalla Bellonci – meriterebbero una recensione a se stante). Accanto ad esso il ruolo delle donne con al centro la figura di Ginevra Baglioni che dimostra non solo piglio passionale ma anche senso acuto dell’analisi politica. E – come dominante narrativa e sociologica – l’ usualità della violenza, per dirimere ogni conflittualità, da quelle ereditarie a quelle dinastiche, da quelle amorose a quelle per il possesso di terre e paesi. L’identità italiana che la seconda metà del cinquecento ancora delinea nel profilo potenziale è tuttavia carattere che contraddice l’espressione di Metternich di quasi tre secoli dopo secondo cui “L’Italia non è che un’espressione geografica”. No, l’Italia non è uno Stato, ma è una antropologia nazionale che si ricompone attraverso confini, barriere, dogane, appartenenze e soprattutto guerre.
Tanti aspetti minori meriterebbero poi segnalazione: le figure di Diletta e Yussuf, storie di ordinaria immigrazione, diremmo oggi in Italia piuttosto che in Germania dove abitualmente perde la vita la donna mentre nel libro perde la vita l’uomo, piuttosto che il potere immaginativo del contesto storico e ambientale da cui Cervantes (a bordo della capitana spagnola che guidò la vittoria di Lepanto) o Salgari (che non fu altro che a bordo della sua fantasia) trassero larga ispirazione.
Lascio volentieri alla mia collega Valeria Talbot il compito di indagare meglio la relazione attuale tra Europa e Turchia come epilogo storico di queste complesse radici che tuttavia l’età moderna ha già profondamente riconvertito, quando la stagione dei “giovani turchi” ha condotto comunque la storia di una grande paese dentro molte opzioni che appartengono alla civiltà occidentale, ai profili del diritto e della visione della laicità degli Stati, cioè il presupposto dell’Europa contemporanea. Se fosse tutto risolto con l’età di Ata Turk non saremmo qui a porci interrogativi che nella visione dei tedeschi e dei francesi sono anche degli esclamativi collocati sul freno al negoziato, mente nell’opinione dichiarata di spagnoli e italiani – i nemici secolari dell’impero ottomano – sono visione del superamento della storia dentro i confini dell’attuale geopolitica occidentale.
La relazione italo-turca recente ha radicamenti modesti nelle conoscenze della gente. Avevo ipotizzato che durante la gara tra Milano e Smirne per assicurarsi l’Expo del 2015 sarebbe nata l’idea di un progetto di mutua conoscenza, visto che la città a cui si attribuisce la nascita di Omero solo per quello è ipotetica culla della nostra stessa civiltà culturale. Ma evidentemente è ancora lo stereotipo a caratterizzare la percezione dell’altro insieme agli spunti sui ritardi dei turchi attorno ad alcuni nodi – in sé cosa serissima – dei diritti umani.
Insomma, la pochezza della percezione della storia nella valutazione da parte dell’opinione pubblica dell’attuale contesto del negoziato italo-turco o meglio del negoziato euro-turco avrebbe una opportunità proprio a fronte della grandezza della tragedia dei conflitti secolari tra cristiani e ottomani, prima e dopo Lepanto. Bisognerebbe cioè immaginare un progetto di laboratorio sulla storia in cui – anziché cullare la nostra pedagogia sulle certezze manichee che separano con tale semplicità il bene e il male – sia possibile rileggere il conflitto come dilemma e il dilemma come sostanza di una storia condivisa. Ve ne erano stati i presupposti dato che – come ricorda Alessandra Oddi Baglioni – Carlo V° e Solimano il Magnifico avevano poco tempo prima applicato una loro “Yalta” nelle relazioni euro mediterranee. Se non avessimo rigirato il senso della storia vissuta – come lo hanno fatto magistralmente i padri fondatori dell’Europa con una pedagogia però largamente condivisa con la generazione del loro tempo (e noi piccoli bambini felici del dono inaudito della pace) – sic et simpliciter non avremmo l’Europa. Riportare il negoziato euro-turco all’esito di una missione commerciale, alle statistiche della distribuzione del gas, alle tecnologie degli armamenti della frontiera del sud-est turco (Siria, Iraq e Iran) è doveroso e insufficiente.
Qui come in altre complesse vicende bilaterali il peso dello stereotipo è vincibile con un progetto culturale degnamente investito.