Intervento al CS di Unesco Bresce (Venezia 18 gennaio 2010). Sintesi

Intervento del prof. Stefano Rolando alla seduta
del Consiglio Scientifico Unesco-Bresce
Venezia 18 gennaio 2010
 
Nelle occasioni di avvio della programmazione il nostro Consiglio Scientifico è chiamato a “legittimare” le scelte che si sono consolidate nell’ambito dei programmi culturali, scientifici e cosiddetti interdisciplinari; o meglio, secondo le stime di risorse inferiori ai costi previsti, è chiamato a “delegittimare” alcune di queste scelte, indicando all’Ufficio e allo Steering Committee i punti sacrificabili della programmazione. Si deve riconoscere che è un compito né facile né gradevole. Ma rispetto a cui sarebbe fortemente di aiuto un robusto inquadramento non solo del metodo di lavoro – cosa che si è fatta in verità in occasione dell’insediamento del Comitato – ma soprattutto del profilo della mission che l’Ufficio stesso – ovvero la Rappresentanza per l’Europa a Venezia dell’Unesco – intende assumere.  
Ora questa chiarezza non mi pare sia così evidente. E forse sarebbe venuto il momento di richiamare a questa riflessione gli interlocutori istituzionali, dalla competente Direzione generale del Ministero degli Esteri alla Commissione italiana per l’Unesco, per offrire parametri che rendano più lineari approcci culturali e approcci gestionali.
Ci si dovrebbe riferire soprattutto al “modello di funzione e di scopo” – che poi diventa anche modello organizzativo e di programmazione – che, conoscendo ormai un po’ il quadro di attività, potrebbe essere di natura assai diversa. Per esempio:
  • modello di agenzia di individuazione di progetti locali (istituzioni, centri di ricerca, associazioni) meritevoli di contribuzione, in ordine a cui viene operata una sorta di labellizzazione controllando l’esecuzione corrispondente ai fini convenuti ed eventualmente favorendo condizioni di visibilità e di discussione attorno agli esiti;
  • modello di valorizzazione del capitale umano e professionale interno (il proprio management culturale) in relazione a cui i progetti assumono un carattere relativamente “pretestuoso” essendo importante assicurare l’irrobustimento di un “management Unesco”, abituato a confrontarsi con il negoziato territoriale ma capace di garantire relazioni secondo standard internazionali utili alle condizioni di sviluppo locale;
  • modello di valorizzazione del management culturale locale, in cuisi privilegia – anche con il supporto di adeguate alte azioni formative esoprattutto in contesti a sviluppo difficile –  la crescita di responsabilità e di capacità nella classe dirigente;
  • modello di ente di ricerca, in cui la selezione dei progetti guarda al conseguimento di “valore aggiunto” e quindi alla tessitura di rapporti con soggetti considerati di eccellenza che, anche grazie alla contribuzione e alla sinergia, migliorano le performances.
Mi limito a questi esempi, anche se altri modelli potrebbero essere evocati.
E’ chiaro che si tratta di profili diversi, gestibili entro un certo limite di componibilità.
In realtà proprio la condizione di risorse limitate rappresenta un dato che spinge a comprendere quale dei profili dovrebbe risultare più strategico degli altri.
Ben inteso questi modelli potrebbero avere un diverso approccio applicativo a seconda dei contesti territoriali di attuazione. Ma anche in questo caso vi sarebbe una strategia esplicita. Comportando ciò che si valorizzi una attitudine in realtà poco praticata nelle politiche culturali dell’Unesco (in generale), ovvero quella della articolazione delle politiche regionali.
Ciò che da un lato può sembrare un disvalore (l’incremento dei costi per contratti di collaborazione all’interno dei progetti, oltre i costi fissi del personale stabile) alla luce di scelte chiare di indirizzo potrebbe anche capovolgersi in una via “utile”. Più l’orientamento privilegia la natura di “agenzia di mediazione” meno i costi di personale dovrebbero incidere.
In realtà poso sappiamo degli orientamenti al riguardo e così – secondo le procedure invalse nella pubblica amministrazione nel taglio della spesa – non rimane altro criterio applicabile che non operare “scelte” tra progetto e progetto ma invitare la struttura a rimodulare al basso i preventivi che comportano costi senza precedenti vincoli contrattuali.