Il vento del nord (Facebook, 16 febbraio 2013)
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Buona e mala politica / Diario di trincea 21
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Il vento del nord
Non si dovrebbero tirare conclusioni – in politica come in economia – a partire da sguardi e da rapide percezioni. Ma qualche volta aiuta. Come ieri, a Sesto Calende, cuore del territorio leghista, a un passo da un aeroporto controverso (perché non difeso abbastanza proprio da chi in anni non ha mai quadrato prediche con risultati) e vicino a Gallarate con il suo moderno museo d’arte chiuso proprio la scorsa notte per un grave incendio che ora ne mina la funzionalità.
Nella piazza principale – grande risorsa della Lombardia, le sue piazze! – il gazebo del PD allargato a tutta la coalizione del centrosinistra, un megafono posto su un piedistallo, tanta gente assiepata al freddo in attesa di Umberto Ambrosoli che – tra un thè anti-influenzale e una brioche al posto del pranzo – sta per dire ai leghisti “scordatevi il Pirellone, sento anche qui che la gente ci sostiene”. Di fronte, schierati in fila e senza pubblico, il gazebo della Lega, quello del PDL e, con ostentato tricolore, quello della Destra di Storace. Il gelo nei rapporti tra gli sparuti militanti, inevitabilmente attratti dal ciclone Ambrosoli che arriva sulla piazza con applausi e tra la curiosità di tutti.
Così per dare un segnale parte il manifesto mobile della lega – Maroni che guarda al cielo con la scritta “La Lombardia in testa” – su un camion (che avrebbe l’obbligo della mobilità permanente) e si va a piazzare alle spalle di Ambrosoli che comincia a parlare da un improvvisato podio. E sosta lì a far da sfondo ai fotografi e a lanciare la sua sfida simbolica. Umberto fa una battuta e poi sono, con discrezione, i vigili sestesi a sollecitare il mezzo a muoversi dalla piazza. Con la ola del pubblico.
Scorgiamo al gazebo della Lega l’on. Giorgetti, per dieci anni segretario della Lega Nord e presidente della Commissione Bilancio della Camera. Mentre Umberto parla si va a scambiare una parola. Il clima è teso; l’ombra di Finmeccanica (pur in quel “realismo irato” che ha ormai la politica, quasi tutta la politica, quando nelle elezioni esplodono fatti giudiziari) incombe; i guai di Formigoni sono ormai salutati da ripudio; e sopra a tutto il terzo alleato (decisivo) cioè Berlusconi non è mai nominato, come un prezzo da pagare e da nascondere. Insomma un clima psicologico che non è quello della fortezza dei vincitori.
Dico: “Ma anziché sognare il Nord leghista, non avete la percezione che Berlusconi, sconfitto a Roma, userà i suoi voti decisivi nelle regioni settentrionali per fare qui, caso mai Maroni prevalesse in Lombardia, la sua ridotta. Come dice qualcuno, la sua Repubblica di Salò”. La risposta svicola: Berlusconi ci serve per esistere nazionalmente.
E così alla fine del comizio Umberto sale in macchina per ripararsi dal freddo e parte velocemente. Poi si ferma, scende, va verso il gazebo della Lega e tende la mano alla pattuglia dei militanti, Giorgetti compreso (che si presenta), augurando loro buon lavoro. Non ci vogliono credere. E a tu per tu allora lo applaudono e gridano “bravo, questa è la democrazia”.
Questo non è un sondaggio, non è uno studio sull’andamento elettorale. E’ uno sguardo fugace a un frammento della campagna elettorale. Ma nel capitolo che intitoleremo “Vento del Nord” (di nenniana memoria, che riguarda come e dove spira il vento del vincitore) l’episodio va annotato con qualche interesse.