Il valore identitario e sistemico dei Navigli a Milano (un testo del 2006)

In occasione della proposta di un referendum (tra i cinque in materia ambientale) per una politica di riattivazione delle infrastrutture dei Navigli a Milano, nel quadro della campagna Milano Sì Muove, di cui sono tra i promotori, ripropongo qui un testo del 2006 di una relazione sull’importanza identitaria e sistemica dei Navigli a Milano – scrittra con Anna Carabetta, allora docente di Geografia e valorizzazione del paesaggio all’università di Pavia, e presentata all’Escurial in vista dell’Expo di Saragoza dedicato all’acqua.
L’inserimento avviene nella giornata di uan conferenza stampa con Emma Bonino alla Darsena di Milano per sostenere la campagna di firma dei cinque referendum (16 ottobre 2010). Il video della conferenza stampa al link: 

 

Cursos de verano 2006
Fundaciòn general de la Universidad Computense
Madrid
 
 
LOS SABERES DEL AGUA
26-30 JUNIO 2006
Aula Magna del Real Centro Universitario
 
El Escorial
Paseo de los Alamillo
San Lorenzo de El Escorial
 
 
 
Stefano Rolando
 
Professore in Economia e gestione delle imprese alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università IULM, Milano
Segretario Generale della Fondazione Università IULM
 
 
ACQUA TERRITORIO E CULTURA
Fonti di paesaggio urbano come politiche di sviluppo territoriale.
Il caso del progetto di valorizzazione del sistema dei Navigli a Milano
 
 
Relazione argomentata in collaborazione con Anna Carrabetta,
dottore di ricerca in Geografia e valorizzazione del paesaggio, docente all’Università di Pavia
 
 
 
In vista dell’Expo mondiale del 2008 che si svolgerà nella città di Saragozza, capitale della Regione di Aragòn in Spagna, dedicato a tutti i risvolti del tema dell’acqua, l’Università Computense di Madrid in collaborazione con il Governo della Regione di Aragòn ha promosso dal 26 al 30 giugno presso il Centro universitario dell’Escorial un ciclo di conferenze sul tema “Los saberes del agua” chiamando professori di molte parti del mondo a sviluppare temi orientati alla problematizzazione culturale del prossimo Expo.
Il ciclo di conferenze, coordinato dal prof. Jorge Lozano, direttore del Dipartimento di Scienze della Comunicazione della Computense, è stato introdotto dal Rettore dell’Università prof. Carlos Berzosa e dal Presidente del Governo della Regione di Aragòn Marcelino Iglesias.
La relazione scientifica introduttiva è stata tenuta dal prof. Asit K.Biswas presidente del Third World Center for Water Management di Città del Messico. Per parte italiana hanno contribuito al seminario il prof. Paolo Fabbri dell’Università di Venezia sul tema L’acqua futura e il prof. Stefano Rolando dell’Università IULM di Milano sul tema Acqua, territorio e cultura in cui è stato presentato e sviluppato il caso di valorizzazione delle rete acquifera dei Navigli milanesi e lombardi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ACQUA TERRITORIO E CULTURA
FONTI DI PAESAGGIO URBANO COME POLITICHE DI SVILUPPO TERRITORIALE.
Il CASO DEL PROGETTO DI VALORIZZAZIONE DEL SISTEMA DEI NAVIGLI A MILANO
 
di Stefano Rolando e Anna Carrabetta
 
 
 
Premessa e tematica di fondo
 
Nelle relazioni tra l’uomo e l’acqua c’è una storia importante che riguarda anche le nostre città. Oggi distinte in città tuttora connotate dall’acqua (non solo le città di mare) e città connotate dalla pietra e dal cemento.
Se Venezia (tra le città italiane) resta campione delle prime, Milano è per definizione e stereotipo della sua età moderna città campione delle seconde.
Eppure l’acqua, come vedremo, è parte di una storia millenaria della struttura stessa della città di Milano e della sua evoluzione economica e culturale. Una storia che si è interrotta con lo sviluppo di una cultura legata alla dimensione industriale (e ad un uso anche improprio della rete acquifera) e soprattutto con la scelta ineludibile del “nuovo” rispetto al “vecchio” che ha connotato una lunga stagione della visione urbanistica non solo in Italia ora in discussione, rispetto ad alcuni profili,  proprio perché i canoni dell’età industriale possono essere ripensati.
 
 
La rete dei Navigli è l’argomento di questa storia. Navigli ormai coperti entro la cerchia della città. E da poco tempo oggetto di una “riscoperta” che, se non sarà integralmente fisica, lo potrà essere dal punto di vista economico e culturale. E, prima di tutto, identitario.
 
Milano è città moderna, in definitiva trasformazione nei suoi profili legati a produzioni immateriali. Ma che attraversa per ragioni dovute a molteplici cambiamenti anche inquietudini identitarie che non possono risolversi in recuperi artificiali del passato, in pure “operazioni nostalgia”, ma possono innescare una sintesi migliore tra storia e futuro, a condizione che vi sia – nei decisori, negli imprenditori, nell’opinione pubblica – un certo spessore culturale attorno ai valori di sintesi di cui si parla. L’acqua interna – come lo è in tante città nel mondo che pure cambiano e si trasformano – è il valore attorno a cui qui si propongono alcune riflessioni.
Questo è dunque l’oggetto della nostra relazione in cui un sociologo di formazione, manager culturale per mestiere e professore di comunicazione a connotati economico-organizzativi e una giovane geografa umana hanno cercato di ripercorrere le ragioni e i significati di questa riscoperta. Che è al centro anche di un progetto politico-culturale delle principali istituzioni del territorio della Lombardia.
Le quali hanno coinvolto alcuni soggetti universitari che debbono fornire risposte di fattibilità non solo sotto il profilo ingegneristico ed economico ma anche – come è il caso della nostra università – rispetto alla possibilità di creare coesione tra decisioni e cultura sociale, ovvero tra opzioni di sviluppo e partecipazione.
 
 
 
L’acqua come fonte
 
Sia consentito cominciare proprio dall’inquadramento geo-culturale della materia.
La storia dell’evoluzione e del popolamento umano è segnata dalla costante ricerca di fonti.
Ragione questa, sufficiente a stimolare l’edificazione di opere che hanno assicurato non solo l’approvvigionamento in territori spesso ostili ma che hanno soprattutto ridisegnato il paesaggio naturale, generando quel prodotto sociale che spesso è divenuto, nell’immaginario collettivo attuale, un simbolo culturale associato a luoghi e culture.
Ricercare le fonti (intese come sorgenti ma qui anche intese come connotati ambientali tradizionali) assume quindi in tale contesto una duplice valenza, intrinseca alla sintesi ambientale.
In altri termini, l’acqua è elemento che va oltre l’identità di mero carattere territoriale. Un elemento che pone l’uomo in uno stato di attiva consapevolezza legata al proprio significato geografico – sistemico.
 
E’ noto come le maggiori civiltà abbiano nutrito la culla della loro formazione culturale e sociale con la fertilità delle valli fluviali, in ampie zone lacustri o semplicemente lungo le fasce costiere.
Si può scrivere la storia dello sviluppo dell’uomo attraverso il suo rapporto epico con l’acqua. Il Nilo, il Fiume Giallo, il Tigri-Eufrate, l’Indo sono i quattro grandi testimoni di civiltà rilevantissime sorte tra il 3000 e il 2500 a.C. e cadute quando le risorse d’acque ingegnosamente gestite sono venute meno o sono state male amministrate. Braudel, nei suoi scritti storici sul Mediterraneo, è tra i tanti studiosi che costruisce attorno all’acqua e alla storia dell’irrigazione una ragione centrale di sviluppo competitivo e di formazione della ricchezza (con un esempio specifico nell’Andalusia). L’Anatolia aveva conosciuto forme funzionali di irrigazione fin dal 4000 a.C. 
 L’ancestrale relazione tra uomo e acqua apre dunque un vasto campo di riflessioni.
A cui concorrono molteplici apporti disciplinari.
 
 
L’acqua nel tempo infatti
·         ha alimentato rappresentazioni, miti e leggende ancora vive nella tradizione popolare;
·         ha ispirato artisti e poeti;
·         è stata senza dubbio tra le prime sfide che l’uomo abbia dovuto affrontare in campo ingegneristico;
·         è stata la materia su cui l’intelligenza innovativa e competitiva dell’uomo ha esercitato un continuum che riguarda tuta la storia dell’umanità, età contemporanea compresa.
 
L’acqua è percepita come la componente territoriale che crea, in relazione all’uomo, un prodotto geografico e culturale che si capitalizza nel tempo dando luogo a quella dimensione territoriale sistemica, ritornata in auge nei dibattiti scientifici degli ultimi anni, in considerazione anche delle attuali politiche ambientali.
L’acqua, e ancor più la fonte, è oggetto di ricerca dell’uomo e, dove la stratificazione territoriale la cela, l’ingegno interviene.
 
 
 
L’acqua come risorsa primaria, come fattore di produzione e come rete di comunicazione
 
Nella percezione di una necessità sintetica dell’illustrazione e per la presenza a questo ciclo di conferenze di specialisti di superiore autorevolezza, vorremmo analizzare la relazione uomo-acqua collocandola in una rapida interpretazione che si vuol limitare al richiamo di tre semplici connotazioni.
  • Come è noto, e come qui sarà detto in modo certo più scientifico, l’origine della vita stanziale di gruppo sul territorio è stata strettamente connessa alla vicinanza dell’acqua.
Prima connotazione: in questo senso l’acqua assume il ruolo e il valore di risorsa primaria.
  • L’acqua crea poi quella relazione geografica, tra uomo e territorio, che produce la sfera culturale dell’espressione umana.
Seconda connotazione: in questo senso l’acqua assume il suo secondo ruolo, quello di fattore atto alla produzione (di fenomeni e di pensieri).
  • E ancora, l’ingegno umano si trasferisce nell’acqua. Perché la storia ci mostra che le applicazioni di tecniche e strumenti, frutto dell’ingegno dell’uomo, nascono proprio da quella sfida costrittiva tra uomo e natura, che si perpetua sin dal più lontano tempo.
      Terza connotazione: associata al significato dell’essere mezzo,  che però assume una duplice valenza
          da un lato mezzo inteso nel suo significato più diffuso ovvero quello di spostamento, di trasporto; in questo senso l’acqua unisce e collega uomini e pensieri;
          dall’altro lato, l’acqua intesa come mezzo, si connota come sfida tra ingegno e natura; in questo senso l’acqua sprona (sollecita l’innovazione) e ispira (misura le capacità di gestire trasformazione).
 
Un modello di relazione sistemica tra uomo e acqua
 
A questo punto, vogliamo abbracciare l’ambiziosa prospettiva di un approccio sistemico, pregando di sorvolare su alcune forzature funzionali alla comprensione, seppur parziale, della ancestrale relazione innescata tra il Pianeta e l’uomo.
Vorremmo – sempre con la necessaria brevità – seguire il corso di un processo non chimico, non morfologico, ma umanistico-culturale, che qui si vuol dimostrare ha inizio proprio nell’acqua.
L’acqua che assume quindi la veste di generatore di ingegno e cultura ma che fa parte di un sistema ancor più vasto in cui il prodotto viene riutilizzato come terreno su cui creare sviluppo.
 
 
 La semplice architettura logica così si può riassumere:
 
 
ACQUA richiama la RELAZIONE con l’uomo;
questa genera INGEGNO E CULTURA;
che costituiscono il PROCESSO DI SVILUPPO;
che rimanda ancora all’ ACQUA.
           
Vediamo allora l’acqua come un poliedrico contenitore dell’ingegno e della nostra produzione culturale.
Ma in un ruolo non statico. La sua dinamicità è data dalla sua stessa natura identitaria. Essa stessa, cioè, è elemento generatore di una relazione che a sua volta produce territorio umanizzato, destinato anch’esso a divenire fattore di produzione culturale.
 
 
In altri termini, si tratta di una forma di capitalizzazione dell’acqua, che genera investimento e produce heritage.
 
Heritage!  Introduciamo questa parola oggi largamente diffusa.
Noi tutti sentiamo e leggiamo questa parola associata ai più diversi tra i significati. In questo ricorda un po’ la sorte toccata al concetto di sviluppo sostenibile di cui, possiamo ancora averne memoria, si contavano almeno un centinaio di diversi significati prima che intervenisse il rapporto Brundtland nell’87.
Riguardo all’Heritage, qualcuno ci ha provato a fare un po’ di chiarezza ed anche con alta competenza, con riferimento allo sforzo fatto dall’UNESCO. Questo però non ha ancora spento la diffusione del suo significato sfruttato funzionalmente ad applicazioni di politica protezionistica ambientale e soprattutto non lo ha protetto dal divenire blasonato dagli operatori turistici e mercificato dalle masse.
Per quanto ci riguarda il concetto di Heritage, ci è utile per avanzare una variante che oggi vede l’opportunità di arricchirci di una riflessione che credo condivisa tra i presenti emeriti amici studiosi.
 
 
Vorremmo guardare all’eredità culturale non necessariamente come ad un prodotto legato al passato, nonostante il suo intrinseco significato che coinvolge un passaggio temporale ben preciso.
 
Proprio in questo passaggio, tra chi lascia eredità e chi eredita, è da ricercarsi nella mancata percezione da parte di quest’ultimo del bene trasmesso. Si interrompe così una temporalità che dovrebbe invece restare inalterata. La mancanza di questa condizione rallenta o spezza definitivamente la produzione sociale e culturale di una comunità.
 L’interrogativo è quindi rivolto a comprendere, oltre che individuare, quali siano stati i punti in cui questo ruolo di collegamento si è interrotto. Ci si muove quindi in un sistema consolidato di cui spesso manca la percezione del suo divenire. Una mancanza questa che stravolge le fasi progressive dall’originaria armonia tra l’uomo e la natura e innesca invece delle fasi regressive nel paesaggio umanizzato.Si tratta della atipica attitudine che vede una popolazione atta ad invertire opere o tendenze che erano divenute nel tempo elemento identitario di un territorio e di chi vi abitava. I motivi possono essere tra i più diversi: da una grave catastrofe ad una semplice moda stagionale.
 
 
Ma quelle che hanno innescato la cancellazione dei Navigli di Milano (argomento che compare in qualunque seria storia dell’acqua perché dal 1140 esso è metafora stessa della storia del drenaggio e dell’irrigazione) sono ragioni assai deboli se rapportate alla portata dell’opera oltre che all’indifferenza verso la millenaria presenza dei canali nel paesaggio urbano, dunque in pieno centro città.
Ecco quindi sentire che la necessità di seppellire l’acqua a Milano, la stessa acqua che la rese grande, era da trovarsi nelle condizioni igieniche o nel bisogno di favorire l’industria della gomma e lanciare status nuovi, né migliori né peggiori, semplicemente diversi e quindi legate a scelte.
Non si vuole oggi e in questo contesto tuttavia analizzare i motivi della cancellazione dei Navigli quanto valutarne la loro riscoperta.
La regressione in questo caso è dunque utile e funzionale alla lettura del paesaggio umanizzato.
 
 
I Navigli a Milano. Grande storia
 
Applicando un’ipotetica trasposizione metaforica della teoria descritta, i navigli milanesi sono da leggere quale tessuto generante. E al tempo stesso fattore di produzione culturale.
Essi hanno costruito nei secoli la relazione tra i cittadini e la parte acquifera di Milano dando concretezza ai significati dell’acqua. Risorsa, fattore e mezzo e costituendo un caso senza eguali per ingegno e lungimiranza.
Cancellando la risorsa, o elemento di interazione, si è cancellato non solo una sfera sociale del carattere milanese, ma si è privata Milano di una tra le più alte fonti di produzione culturale legata al territorio.
 
Ma facciamo un passo indietro. Forse qualcuno ignora che Milano da poco dopo il 1100 fino ai primi del 1900 era annoverata tra le più affascinati città europee proprio per la presenza di una enorme quantità d’acqua canalizzata e domata dall’ingegno (sia permesso di chiamarlo filologicamente ingegno padano) che ne seppe fare la sua fortuna.
 
Solo poche parole per testimoniare la celebrazione della Milano acquifera  tratte da una nota guida del 1822 del Pirovano:
 
[…] ed Ausonio ne’ rinomati suoi versi dice: “tutto in Milano è oggetto di meraviglia, l’abbondanza d’ogni cosa, l’affluenza del danaro, il talento dei cittadini, e la loro indole, il numero prodigioso e la singolare decenza delle case, il doppio giro delle mura, il circo, delizia del popolo, il teatro, i palazzi,i rinomati bagni, i frequenti porticati adorni di marmoree statue, la magnificenza in tutte le cose,          fanno che Milano non abbia invidia di Roma;” e tante e tanto grandiose cose de’ tempi posteriori scrissero il Corio, il Giulini, il Fumagalli, il Verri, e recentissimamente il cav. De’ Rosmini […] (Pirovano, 1822, pp.5-6).
 
 
Com’è noto Milano (Mediolanum) si trova al centro della più vasta pianura italiana, a sua volta tra le prime per estensione dell’Europa occidentale.
Da un punto di vista geologico la pianura lombarda può essere essenzialmente suddivisa in tre fasce. Mi rifaccio in questa breve descrizione ad un noto geologo italiano, Giuseppe Nangeroni:
·         l’alta pianura asciutta, perché le acque vengono rapidamente assorbite e scendono in profondità, senza venire assorbite dalla vegetazione (brughiera);
·         la bassa pianura, tutta di argille impermeabili a forte drenaggio superficiale;
·         e la pianura intermedia caratterizzata dal risorgere in superficie delle acque, che, inghiottite dalla ghiaia della regione alta, non hanno potuto proseguire verso sud oltre lo sbarramento del materiale argilloso.
Da ovest ad est l’intera area è percorsa dal fiume Po e dai suoi affluenti mentre a nord la pianura è costellata di laghi, i più grandi d’Italia che sembrano collocati in maniera quasi simmetrica rispetto a Milano. Dai Laghi Maggiore e di Como hanno origine due fiumi, rispettivamente il Ticino e l’Adda che discendono da nord a sud della pianura sino ad incontrare il Po che li incontra perpendicolarmente.
 
 
Milano è posta dunque al centro di un quadrato di acqua.
Il naturale assetto del territorio della Valle Padana ha indotto l’uomo ad intervenire.
 
 
La mente – che i sacri testi definiscono “astuta e brillante” – degli abitanti della Pianura fece il resto.
 
Nei secoli fu costruito un sistema di vie d’acqua concepite dapprima come mezzi di difesa e reti di irrigazione, divenute successivamente vie di comunicazione e carattere peculiare del paesaggiorurale e urbano.
 
Gradualmente furono tracciati canali che dai due grossi fiumi paralleli e da corsi minori percorrevano tratti della Pianura sino ad immettersi in città, seguendo la pianta concentrica di Milano. Nel tempo i canali crebbero per importanza soprattutto da quando, intorno al 1400 fu risolto il problema della navigabilità, annesso alla diversa pendenza del fondo.
Nel 1819 il sistema dei canali navigabili raggiungeva, dopo la costruzione del Naviglio Pavese, circa 150 km. Si trattava, effettivamente, di un’opera imponente ed unica nel suo genere.
La natura aveva incontrato la mente dell’uomo e il dialogo produceva.
 
Non a caso i nomi che si incontrano percorrendo la costruzione del naviglio nelle sue fasi storiche sono quelli di celebri o comunque rilevanti personaggi della nostra storia:
·         primo tra tutti Leonardo da Vinci (1452 -1519) che si dedicò a lungo alle vie dell’acqua; fu infatti proprio grazie al perfezionamento delle conche di Leonardo che Lodovico il Moro vide realizzarsi la sua ambizione di rendere navigabili i canali del Ticino e dell’Adda all’interno di Milano;
·         la migliore tra le testimonianze a sostegno di un futuro per questa grande opera ingegneristica proviene da Carlo Cattaneo (1801-1869) che fu il capo dell’insurrezione e della liberazione di Milano nel 1848 ma fu anche studioso insigne e “geografo inconsapevole”, distinguendosi per la natura poliedrica dei suoi studi in cui i sentimenti politici spingono a formulare proposte ancora oggi cariche di riscontri attuali per qualità scientifica e metodologica.
 
 
Una storia sepolta
        
La sottile ma articolata rete dei navigli nella più vasta pianura italiana ha dominato nei secoli il territorio lombardo creando un sistema rivierasco che vedeva al suo centro lo snodo di Milano.
L’antica origine del sistema dei canali milanesi ha costituito, quindi per molti secoli, parte attiva della componente urbana della città, innescando uno stretto legame con quelle generazioni che hanno potuto fruirne.
Sino alla sua copertura, che ha riguardato l’importante parte della fossa interna.
 
 
La copertura dei Navigli comincia a metà Ottocento, progredisce nel pieno della trasformazione industriale, si concentra negli anni centrali del fascismo e finisce negli anni sessanta cancellando la Martesana dall’area adiacente alla Stazione Centrale
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Come già detto le ragioni invocate: il traffico moderno e una certa valutazione ambientale (un cattivo utilizzo delle acque in età di sviluppo industriale).
La cerchia interna scompare. Resta la cerchia esterna privata dal “motore” di un polo di utilizzo orientato ai bisogni della città.
Seppellire l’acqua di Milano non ha però cancellato il ricordo di coloro che possono ancora vantare tratti di vissuto contemporanei ai canali cittadini.
La geografia dell’esistenza di ciascuno è infatti costellata da scorci di paesaggio che spesso solo nella fase del ricordo, e quindi a posteriori, assumono le fattezze dell’insieme urbano, territoriale e sociale in cui sono realmente inseriti.
 
 
Le acque dei navigli sono state per quasi un millennio una componente importante del paesaggio urbano, senza le quali sarebbe stato difficile immaginare per generazioni e generazioni la città di Milano. 
 
Il naviglio costituì elemento aggregante della vita sociale milanese. Spesso associato, a ragione, alla classe popolare, ma non per questo suo uso esclusivo, seppe tessersi alla quotidianità degli abitanti. Dalle testimonianze di coloro che raccontano della Milano sepolta traspare una inconsueta armonia tra gli abitanti di allora e la città stessa.
La “copertura” dei navigli diventa così una metafora della discontinuità urbanistica. Dove c’era un boschetto ora c’è via Boschetto, dove c’era un laghetto ora c’è via Laghetto, probabilmente nell’ignoranza dei più sui caratteri evolutivi della città.
 
 
La memoria e l’identità
 
Di conseguenza, la sistemicità del paesaggio urbano milanese ha assunto, negli ultimi decenni, note di incompletezza. Ciò crea un certo contrasto, soprattutto se accostato allo scenario europeo.
Le più prestigiose città europee vantano infatti una cospicua componente idrografica che è parte integrante della loro estensione urbana.
 
Si pongono problemi diventati di attualità culturale e politica:
 
·         Milano sembra mancare del carattere naturale, l’acqua, che mitiga generalmente l’innaturale scenario dello spazio urbanizzato;
·         la cittadinanza milanese è dunque divisa tra
          chi ha vissuto una quotidianità con il vecchio naviglio interno
 
          e chi invece scopre all’estero i benefici di città idro-mitigate, ignaro del tempo, non molto lontano, in cui la sua stessa città godeva di fitte vene acquifere;
·         a Milano le nuove generazioni non conoscono il valore ambientale complessivo rappresentato storicamente dai navigli; ma una certa crescente sensibilizzazione, figlia di una divulgazione fitta e generalizzata su tematiche ambientali, sta producendo un profilo di base di una coscienza positiva in un’opinione pubblica che deve essere messa di fronte ad un trattamento serio e non solo pubblicitario della materia.
 
Quale sia oggi il significato del recupero di parte della fossa interna esso resta una questione complessa. O meglio, si tratta di una faccenda che schiera da un lato, i nostalgici, affiancati da quella parte di gente milanese attenta al ciclo della vita urbana, e dall’altro, l’incosciente mente passiva di chi vive la propria città senza percepirne l’intorno.
Il naviglio di Milano ha prodotto una vasta letteratura che non lascia spazio a interpretazioni. Appare tutto assai chiaro. Le vene acquifere della città, la fossa interna oggi sepolta, conferivano lo status che oggi le maggiori città europea vantano, soprattutto in campo turistico.
Accantonando i casi più conclamati di immaginario collettivo associato all’acqua, come Venezia o Amsterdam, come non guardare a città come Stoccolma o San Pietroburgo, recentemente ambiti di riscoperta da parte di tutto il turismo europeo.
L’importanza del ruolo dell’acqua inserita nel contesto urbano cittadino è certo indiscusso. Ciò che invece resta oggetto di dibattito, accantonando le polemiche legate ai motivi che hanno visto la cancellazione della fossa interna dei navigli, è quale metodo adottare per recuperare una ricchezza da un passato recente.
 
 
 
La proposta di recupero
 
La proposta è quella che pone a base del recupero una fase precedente di riscoperta da parte dei cittadini. Da un’analisi preliminare su campo si è riscontrata una profonda lacuna nella conoscenza della città, non solo del naviglio.
La struttura originale, e la successiva evoluzione dello sviluppo urbano, fuori dalle antiche porte, non trova una reale collocazione nel bagaglio conoscitivo che si crede dovrebbe quantomeno esistere nella maggior parte della cittadinanza. Una proporzione che appare essere invece invertita; solo una esigua élite dispone della conoscenza necessaria.
Proporre ai milanesi il recupero di un bene paesistico e culturale, quale è il naviglio, significa restituire un simbolo dinamico alla società urbana, frustrata ma non per questo persa.
 
·         Contro la politica del ripristino di alcuni tratti di naviglio interno si presenta, tuttavia, l’associazione stereotipata, e parzialmente veritiera, tra naviglio e degrado.
·         Le acque interne si discostano in maniera vistosa dai moderni cliché della limpidezza e della universale colorazione tropicale.
·         L’acqua del naviglio, né pura né nitida, lontana dallo status ludico, oggi si scontra con l’isteria turistica volta a ricercare un altrove rigorosamente lontano evidenziando così una tendenza sociale marcatamente attuale.
 
 
Promuovere la valorizzazione
           
Promuovere il recupero delle acque milanesi e del sistema dei navigli è oggi – come accennato in premessa – un progetto gestito dal Consorzio Navigli Lombardi con l’egida della Regione Lombardia, il sostegno delle amministrazioni provinciali di Milano e Pavia e il coinvolgimento di oltre cinquanta comuni rivieraschi, la collaborazione scientifica di istituti specializzati (come il Touring Club Italiano) e delle maggiori università milanesi, tra cui la Fondazione Università IULM per realizzare analisi dell’opinione pubblica e piani di comunicazione, promozione e formazione.
 
 
Un progetto costruito attorno a sette direttrici di iniziativa:
·        Arte, cultura e storia (attorno alla millenaria storia dei canali ma anche utilizzando e promuovendo i patrimoni che li circondano)
·        Sport e natura
·        Tempo libero
·        Sapori&piaceri (sostanzialmente orientata attorno alla gastronomia)
·        Fashion&Musica
·        Turismo e commercio (con la sollecitazione alla formazione di nuove forme di impresa agro-turistica e artigianale)
·        Industria (con una derivata importante che riguarda un moderno approccio all’energia)
 
Il recupero deve essere collocato in un contesto assai più complesso ed articolato.
 
·         E’ infatti da tempo noto, il rapporto sistemico che intercorre tra la natura e le opere dell’uomo. Questo sottende ad una consequenzialità che esalta l’individuazione di numerosi beni culturali nelle sintesi paesaggistiche.
·         La città come sistema urbano non esula da tale analisi e ne rappresenta anzi un campo privilegiato.
·         Nello specifico, il naviglio riveste per Milano un ruolo primario almeno per due aspetti:
          il primo è dettato dalla sua stessa origine, oltre che dal suo sviluppo urbano, quale risultato di attente e continue pianificazioni (che è e resta un carattere identitario);
          il secondo, ancora più concreto, è legato al naviglio come rete di comunicazione e di scambio che, in passato, ha costituito la base della ricchezza dell’intera regione; trasporto, commercio, relazioni esterne che nei secoli trovarono alloggio nella rete urbana milanese, presagendone anche l’attuale risalto, oggi rappresentano un potenziale presupposto a politiche di rivalutazione socio-economica e culturale in diversi settori (che è e resta un carattere funzionale).
 
 
Un sistema quindi abbastanza consolidato che potrebbe solo rafforzarsi, favorendo il recupero della sintesi paesaggistica all’apparenza sepolta ma ancora viva per la città.
 
Recuperare il reticolato di acqua che circonda Milano
·         conferirebbe alla città un importante ruolo non solo nella gestione logistica del sistema, in qualità di nodo centrale,
·         darebbe alla città una dimensione umana che sembra avere perso, almeno in parte.
 
 
Ma attenzione : cambiare o addirittura invertire lo stereotipo associato a luoghi e città che coniugano tradizione e cambiamenti, richiede tempo e vera metabolizzazione culturale condivisa..
 
Recuperare, dunque, non significa assecondare e promuovere una artificiale connotazione paesaggistica estranea al vissuto contemporaneo. Un vissuto che ha attualità se ritrova anche il suo profilo di cultura urbana metropolitana, come era perché la rete dei Navigli era apertura sistemica e costruzione dei collegamenti. Significa creare iniziativa anche fuori dalla mura cittadine ritrovando il coinvolgimento culturale, economico, imprenditoriale di un vasto territorio. Temi che richiedono oggi studi, economie compatibili e visione comunicativa.
Una prima analisi del piano geo-urbano del recupero dell’acqua di Milano sarà dunque destinato ad una campagna informativa studiata secondo un approccio culturale-identitario.
Non ci sentiamo schierati con le moderne tendenze di mercificazione dettate dal trend temporale. Ciò non farebbe che danneggiare ulteriormente una situazione già compromessa.
In altre parole, il progetto di recupero vuole costituire un precedente come è più di quanto fu quello che lo ideò. E in verità costituisce oggi anche una certa provocazione culturale sul rapporto tra la città e la sua vocazione in un momento storico di cambiamenti profondi che consentono di ripensare a modelli di sviluppo e immaginare varianti all’interno di visioni su cui il dibattito non è ancora né forte né coinvolgente. 
Strutturare il reinserimento nella società di un elemento identitario paesistico significa scontrasi con un salto generazionale privo, nel caso di Milano, anche degli elementi concreti della memoria.
E’ proprio da questi che bisognerà iniziare il cammino per restituire a Milano – città che non è sfacciatamente bella ma che ha stimolato la cultura estetica di grandi scrittori – un segmento del suo fascino originale.
 
 
 
Fondazione Università IULM è lo strumento di sviluppo delle attività di ricerca applicata, formazione continua e gestione di eventi culturali con cui l’Università IULM di Milano ha creato un ambito di iniziativa post-universitaria insieme a Assolombarda, Camera di Commercio, Unione del Commercio, CTS e che si va aprendo ai principali soggetti istituzionali (attualmente la Provincia di Milano mentre è in completamento l’istruttoria per la partecipazione del Comune di Milano e della Regione Lombardia).
 
Stefano Rolando è professore di ruolo in Economia e gestione delle imprese e docente di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica all’Università IULM di Milano, nel cui ambito dirige altresì la Fondazione universitaria che sviluppa i programmi di ricerca applicata e di alta formazione. Tra i progetti orientati al marketing territoriale vi è il  piano di valorizzazione del sistema dei navigli della Lombardia. E’ stato direttore generale nell’amministrazione centrale e regionale ed è tuttora Segretario generale della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali italiane.
 
 
Anna Carrabettaè dottore di ricerca in Geografia e valorizzazione del paesaggio come patrimonio storico-culturale e come rilevante sfera di interesse dell’etica contemporanea. Attualmente è impegnata con il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare, nel progetto di ricerca del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio sulle SPAMI-Italia. Svolge attività di docenza presso la SILSIS dell’Università di Pavia e presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.
 
acarrabetta@libero.it acarra@unipv.it