Il Sussidiario.net – Intervista a Stefano Folli 3marzo sul “polverone” e su come uscirne

Sussidiario.net
Quotidiano di approfondimento
Intervista a Stefano Folli
mercoledì 3 marzo 2010
 
La novità di ieri è che la Corte d’Appello ha rilevato irregolarità nel listino di Renata Polverini, che al momento si ritrova esclusa dalla corsa per la presidenza della Regione Lazio. Mentre si attende la decisone della Corte d’Appello di Milano sulla regolarità della lista di Formigoni, il presidente Fini dice di non trovarsi bene nell’attuale Pdl, e Bossi accusa il personale politico della sua coalizione – Lega esclusa – di essere «dilettanti allo sbaraglio». Nella serata di ieri è intervenuto anche Schifani, esortando a far prevalere la sostanza sulla forma. Per il ministro Maroni invece «non c’è spazio per un provvedimento d’urgenza»: occorre giocare con le regole che ci sono. Serve una moratoria concordata in Parlamento, dice Stefano Folli, editorialista del Sole 24 Ore.
 
Folli, qual è la sua valutazione di quanto sta accadendo?
 Distinguerei tra quelli che possono essere considerati formalismi, e che come tali non possono impedire evidentemente il libero esercizio del voto, e un episodio, più grave, come la mancata presentazione della lista da parte del Pdl per la provincia di Roma. In questo caso dico: attenzione, perché se ci sono delle regole che dicono come deve svolgersi una campagna elettorale, a cominciare dalla presentazione delle liste, allora si devono rispettare. Altrimenti si crea un vulnus molto serio.
 
Cosa pensa del caso Formigoni?
 Ritengo che il caso Formigoni in Lombardia, come il caso del listino Polverini a Roma, entrambi dovuti ad errori di approssimazione più che a gravi violazioni, siano superabili. Non vedo francamente come si potrebbe impedire l’esercizio del voto sulla base di questi elementi. Sarebbe paradossale.
 
Lo smacco del centrodestra a Roma secondo lei è da ricondurre alle divisioni interne e mai sopite tra Pdl e An? Proprio ieri Fini ha detto che il Pdl, così com’è, non gli piace.
Non sono in grado di dire se le divisioni tra Berlusconi e Fini si siano riflesse fino ai meccanismi di presentazione delle liste. Però il problema politico di fondo rimane intatto: il Pdl non è un partito unico, ma un cartello elettorale fatto di due spezzoni che non si sono mai amalgamati e con una classe dirigente spesso non sperimentata. Se la vita politica interna di un partito è fatta di discordie e risse, non è difficile immaginare che l’esito possa essere quello che si è visto sabato scorso.
 
Si sprecano i paragoni con la «serietà professionale» della Prima repubblica.
 Il sistema dei partiti si fonda su regole precise e il rispetto della legge è la prima cosa. Ora, se questo sistema dei partiti, ancora oggi, non è in grado di sopportare un controllo di legalità, a mio avviso c’è qualcosa di profondamente sbagliato che deve essere corretto. Dopo le elezioni sarà il caso di avviare una profonda riflessione politica.
 
«Sono dilettanti allo sbaraglio» ha detto ieri Umberto Bossi, rivolgendosi a chi ha commesso degli errori. C’è solo questo secondo lei?
 
A me pare che la Lega sia intenzionata a ricavare un vantaggio elettorale da questa vicenda. Bossi fa polemica per dimostrare che la Lega è un partito compatto, capace di rispettare tempi e procedure. Nel nord abbiamo la Lega che è un partito con la P maiuscola, sembra dire tra le righe, mentre il Pdl è disorganizzato e improvvisato. È evidente che si tratta di un messaggio elettorale. Credo che ne vedremo molti altri di questo tipo, interni allo schieramento.
 
Un altro tema è il ruolo del Capo dello stato. Nel ’95 alcuni piccoli partiti non rispettarono le scadenze di legge e Scalfaro intervenne, chiedendo a Dini un decreto di proroga. Potrebbe essere una soluzione?
La mia opinione è che faccia bene ora Napolitano e che abbia sbagliato Scalfaro nel ’95. Il ruolo di garanzia del Capo dello stato è ormai diventato una sorta di ultima istanza per la risoluzione di qualsiasi problema, ma non è questo il suo compito. Bene ha fatto secondo me Napolitano a rimanere fuori. E credo che prima di dire la sua, intenda aspettare la decisione del Tar sulla lista del Pdl a Roma.
 
Non rischia, il sistema politico, di rimanere vittima di se stesso e dei propri veleni?
Occorre tornare a far politica in modo equilibrato e ragionevole, non c’è dubbio. Più che un intervento del presidente della Repubblica, vedrei bene una sorta di sanatoria, decisa da tutto il Parlamento, per sanare questa ferita. Ma non può essere la sola maggioranza a decidere su una cosa che la riguarda; dovrebbe essere tutto il Parlamento, consapevole di dover sanare una distorsione per garantire la piena rappresentanza. Proprio per questo però non mi faccio illusioni.
 
Perché?
Lei riesce ad immaginare che Di Pietro, o anche qualcun altro, possano accettare una cosa del genere?
 
Ma è proprio l’eventualità di un esito negativo dei ricorsi, che spaventa chi parla di una minaccia per la rappresentatività, da salvaguardare a tutti i costi contro le regole.
Distinguerei innanzitutto le regole dai formalismi. Ecco perché quello che mi riporta è un ragionamento che non mi convince, perché il rispetto delle regole è parte fondamentale della democrazia. Qualcuno ha contestato prima, prima ripeto e non dopo, la legge elettorale e le procedure che essa comporta? No. In realtà sono ragionamenti ex post di fronte ad una serie di pasticci, commessi da una parte politica. E le leggi si cambiano solo quando la partita si è conclusa.
 
A Milano i giudici non hanno concesso il legittimo impedimento a Berlusconi. I casi delle liste vittime dei formalismi sono il capitolo del conflitto più ampio che oppone certe procure al premier?
 So che qualcuno sostiene questa tesi, io credo però che si tratti di cose diverse e che non faccia bene al Pdl mescolare tutto. Penso che sulla questione del legittimo impedimento abbia ragione Berlusconi: non vedo come la magistratura possa interferire, stabilendo il giorno in cui può svolgersi un Consiglio dei ministri. Ma non vedo un nesso fra le vicende elettorali e il legittimo impedimento.
 
Vede vie d’uscita a questa nuova crisi nella crisi?
 Come ho detto sarei favorevole a negoziare una tregua, che mi pare ormai indispensabile. Anche perché l’immagine che si dà all’opinione pubblica è pessima e di profonda, progressiva delegittimazione del sistema. Col rischio di una disaffezione grave e crescente.