Il rogo degli eretici (recensione libro Bruno Pellegrino) – settembre 2010
Il n. 9/2010 della rivista Mondoperaio pubblica le seguente recensione del libro di Bruno Pellegrino, L’eresia riformista, Guerini&Associati, 2010
Mondoperaio n. 9/2010
Il rogo degli eretici
Stefano Rolando
E’ giusto che dopo una lunga metabolizzazione – lo scioglimento del Partito Socialista Italiano avvenne nel 1994 – pur avendo i contemporaneisti di professione pieno diritto ad intervenire, si collochi una pubblicistica “intermedia”. Tra la memorialistica dei protagonisti e appunto l’analisi delle carte degli storici, il contributo meditato dei testimoni. Testimoni, nel caso di Bruno Pellegrino, molto coinvolti e – per i temi trattati – anche parte non irrilevante di tante decisioni assunte. Un contributo interessante per individuare fattori di successo e fattori critici degli eventi, misurati anche dal vissuto di progetti e delusioni. E soprattutto per inventariare fino al dettaglio un tessuto di elementi che “per carte” rischierebbe di andare perduto o almeno in parte disperso. Pellegrino – che passò dalla direzione del Club Turati a Milano (dopo Carlo Ripa di Meana) al coordinamento di Club dei Club rete degli ambiti di partecipazione di cultura politica dei socialisti nell’età di Craxi, a responsabilità politiche elettive e alla rappresentanza politica in una industria culturale nazionale come la Rai – affronta il doppio nodo della rigenerazione della cultura politica riformista dei socialisti italiani e del rapporto che il PSI, dal 1976 al 1994, ha avuto con gli intellettuali e la cultura tout court in Italia e nel contesto dell’Europa comunitaria. Un territorio in cui anch’io ho provato a dare un contributo (Una voce poco fa, Marsilio 2008) intervenendo sul segmento della comunicazione e delle comunicazioni.
Qui (L’eresia riformista. La cultura socialista ai tempi di Craxi, Guerini, 2010) è affrontata la cornice più ampia di una cultura intesa non tanto come il collateralismo dei partiti di massa con il sistema delle arti e dello spettacolo, quanto come la tessitura tra “passato e presente” (per ricordare il titolo di una delle tante riviste che nutrì quella ricerca) degli elementi di ricostituzione del progetto politico generale di una forza politica che, nel tempo, era stata flessibile rispetto a molte tendenze, pertanto non monolitica e dottrinaria, costruendo poi attorno al filone massimalista e a quello riformista la sua maggiore dialettica interna. E che, nella fase più cruciale della storia contemporanea (gli anni del terrorismo, della de-industrializzazione, dell’avvio dell’allagamento dell’Europa, della prima globalizzazione) decide la sua scelta definitiva. La scelta del principio di riformabilità dello Stato inteso come insieme dell’articolazione istituzionale, in una lettura della politica non ideologicamente sovrapposta alla società, ma appunto generata dall’adattamento alla trasformazione della società stessa. Da qui il tema degli strumenti di analisi di quella trasformazione che costituiranno tra gli anni settanta e ottanta la sostanza del duello a sinistra (oggi risolto a larghissima maggioranza di vedute a favore del Psi di Craxi e non del Pci del Berlinguer) e la sostanza dell’alternativa possibile nella guida politica del paese (il rapporto tra i socialisti – insieme ai laici nel loro complesso – e la Democrazia Cristiana nella sua età matura, con grande tradizione democratica ma con minori spinte progettuali, che è tema più in ombra nel libro di Bruno Pellegrino, restando esso l’altro corno dei fattori di successo della vicenda socialista).
Un progetto riformista, dunque, che mette al centro dell’indagine la tessitura di idee, analisi, proposte a cui perviene un partito politico catalizzato dalle scelte interne ma capace di disporre di reti, di soggetti pensanti, di dialettiche, di contributi alti. L’analisi di Pellegrino è qui una ricostruzione straordinaria di una coralità pensante (in cui la rivista Mondoperaio, pur con tutte le sue oscillazioni, resta una delle principali superfici di iniziativa) che cancella ogni argomentazione sulla casualità di opzioni generate puramente dal cambio dei vertici. Non eclettismo ma riformismo. Claudio Martelli, che assume dalle metà del libro in poi un ruolo primario, sintetizza la storia e la scelta: “Se di eclettismo si tratta non è un’invenzione o una subdola infiltrazione del 1978, ma un carattere originario e persistente del socialismo italiano da sempre attraversato da filoni marxisti (berneisteniani, kauskiani, leninisti, luxemburghiani, austromarxisti, positivisti, riformisti, massimalisti, gradualisti…) e non marxisti (il socialismo sindacalista, quello liberale, quello di impronta etica, umanitario, filantropico, utopistico”). Scelta riformista come scelta minoritaria, nella sinistra e nel quadro politico italiano. Da qui l’elemento di eresia che sarà la distinzione nella fase ascendente e la dannazione nella fase discendente di quella politica.
Anno cruciale, per Pellegrino, il 1977 in cui la maggiore riunione di intellettuali e operatori culturali disposti a ribellarsi alla pietrificazione ideologica che si perpetua nel Pci (e che era stata anche incoraggiata dalla linea degli “equilibri più avanzati” del Psi di De Martino) avviene a Milano attorno alla suggestione – oggi sintetizzeremmo – del socialismo liberale proposto da Norberto Bobbio nel convegno “Politica e cultura” che consente l’avvio di una serie di eventi progettuali che, almeno fino al 1982, caratterizzano rassemblement e irrobustimento della linea politica.
Quasi sempre queste conferenze di intellettuali, operatori, ricercatori finiscono con proposte di riforma che il Psi adotta formalmente nella propria piattaforma. La cornice conclusiva di questa stagione sarà la conferenza di Rimini – affidata alla responsabilità di Luigi Covatta e interpretata da Claudio Martelli al culmine di una articolatissima tessitura progettuale – che viene tuttora ricordata come la conferenza di coniugazione “dei meriti e dei bisogni”. Dall’altra parte quel 1977 sarà anche l’anno della Biennale del dissenso, con un Partito Socialista che fa quadrato attorno all’impegno del presidente della Biennale Carlo Ripa di Meana – e attorno anche qui ad una rete di lavoro critico ed editoriale tra democratici italiani ed europei e dissidenti dei paesi del socialismo reale (22 libri prodotti in quella stagione per documentare ciò che a fatica in Europa filtrava sulla degenerazione dei sistemi comunisti) – che vede esplodere il confronto critico sulla questione cruciale del “duello a sinistra” con i comunisti italiani (e non solo loro) incapaci di imboccare la via della solidarietà rispetto ai dolorosi fermenti che dieci anni dopo determineranno la fine di un sistema.
L’eresia riformista è spesso forza e debolezza dell’anticipazione. La beffa – varie pagine del libro lo ricordano – è la tardiva ammissione degli avversari e soprattutto la riappropriazione frammentata di una progettazione compiuta senza pagare copyright. Quel 1977, a buoni conti, non sarà neppure facilmente archiviabile nella storia del Pci perché, osserva qui divertito Pellegrino, comincerà con gli strali austeri di Berlinguer e finirà “con le brioches romane di Renato Nicolini”.
Il libro vola nella prima parte. La descrizione – rispettosa di tutti, anche di coloro che furono sconfitti da Craxi e che interpretarono comunque resistenza al cambiamento – dei frammenti di cultura politica in campo in ragione del loro esistere nella storia comune, è notevole per chiarezza, sinteticità e generosità. E fa i conti con le necessità dell’inventario di tantissime cose, nella seconda parte, che toglie un po’ di scioltezza narrativa al testo. Cogliere qui brandelli è impossibile. L’approccio è quello non della sequenza degli eventi (la storiografia annalistica) ma quello dell’analisi di un movimento “incarnato”, dunque storia di figure umane nella loro differenziata vicenda ma accomunate da una sorta di biologia evolutiva della politica. Il punto su cui si ritrova di più la mia generazione è quello della storia di un partito delle contaminazioni, contrapposto a un Partito Comunista che, tanto nella gestione della prima classe dirigente nel dopoguerra quanto nella successiva gestione berlingueriana, quelle contaminazioni teme e avversa. Accanto alla figura di Norberto Bobbio moltissimi i sipari che danno luce alla complessa ricomposizione di quel genere di contaminazione. Cito a memoria i nomi che sono significativi per l’originalità del contributo: Luciano Cafagna, tra i più citati, ma anche Massimo Salvadori, Lucio Colletti, Ernesto Galli della Loggia. Così che nella densa descrizione dei fatti bisogna chinarsi per terra e raccogliere talvolta il nichelino nell’angolo per cogliere anche i punti esclamativi che l’autore sdrammatizza ma non cela. Lo stesso Galli della Loggia in una certa fase di impetuosa crescita dell’idea dell’unità nazionale auspica l’accordo tra Pci e Dc, Giuseppe Tamburrano – prima di una onesta revisione di analisi – punta i piedi sull’a-priori del marxismo, Giorgio Napolitano, che pur si distinse per revisionismo, esprime un’ iniziale giustificazione dell’invasione sovietica in Ungheria, Carlo De Benedetti e Cesare Romiti sono segnalati tra gli oppositori in Confindustria al taglio della scala mobile nel 1984, i demolitori sessantottardi della Biennale sono ricordati per nome e cognome (e dei direttori delle sezioni della Biennale Vittorio Gregotti, Luca Ronconi e Giacomo Gambetti – i primi due allora in quota comunista, il terzo in quota democristiana – sono ricordate le dimissioni per ostacolare la Biennale del dissenso). Il solo punto esclamativo è tracciato a proposito della “incomprensibile” posizione del laico, radicale, socialista Eugenio Scalfari in ordine all’incoraggiamento alla “deriva cattocomunista del Pci” che determina “un cortocircuito culturale che si abbatte come un filmine sulle già fragili basi riformiste della sinistra italiana, devastandone le prospettive”. A Paul Ginsborg, che negò a Vittorio Foa l’esistenza sostanziale stessa dei socialisti nella storia d’Italia, è dedicata una vistosa citazione.
L’architettura del libro riguarda il farsi di una costruzione. Su come essa si è o è stata disfatta ci sono non pochi scaffali a disposizione. Per ora Pellegrino non approfondisce il tema. Ma siccome il tempo a disposizione dei “testimoni”, prima che la parola sia interamente agli storici, è ancora tempo di partita (come questa rivista cerca di dimostrare), non è detta l’ultima parola. L’ultimo capitolo è dedicato al “cataclisma dell’Ottantanove” (fine del comunismo e fine dei “due blocchi”) in cui la pira per gli eretici, paradossalmente, si materializza. E i cenni ai paradossi (perché avendo vinto le battaglie il riformismo perde la guerra) riguardano il caso Moro, la trasformazione dell’Occidente, i conti finali con comunisti e democristiani. Se ci sarà l’ultima parola, l’acuta indagine di un italiano di estrazione meridionale (fonte di ironia) radicato nella conoscenza di quel po’ di illuminismo che l’Italia ci riserva (la Milano della ragione) saprà anche estendersi alle fragilità e alle contraddizioni interne di un gruppo dirigente.
Bruno Pellegrino – L’eresia riformista. La cultura socialista ai tempi di Craxi – Guerini &Asociati, Milano 2010.
Link alla rivista in rete
http://www.mondoperaio.it/Portals/_Rainbow/Documents/biblioteca-schede%20di%20lettura_1.pdf