Il laboratorio politico-elettorale (5 gennaio 2013)
Blog Comitato Ambrosoli
Si lavora a un laboratorio politico-elettorale
5 gennaio 2013
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Intervista a Stefano Rolando
a cura di Maurizio Trezzi
a cura di Maurizio Trezzi
Come mai un professore universitario trova interessante svolgere questo duro mestiere che è fare lo “spin doctor”?
Intanto – chiariamoci subito – io non faccio nessun mestiere di spin doctor. Non ho mai svolto professionalmente incarichi di questo genere. Ho operato nelle istituzioni per molti anni. Ho visto da vicino politica di alto livello. Ho insegnato e insegno la comunicazione politica. Ho presieduto una società che, accanto a strategie di comunicazione pubblica, ha curato anche campagne elettorali, la cui presidenza ho poi lasciato e nel corso della quale non ero io a svolgere quell’attività. In due casi – quello di Giuliano Pisapia nel 2011 e di recente quello di Umberto Ambrosoli – ho svolto e svolgo un compito solo e soltanto per ragioni civili e politiche.
Va bene, ma sempre un lavoro di strategia elettorale…
Nel caso di Giuliano Pisapia non mi sono occupato della sua strategia elettorale. Ho partecipato alla discussione che ha portato a far emergere la necessità di un raccordo tra persone socialmente in vista, significative della cosiddetta borghesia cittadina, per creare un gruppo di motivato orientamento della pubblica opinione teso al cambiamento nella gestione della città, in quanto tale obiettivo corrispondeva ad un loro convinto punto di vista. E’ stata l’operazione dei “51”, presieduta da Piero Bassetti, di cui ho svolto un ruolo coordinante. E quei 51 iniziali sono diventati centinaia in breve tempo, in costante rete e con una interessante modalità partecipativa.
Nel caso di Ambrosoli si è parlato di “coordinamento dell’iniziativa politica”…
Appunto, quello è stato il mio punto di incontro con il candidato un’ora dopo la sua decisione di sciogliere le riserve. Partiva con quella candidatura un laboratorio del tutto nuovo di rapporti tra partiti e società civile, tra professionisti della politica e soggetti impegnati nel civismo; soprattutto partiva un progetto di discontinuità rispetto a un ciclo di potere declinante da rimpiazzare con nuova classe dirigente. Il tutto in una regione che è la mia regione e in Consiglio regionale di cui sono stato – da indipendente – direttore generale. Motivi per partecipare a un progetto, non per svolgere un compito professionale.
Questo spiega il punto di incrocio tra ottica del manager e ottica del professore?
Diciamo così. E’ in corso un grande lavoro che va al di là della sola campagna elettorale. Che pure è uno snodo essenziale, che occupa molto tempo e molte cure. Ma nel cui desk ci sono professionisti di varie competenze e alle spalle ci sono esperti e studiosi di chiara fama. Visto in prospettiva il tema del modello organizzativo di governo e del profilo di una classe dirigente all’altezza si configura come un progetto “politico” rilevante per l’Italia oggi. Per il rilievo che ha la Lombardia in Italia. E per il banco di prova che è la Lombardia – in cui forse il ciclo della ripresa economica potrebbe non tardare – per la nuova cultura politica, istituzionale e amministrativa del centrosinistra in Italia.
Perché Umberto Ambrosoli, che non ha particolari esperienze politiche amministrative, è la figura giusta per un progetto così impegnativo?
Intanto Umberto Ambrosoli ha esperienze interessanti al suo attivo, capisce di diritto, capisce di istituzioni, capisce di etica pubblica. In più lui – per tante ragioni – è una figura con aspetti simbolici. Che sono molto importanti per fronteggiare una crisi e per motivare una ripresa di fiducia verso le istituzioni. Poi ha una forza di apprendimento enorme e questi tre mesi di grande lavoro sul campo portano alla sua volontà di ascolto e di interlocuzione una quantità di problemi e di soggetti che li vivono che sono meglio di una laurea universitaria. Ha dalla sua l’età, cioè il cambiamento vero generazionale. E ha dalla sua che può guidare in modo assai credibile un processo di rinnovamento. Nel quale – proprio perché la sua non è la filosofia di “un uomo solo al comando” – conterà la squadra, conteranno le reti di partecipazione e la qualità del lavoro non solo tecnico ma anche culturale che sarà possibile sviluppare.
Dietro a queste prole sembra di scorgere il problema di come sostituire la rete profonda di CL che governa attualmente la Regione Lombardia?
Il cambio di una gestione politica avviene nel rispetto delle leggi e dei contratti in essere. E certamente deve anche portare un segnale di nuovo rispetto del pluralismo nelle culture amministrative, soprattutto facendo crescere la componente di servizio al cittadino rispetto alle affiliazioni. Ma essendo capaci di guardare alle competenze, alle esperienze e ai casi di probità e di dedizione da qualunque parte si siano prodotti ed esercitati, mantenendone l’utilità verso la società. Più in generale è proprio il modello di organizzazione a consentire rinnovamento di metodo. Su questo aspetto non basta una piccola intervista, bisognerà pensare e produrre argomentazioni serie e adattabili.