Il Foglio (Angiolo Bandinelli) 8 dic 09 su Pannella e Pannunzio recensendo il libro

Dodici ore con Pannella per conoscere l’eredità liberale di Pannunzio

di Angiolo Bandinelli
 
Si è svolto nei giorni scorsi a Milano, sponsorizzato dal Corriere della Sera, un convegno su Mario Pannunzio. Pur non condividendo la riduttiva evocazione, affiorata in alcuni interventi, del “terzismo” quale cifra del suo tentativo di far nascere un partito liberale capace di tener testa all`egemonia dei due blocchi dominanti, il comunista e il cattolico, penso che il convegno abbia contribuito a tener aperto il discorso sul grande giornalista e politico.

Si sta facendo strada, direi, la nozione che Pannunzio sia stato il punto massimo di coagulo per la possibile nascita di un liberalismo moderno, non conservatore, dinamico, aperto. Ma ritengo che il problema di oggi non sia quello, che appare nostalgicamente nelle pieghe del convegno milanese, di evocare o invocare possibili eredi di Pannunzio cui delegare la nascita di un nuovo-vecchio partito liberale. Proprio per la sua formazione (che era anche la sua forza) Pannunzio non capì che in una società di massa, nell`Itaca dalle gracili radici liberali, non c`era spazio per un partito organizzato attorno al linguaggio e alle strutture del liberalismo classico, anche se mutato di nome come lui volle – da liberale a radicale. Nella mia scarsa e inadeguata esperienza, a un certo punto decisi di abbandonare, con dispiacere, la navicella del Mondo per aggrapparmi a quella che allora appariva poco più che una zattera, il gruppo dei giovani radicali che si raccoglieva dietro a Marco Pannella. Qualcosa nei meccanismi politici, organizzativi e di “linguaggio” messi in moto dal giovane leader aveva, ai miei occhi, potenzialità ben più affascinanti e foriere di affermazione di valori liberali. In primo luogo, l`aver posto come centrale della propria iniziativa una rigorosa tensione alternativa, ancorata alla nonviolenza gandhiana e all`azione diretta di sapore libertario che fosse correttivo innovatore proprio in termini di teoria politica – rispetto alla logica del liberalismo classico. Questa tensione consentì ai pur inesperti giovani pannelliani di gestire, in forme straordinariamente efficaci, la campagna divorzista ed altre fondamentali battaglie per l`obiezione di coscienza o per la legalizzazione dell`aborto, e di mettere poi a fuoco quella strategia referendaria che consentì a grandi masse popolari di deliberare su temi essenziali – dal Concordato al sostituto d`imposta, dal codice Rocco alla legge Reale, dagli ordini professionali al finanziamento pubblico dei partiti, ecc., – occhiutamente controllati dalla “casta” partitocratica. E non è un caso se oggi i continuatori di quei giovani costituiscano l`unica forza organizzata – la cosiddetta “galassia radicale” – che sappia confrontarsi sui temi etici o, detto meglio, dei diritti civili oggi al centro del dibattito politico, non solo in Italia. Concluderemo che questa galassia è l`erede di Pannunzio? La domanda è malposta e una qualsiasi risposta sarebbe priva di senso. Ciò che conta è che il radicalismo pannelliano è da mezzo secolo – persino in continuità giuridica con il partito di Pannunzio – protagonista di campagne laiche, di autentico umanesimo, che sarebbero proprie del partito liberale che tutti invocano ma che non c`è. Forse, la massima intuizione del giovane Pannella fu l`aver compreso che per moderne battaglie di libertà occorreva dar loro corpo, una vera e propria corposità fatta di carne, sangue e ossa – pubblica, visibile e dunque mediatica – capace di parlare non tanto con lo scritto ma con la parola e soprattutto con l`immagine, il segno, la “cifra”: insomma con la biografia. Pannella ha messo in gioco, appunto, il proprio corpo, che si dimostrò essere poi il corpo del partito radicale fatto delle presenze e biografie di quanti, per un`ora o per una vita, sono passati di lì. Questi temi affronta, per darcene una rappresentazione di prima mano, l`intervista a Marco Pannella raccolta da Stefano Rolando – “Le nostre storie sono i nostri orti (ma anche i nostri ghetti)“, Bompiani 2009, 15 euro – in dodici ore di conversazioni nelle quali il leader radicale ha ripercorso la sua vita, dall’adolescenza agli ottanta anni di oggi. Tra risposte e battute, Pannella parla del proprio vissuto politico, di sé come “monumento virtuale e ancora ingombrante“, come sorride l`introduzione. Ma, avverte Rolando, questo è un modo per raccontare storia: la storia del “cittadino” come anche dello “Stato”, “declinato come norma, come valore, come farsi e disfarsi di principi, come affermazione di sé e negazione di sé perché superato dall`Europa, dalla mondializzazione, dalle transnazionalità“. Pannella definisce la politica radicale come portatrice di “un trittico di strumenti: la democrazia parlamentare, con il sostegno di quella referendaria e delle azioni nonviolente”. Un trittico insieme libertario e liberale. L’intervista spazia sui temi della “durata” – che per Pannella è la “forma” delle cose, e dunque di questo suo partito vivo e operante a 57 anni dalla nascita – o della costruzione del “bene”, del dialogo piuttosto che della “distruzione” dell`avversario o del “male”, della attenzione per restare sempre “in sintonia con una vasta domanda sociale di diritti e libertà”. Vi risuona. costante, il leitmotiv della “unità laica delle forze” (piuttosto che della “unità delle forze laiche”) chiave di volta di una strategia volta alla costruzione di una alternativa “di classe” alle attuali classi dirigenti di regime. Centrale è l`attenzione al confronto con il mondo comunista prima espresso da Togliatti o da Berlinguer e quindi arenatosi nei tentativi, ancora in corso, di evolvere in una forza di democrazia liberale. In speculare parallelo, il rapporto con la Dc e il mondo cattolico, mai in cerca di un dialogo truccato o viziato ma di un aperto confronto sui grandi temi della vita e della speranza, come accadde con la campagna sulla Fame nel mondo, quando fu evidente il dialogo alla lontana con Giovanni Paolo II. Manca nel libro una esplicita riflessione teorica sulla prassi radicale. Pannella è poco propenso alle teorizzazioni generali (ha sempre detto no alla “riflessione sulla riflessione”). C`è però da chiedersi, a questo punto, come mai il ricco patrimonio radicale sui temi della democrazia, dello stato di diritto, della crisi (Pannella la definisce la “peste”) italiana e degli strumenti per superarla a partire dalla questione della forma-partito, ecc.. non abbia invogliato l`accademia storico-politica italiana ad una attenzione critica non chiusa in un ritrattino angustamente politologico. E infine: la lettura più adeguata della vicenda radicale dovrebbe forse partire dalla dimensione internazionale, analizzando lo sforzo, il tentativo di arrivare il più vicino possibile alla creazione di un Partito Transnazionale che possa affrontare i temi del federalismo istituzionale, europeo ma non solo, di un diritto e una giurisdizione transnazionale o, infine, della vagheggiata “Organizzazione Mondiale della e delle Democrazie“, punto di approdo delle vittoriose campagne sulla moratoria della pena di morte e sul tribunale internazionale. Con gli scarsi mezzi a disposizione, intanto Pannella si appresta ad un difficile “Satyagraha di verità”, puntato di nuovo sulla questione irachena con la infelice sua gestione da parte dell`occidente ma in particolare di Blair, e sulla campagna per l`autonomia del Tibet e la democrazia cinese.