Il ditino alzato (Facebook, 6 febbraio 2013)

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Buona e mala politica/ Diario di trincea 16
pubblicata da La buonapolitica il giorno Mercoledì 6 febbraio 2013 alle ore 15.21
 
Il ditino alzato
Ieri mi è sfuggita la nota di Fabrizio Revelli (“Ventirighe”) su Repubblica-Milano.
La ripropongo oggi perché nello schema tra buona e malapolitica c’è la nota complicazione della “variante interna”. E soprattutto c’è la dominante generale (che cercai di trattare diffusamente appunto nel mio libro La buonapolitica, del 2012) e cioè che l’offerta di buona o cattiva politica dipende largamente dalla qualità della domanda, dunque dal modo di ragionare e di dialogare con la politica e con le istituzioni del cittadino.
Anche quando il cittadino è “tifoso”, ovvero partecipativo, ovvero informato abbastanza per potere collocarsi nei fatti con maggiore o minore responsabilità.
A fronte di un quid (così dice l’analisi Ipsos più recente) dell’elettorato di centrosinistra, che ha in pancia (per antico sconfittismo) l’idea che – pur votando lui Ambrosoli – “andrà a finire che poi vincerà Maroni“, questo editorialino cade puntualmente.
Eccolo.
 
Quelli con il ditino alzato(Ravelli su “Repubblica”, 5.2.13)
La sindrome tafazziana della sinistra
Fabrizio Ravelli
Se questo fosse un Paese normale, un onesto candidato che si presentasse in Lombardia contro il centrodestra dei Maroni e dei Formigoni dovrebbe vincere a mani basse. Sarebbe ovvio e naturale che una classe politica responsabile di ruberie (a centinaia di milioni di euro, altro che Nutella), traffici malavitosi con la ‘ndrangheta, firme false sulle liste, vacanze tropicali a sbafo, diamanti e lauree albanesi, multe per le quote latte scaricate sui contribuenti, se ne andasse a casa e lasciasse il campo a qualcun altro. Sarebbe, prima di tutto, una questione di efficienza e di decenza.
La Lombardia, regione dinamica che pure soffre la crisi del lavoro e dell’economia, si merita di meglio. Umberto Ambrosoli, non avendo alle spalle una macchina elettorale collaudata, scontando le difficoltà dell’esordiente e pagando un ovvio deficit di notorietà, ci sta provando. E gli tocca affrontare, oltre allo strapotere economico degli avversari – solo Maroni spenderà per la campagna elettorale circa il doppio di quanto ha preventivato Ambrosoli – anche la sindrome tafazziana di quelli che dovrebbero voler vincere con lui e che invece preferiscono esercitarsi nella tradizionale attività della sinistra, che è quella di sottolineare i difetti del compagno di banco. Quelli con il ditino alzato, che non gli va mai bene niente. Quelli che Maroni se lo sono meritato.
(La Repubblica, Milano – 5 febbraio 2013)