Il dibattito completo su via Padova e il “Carducci” negli anni ’60’
La vicenda di Via Padova e una nota di Curzio Maltese aprono un dibattito sul Liceo Carducci a Milano e gli anni sessanta
Da: mailinglist-bounces@carducciani.org per conto di Giovanni Scirocco
Inviato: lun 01/03/2010 14.07
A: associazione carducciani
Oggetto: [Mailing list Carducciani] Curzio Maltese: Via Padova,il laboratorio trasformato in ghetto
Inviato: lun 01/03/2010 14.07
A: associazione carducciani
Oggetto: [Mailing list Carducciani] Curzio Maltese: Via Padova,il laboratorio trasformato in ghetto
Dal Venerdì di Repubblica, 26 febbraio 2010
Ve lo mando perché Curzio, che ci legge, non ha dimenticato, ovviamente, di citare il suo liceo….
Un caro saluto a tutti
Giovanni
Via Padova, oggi dipinta come un ghetto violento, è stata per anni una periferia bella di Milano. Anzi, il laboratorio di una periferia bella e grande, il vanto della Milano riformista, quando si poteva essere socialisti. A via Padova erano tutti socialisti e comunisti, anche i bottegai e perfino i preti. Preti operai, come la maggior parte degli abitanti, e socialisti. Quelli dell’oratorio San Giovanni, gli altri dell’istituto Don Calabria, vicino al Parco Lambro. Ora ne è rimasto uno, don Virginio Colmegna, che sta proprio in fondo ai quattro chilometri della via, prima dei canali, ed è il sindaco dei poveri. Insomma, il vero sindaco.E’ grazie a lui che non scoppia una rivolta di immigrati ogni settimana. A via Padova c’era il più bel parco per l’infanzia di Milano, il Trotter; dove ora si divertono solo i topi. C’erano le associazioni, l’Anpi, Legambiente, l’Arci, i sindacati, circoli, biblioteche. Qui era nata Radio Popolare, in via Pasteur, e uno dei primi centri sociali d’Italia, il Leoncavallo, dove si facevano concerti, spettacoli, dibattiti, mica solo spinelli.La mattina le famiglie separavano le strade. I padri andavano nelle fabbriche vero Sesto San Giovanni, la Breda, la Falck, la Marelli. I figli andavano a scuola intorno a piazzale Loreto. Ottime scuole, e il liceo Carducci, anche quello socialista da sempre, dai tempi di Mario Monicelli studente giù fino a Claudio Martelli. Quando c’era un problema a via Padova, cioè spesso (nel qaurtiere viveva l’equivalente della popolazione di Bologna), arrivava il sindaco ad incontrare gli abitanti, così facevano Aldo Aniasi e Carlo Tognoli. Poi non s’è visto più nessuno.La signora Letizia Moratti ha vaghe cognizioni della città di cui è sindaco, almeno oltre la cinta dei Navigli, la Galleria, via Montenapoleone, e non si sogna di parlare con cittadini di periferia. Oggi via Padova è una Babele di cinquanta nazionalità, compresi gli azeri. La gente per la strada e sul 56, l ‘autobus che la percorre tutta, ha la faccia di un’incazzatura perenne.
Il Trotter, Radio Popolare, il Leoncavallo sono emigrati altrove. Ai ricchi scemi che governano la città non importa nulla di questo mondo, sono contenti di aver confinato gli immigrati in poche aree periferiche. Progettano quartieri blindati per soli milionari dove ci vorrà il tesserino per accedere, anche per la servitù. Pensano all’Expo del 2015. Il Grande Evento. Un bel funeralone per la Milano che non ha futuro, affidato al racket del caro estinto …
Il Trotter, Radio Popolare, il Leoncavallo sono emigrati altrove. Ai ricchi scemi che governano la città non importa nulla di questo mondo, sono contenti di aver confinato gli immigrati in poche aree periferiche. Progettano quartieri blindati per soli milionari dove ci vorrà il tesserino per accedere, anche per la servitù. Pensano all’Expo del 2015. Il Grande Evento. Un bel funeralone per la Milano che non ha futuro, affidato al racket del caro estinto …
Curzio Maltese
Da Fabrizio Dorsi (fab.dorsi@alice.it)
Sent: Tuesday, March 02, 2010 11:04 PM
Subject: R: [Mailing list Carducciani] Curzio Maltese: Via Padova,il laboratorio trasformato in ghetto
Fa sempre piacere vedere citato il proprio liceo, ma mi sembra si possa definire il Carducci
un liceo “socialista da sempre” solo nella ahimè spesso necessaria semplificazione giornalistica.
E’ vero che il Carducci (fortunatamente) non è mai stato un liceo di “fighetta” come il Parini
o il Berchet (e di questo eravamo tutti fieri). E’ anche vero che nei bagni dei maschi (almeno
ai miei tempi) campeggiava la scritta “Se gli asini volassero il Gonzaga sarebbe un aereoporto”.
Ricordo però un panorama politico piuttosto ricco e articolato, che andava anche al di là dei
confini della sinistra, parlamentare o meno.
Per esempio, tra coloro che avevano solo qualche anno più di me vi erano (primi anni ’70)
l’allora liberale Ugo Tramballi (oggi, credo, giornalista del “Sole-24 ore”) e l’allora missina
Paola Frassinetti (in seguito parlamentare di Alleanza nazionale).
Un cordialissimo saluto,
Fabrizio Dorsi
maturità 1977, sez. H
Da Guido Hugony (g.hugony@teicosgroup.com)
Sent: Wednesday, March 03, 2010 10:01 AM
Subject: R: [Mailing list Carducciani] Fw: Curzio Maltese: Via Padova,il laboratorio trasformato in ghetto
Vorrei ricordare che il Carducci ( o se preferisci il Mister Giosuè ) fu il primo liceo a Milano a riprendere i valori della resistenza e della costituzione nei primi anni ’60, sentendosi parte del rinnovamento della società italiana correlato all’arrivo dei socialisti ( quelli veri ) al governo.
Poi c’è stata piazza Fontana…
Chi è arrivato dopo non abitava in via Padova e non veniva dalla cintura operaia, né certamente ricordava gli scioperi del ’44 in pieno regime fascista; è così dai socialisti siamo tornati ai missini…
Cordialità
Guido Hugony
Maturità 1965 Sez E
Da Andrea Cuomo
Sent: Saturday, March 06, 2010 9:58 PM
Subject: Re: [Mailing list Carducciani] Fw: Fw: Curzio Maltese: Via Padova, il laboratorio trasformato in ghetto
Ci sono evidentemente diverse generazioni. Quella uscita dalla Resistenza, quella del 68, quella del riflusso, quella di Mediaset e quella di Internet, che spero arrivi presto.Non so che senso possa avere un’associazione di reduci che non hanno niente da condividere, ne’ valori, ne’ sogni e nemmeno la cultura. Per non citare l’esperienza di vita e tutto cio’ che ciascuno di noi ha fatto (o non fatto) dopo i 18 anni; alla fine e’ uno spaccato della borghesia italiana del secondo decennio del secondo millennio… L’essere stati allievi del Carducci non e’ un elemento di comunione culturale, e’ un puro fatto casuale e l’utilita’ dell’associazione si riduce ad una specie di facebook per ritrovare vecchi amici.Forse l’errore e’ pensare che possa essere qualcosa di piu’.
Andrea
Da Giuliano Gelsi
Sent: Tuesday, March 09, 2010 12:20 AM
Subject: R: [Mailing list Carducciani] Fw: Fw: Fw: Curzio Maltese: Via Padova,il laboratorio trasformato in ghetto
Vorrei dire ad Andrea che il suo commento,così crudo e apparentemente lucido e sincero, tradisce di lui la negazione di ogni punto di contatto nato dall’aver vissuto i più importanti anni dell’adolescenza in un contesto che ha consentito ,a Curzio come ad altri, di dare un senso alle prime esperienze di confronto con la realtà “adulta” e di crescere. Il Carducci di cui molti hanno parlato in questi giorni ha rappresentato una realtà sociale e culturale che certamente si è persa ma che induce chi ha voglia di ascoltare e di capire, almeno per differenza, a valutare la miseria della condizione presente, della scuola come della politica. Condizione che consente, ad Andrea come a moltissimi altri, di pensare e dire che, in fondo, nulla ci può unire, neanche quei ricordi e discorsi così lontani che hanno fatto di ciascuno di noi ciò che siamo. E che ognuno pensa (pensi) ai cavoli suoi. E poi perché ragionare ancora sulle condizioni e le trasformazioni di una realtà milanese ,e non solo, così profondamente diversa da quella via Padova e da quel Carducci ricreati con tanta verità da un giornalista ex carducciano. Forse proprio da quella esperienza di formazione, da quel contesto così vivo, contraddittorio ma vitale, lui come molti altri, ha tratto alcuni degli strumenti e sentimenti che si traducono ancora oggi in passione, lucidità e onestà intellettuale.Se l’esistenza dell’associazione avesse come unico scopo ed effetto quello di aver suscitato i ricordi, le discussioni, le riflessioni che ho letto in questi giorni, sarebbe già per questo ampiamente giustificata.
Giuliano.
Da Stefano Rolando
Sent: Tuesday, March 09, 2010 10:09 PM
Subject: Re: [Mailing list Carducciani] Fw: Fw: Fw: Fw: Curzio Maltese: Via Padova, il laboratorio trasformato in ghetto
Il mio Carducci è quello degli anni ’60. Il tema di questa discussione – sollevato dalla nota di Curzio Maltese – non è affatto banale. E non investe un aggregato casuale che vuole soltanto ritrovare i vecchi amici delle gite al Tonale o a Camogli (che pure ci sta). Cinque anni di iperfrequentazione (classe, scuola, dinamiche associative, adolescenza, amori, politica, sport, quartiere) non sono gli stessi a Londra o a Partinico. E nemmeno tra i licei classici “borghesi” della città (tutti e quattro al centro, Beccaria, Berchet, Parini e Manzoni, a parlare con la erre e le ragazze in blusa bianca e filo di perle) e quel liceo-cerniera che obbligava almeno sei classi sociali (borghesi di tradizione, neo-borghesi, piccolo borghesi, inurbati, periferici radicati, periferici immigrati) a elaborare una loro piuttosto comune “milanesità”.
Ricordiamoci che tutti loro avevano a che fare con un sistema di insegnamento di qualità. Con la storia greca e la filosofia tedesca, con le meravigliose e flemmatiche battute di un prof. Onorato (“ogni sconfitta della nazionale di calcio è un passo avanti verso la civiltà”) e il rispetto scientifico che i ragazzi avevano per quei professori a cui riconoscevano “scientificità”. Ne nacque un’idea della storia, un’idea della città, un’idea dell’educazione, un’idea della partecipazione. Pur divisi (io tra riformisti, ma amicissimo di chi doveva divagare poi nei sentieri dell’eversione; i cattolici tra gli integralisti e i post-conciliari; laici e monarchici – eleggemmo presidente dell’ASC Guido Aghina – persino qualche appassionato fascistello) ma dentro l’idea del confronto aperto, del rapporto tra intelligenza e non-intelligenza, in un certo senso capaci di cogliere – in quegli anni ’60 – non solo la crescita dei consumi ma anche la centralità dei diritti civili (caso Zanzara), la modernità delle culture della città (editoria e design), i temi della giustizia nel mondo (perchè leggevamo il Giorno, non il Corriere). Maltese ha semplificato questa atmosfera – possibile solo per il melting che il Carducci rappresentava – con l’espressione “Milano socialista”, che anche se impropria è un comun denominatore che legava quell’epoca a quella del primo dopoguerra e, ancora più in là, a quella dei primi del secolo. E dunque un’espressione accettabile, anche per chi socialista non era, anche per chi non vuol dire di esserlo stato (in adesione magari astratta), anche per chi contavano altre specifiche identità. I socialisti eletti a Milano erano Lombardi, Caleffi (testimone di lager nazisti), il giovane Craxi figlio del prefetto della liberazione di Como. Buoni riferimenti un po’ per tutti. E lo erano da sempre i sindaci (poco importa se di questa o quella corrente del socialismo) perchè a Milano tra i comunisti e i democristiani la città era governabile largamente solo a mediazione di una robusta posizione di equilibrio. Capace di tollerare le tradizioni non in forma settaria. E quel liceo era appunto scuola anti-settaria.
Ciao a tutti
Stefano Rolando
Da Franco Garbini
A Giovanni Scirocco ; associazione carducciani ; Prof. Stefano Rolando
Mer 10 marzo 2010, 11:35:38
Finalmente Stefano ha sintetizzato le opinioni e le ” sensazioni ” di coloro che hanno frequentato il Carducci negli anni 50 – 60′ comunque prima del 68′.Infatti e’ difficile spiegare ai carducciani degli anni seguenti come erano quei tempi quando le ragazze ed alcune insegnanti avevano il grembiule nero ed i ragazzi come i professori in giacca e cravatta.Molti professori erano stati partigiani (prof.Cabibbe ) o reduci dai lager nazisti (prof.sa Arata ) e questo clima ci influenzava moltissimo ed anche l’atmosfera scolastica risentiva del rispetto che dovevamo a loro.In particolare noi provenienti dalla piccola borghesia credevamo che solo la cultura potesse riscattare le nostre umili origini e la cultura classica poteva essere un buon viatico per fare questo salto di qualità .
saluti a tutti
franco garbini
maturita’ 1966
Da Maurizio Harari ararat@unipv.it
mailinglist@carducciani.org
Mer 10 marzo 2010, 13:10:30
Intervengo rapidamente anch’io sulla stimolante discussione intorno a “quegli anni”, che nel caso mio coincidono con l’immediato post-Sessantotto: ginnasiale nel 1967, maturato (?) nel 1972.
Ricordi in chiaroscuro, col chiaro che – come per molti – prevale, nella dimensione della memoria e (appena un poco) della nostalgia: professori eccellenti, onesti e umani, di varia ideologia e tuttavia accomunati, salvo qualche marginale défaillance, dal coraggio quotidiano del servizio; compagni di classe vivaci, curiosi, comunicativi – alcuni li ho ritrovati e li frequento ancora, con gioia.
La sezione A: sicuramente élitaria, ma nell’accezione della serietà dell’impegno e della disponibilità all’avventura intellettuale. Ho studiato bene, nonostante le difficoltà di quei giorni, e ho imparato molto; al liceo classico io ci credevo e – proprio perché il nostro liceo non era il Parini o il Berchet, ma il ‘popolare’ anzi ‘popolarissimo’ Carducci, così trasversale socialmente – non so se l’aggettivo giusto sia “socialista”, ma insomma, con qualche approssimazione, posso forse accettarlo – sentivo chiaro, dentro di me, che quello che stavo facendo (studiare tutto, studiare bene, non buttar via il tempo) era il modo migliore di far opera di giustizia, di progresso e di libertà.
Libertà. Qui si solleva, ahimé, la nuvolaglia scura che intorbida il bel ricordo. Noi del quinquennio 1967-72 siamo stati troppo giovani testimoni, dapprincipio, e non protagonisti, di quel Sessantotto che molti si rappresentano come un’esaltante epopea – e che forse per qualcuno lo fu per davvero -; poi la violenza politica l’abbiamo vista crescere, di giorno in giorno, fino all’orrore di quella faccenda da assassini che prese il nome di ‘lotta armata’.
Non credo che nessuna per quanto lodevole istanza di rinnovamento politico, economico o sociale possa giustificare la violenza. Punto e basta.
Il tempo di oggi è irrimediabilmente banale (e anche ipocrita): un’ubriacatura d’ignoranza, prepotenza e varia e spicciola volgarità; ma prendiamo atto (almeno) che qualunque specie di trivialità oggi si può dire, a scuola a casa alla tivvù o dove volete voi, senza teste rotte a colpi di chiave inglese. Che poi dentro alle teste non ci sia più quasi nulla, questo è un altro (e pur serio) discorso.
Maurizio Harari
maturità 1972
Da enrico de carli enricoj@alice.it
A Maurizio Harari ; mailinglist@carducciani.org
Mer 10 marzo 2010, 17:41:05
MI sembra che le parole del mio amico e compagno Giuliano riassumano bene un pensiero trasversale attraverso le diverse generazioni che si sono succedute, ciascuna con le sue ansie, desideri,voglia di fare e di non subire,Questo dibattito rende preziosa l’associazione come strumento di incontro-scontro tra diversi pensieri e opinioni che hanno una comune radice, l’appartenenza non a una associazione di combattenti e reduci ma ad un luogo dove si sono formate le coscienze.
Ciao a tutti.
Enrico De Carli
Da Franco Garbini
A Giovanni Scirocco ; associazione carducciani ; Prof. Stefano Rolando
Mer 10 marzo 2010, 11:35:38
Finalmente Stefano ha sintetizzato le opinioni e le ” sensazioni ” di coloro che hanno frequentato il Carducci negli anni 50 – 60′ comunque prima del 68′.Infatti e’ difficile spiegare ai carducciani degli anni seguenti come erano quei tempi quando le ragazze ed alcune insegnanti avevano il grembiule nero ed i ragazzi come i professori in giacca e cravatta.Molti professori erano stati partigiani (prof.Cabibbe ) o reduci dai lager nazisti (prof.sa Arata ) e questo clima ci influenzava moltissimo ed anche l’atmosfera scolastica risentiva del rispetto che dovevamo a loro.In particolare noi provenienti dalla piccola borghesia credevamo che solo la cultura potesse riscattare le nostre umili origini e la cultura classica poteva essere un buon viatico per fare questo salto di qualità .
saluti a tutti
franco garbini
maturita’ 1966
Da Maurizio Harari ararat@unipv.it
mailinglist@carducciani.org
Mer 10 marzo 2010, 13:10:30
Intervengo rapidamente anch’io sulla stimolante discussione intorno a “quegli anni”, che nel caso mio coincidono con l’immediato post-Sessantotto: ginnasiale nel 1967, maturato (?) nel 1972.
Ricordi in chiaroscuro, col chiaro che – come per molti – prevale, nella dimensione della memoria e (appena un poco) della nostalgia: professori eccellenti, onesti e umani, di varia ideologia e tuttavia accomunati, salvo qualche marginale défaillance, dal coraggio quotidiano del servizio; compagni di classe vivaci, curiosi, comunicativi – alcuni li ho ritrovati e li frequento ancora, con gioia.
La sezione A: sicuramente élitaria, ma nell’accezione della serietà dell’impegno e della disponibilità all’avventura intellettuale. Ho studiato bene, nonostante le difficoltà di quei giorni, e ho imparato molto; al liceo classico io ci credevo e – proprio perché il nostro liceo non era il Parini o il Berchet, ma il ‘popolare’ anzi ‘popolarissimo’ Carducci, così trasversale socialmente – non so se l’aggettivo giusto sia “socialista”, ma insomma, con qualche approssimazione, posso forse accettarlo – sentivo chiaro, dentro di me, che quello che stavo facendo (studiare tutto, studiare bene, non buttar via il tempo) era il modo migliore di far opera di giustizia, di progresso e di libertà.
Libertà. Qui si solleva, ahimé, la nuvolaglia scura che intorbida il bel ricordo. Noi del quinquennio 1967-72 siamo stati troppo giovani testimoni, dapprincipio, e non protagonisti, di quel Sessantotto che molti si rappresentano come un’esaltante epopea – e che forse per qualcuno lo fu per davvero -; poi la violenza politica l’abbiamo vista crescere, di giorno in giorno, fino all’orrore di quella faccenda da assassini che prese il nome di ‘lotta armata’.
Non credo che nessuna per quanto lodevole istanza di rinnovamento politico, economico o sociale possa giustificare la violenza. Punto e basta.
Il tempo di oggi è irrimediabilmente banale (e anche ipocrita): un’ubriacatura d’ignoranza, prepotenza e varia e spicciola volgarità; ma prendiamo atto (almeno) che qualunque specie di trivialità oggi si può dire, a scuola a casa alla tivvù o dove volete voi, senza teste rotte a colpi di chiave inglese. Che poi dentro alle teste non ci sia più quasi nulla, questo è un altro (e pur serio) discorso.
Maurizio Harari
maturità 1972