Identità, politica, comunicazione. La prospettiva di Milano (10.1.2015)

Seminario su “Identità, politica, comunicazione. La prospettiva di Milano
Altavia, sabato, 10 gennaio 2015
Brand come ricerca di identità.
Un tema per riqualificare la politica del cambiamento a Milano
Stefano Rolando
 
1.      Fare politica e pensare politica hanno (anche se non per tutti) un certo nesso. Che tendo a collocare nella relazione tra questi tre livelli. Cioè considerando la “politica” come sintesi di queste tre letture interpretative:
–    Il rapporto tra determinazioni (i progetti dei gruppi dirigenti) e accadimenti della storia;
–    la relazione tra gli orientamenti delle culture produttive e gli stili di vita (caratteri cangianti della “domanda di politica”);
–    Il rapporto antropologico con il complesso delle appartenenze che chiamiamo “identità”.
Il mio contributo a questo seminario è collocato soprattutto nel terzo punto di vista. Che per esprimersi ha bisogno ovviamente di connettersi agli altri due.
          Il primo è l’approccio storico-filosofico.
          Il secondo è l’approccio socio-economico.
          Il terzo è l’approccio simbolico-comunicativo.
 
2.      Identità. Un dibattito a Milano che si era sopito. Crisi della rappresentazione “localistica”, eccesso di patologie nelle cronache cittadine, scomparsa dei cantautori, marginalizzazione del dialetto. Nella crescita della dimensione global della città (finanziarizzazione, nuovo skyline, internazionalizzazione universitaria, espatrio dei neo laureati, denazionalizzazione dello sport e della moda, eccetera) abbiamo pensato di fare “alla giapponese”: mettere la tradizione sotto teca e salvare la pelle come “cittadini del mondo”. Eppure questo dibattito riemerge. Anche il recente scambio di opinioni “a distanza” tra il sindaco e il vescovo della città – in fondo sui rovesci della stessa medaglia, Milano ha un’anima, Milano cerca un’anima – appartiene alle realtà in movimento. Dove si legge la tradizione, ma dove il cambiamento obbliga a nuovi paradigmi e nuovi profili. Non diversamente da un dibattito che riguarda la stessa Europa. In altre città la questione identitaria è più a pelle, più all’ordine del giorno (tra i tanti esempi quello generato dalla recente dolorosa scomparsa di Pino Daniela a proposito della “napoletanità”). Ma avere da oltre un secolo assecondato giustamente l’ibridazione (milanesi nativi e adottivi con pari diritti nell’etica del lavoro) porta come conseguenza un diverso approccio alle sensibilità identitarie collettive.
 
3.      Con la stessa progettazione che fu possibile nella campagna elettorale del 2011 ci eravamo posti una esigenza: la necessità di fare “inventario”, tra stereotipi, luoghi comuni, tradizioni vive, sperimentazioni, nuovi ambiti di ricerca identitaria, nuove forme di rappresentazione dei sentimenti civili contemporanei. Nell’iniziativa politico-civile che guidò Piero Bassetti e che io coordinai in quegli intensi mesi questo tema era cruciale. La difficoltà di avere la rete dei partiti tradizionali alle spalle di questi processo – al tempo assai netta e oggi da ridiscutere – e soprattutto per mediare il nuovo era molto evidente. Da qui il carattere carsico e spesso oscuro del laboratorio metodologico che si è impostato. Che però ha avuto la forza di costituirsi e di procedere. Tanto che oggi qui alcuni assessori presenti (come altri non presenti) ne riconoscono l’opportunità per il presente.
 
4.      Una focalizzazione: il rapporto tra cambiamento storico delle condizioni di vita e il cambiamento della narrativa comune. Dieci salti nel ‘900, da Expo 1906 a Expo 2015. Sia per lo tsunami dell’imprevisto (guerre, fascismo, terrorismo, eccetera) sia per la consecutio della progettazione dei gruppi dirigenti della città. In quella nuova narrativa anche la formazione delle classi dirigenti, la disgregazione e la riaggregazione del “fare politica”, l’elaborazione delle nuove vetrine simboliche.
E’ chiaro che la fine del ciclo ventennale del centrodestra a Milano (berlusconiano e leghista, con l’ancoraggio di un segmento del vecchio doroteismo e una piccola copertura di frammenti del mondo laico-socialista) ha creato le condizioni per un ridisegno interno e relazionale della città. Ridisegno a cui – non vorrei postulare qui questioni di ricandidature su cui non è questa la sede di discussione – una prima “consiliatura” (cinque anni, con molte emergenze) consente di mettere fondamenta non di rendere compiuta e incidente la trasformazione.
 
5.      2011-2016, ogni anno conferma – nel perdurare della crisi – alcuni assiomi:
·         E’ vero che sono segnalati 5 punti di PIL persi dal 2008 dal sistema Milano-Lombardia. Ma è anche vero che tiene il modello organizzativo del sistema di impresa, come ha dichiarato il presidente di Assolombarda di recente (se così non fosse è tradizione di Assolombarda lamentarsi, mentre invece Gianfelice Rocca ha dato prova di un importante ottimismo della volontà); così come tiene l’ immatricolazione degli universitari; così come regge comparativamente la soglia di occupazione; così come si sviluppano piani di medio-lungo per rigenerare la fine della paura e il ritorno all’uso delle liquidità bloccate (famiglia e impresa, cfr. ultimo Rapporto Censis) ; così come alcune derive del sistema locale italiano (mi spiace dirlo ma i fatti dell’amministrazione di Roma sono un brutto iceberg) qui hanno trovato barriere predisposte con metodo.
·         Expo diventa inevitabilmente luogo della battaglia globale tra malavita organizzata e spesa pubblica (eventi/emergenza) ma Milano sta contenendo il rischio e arriverà a portare a casa gli obiettivi. Ma Expo diventa anche un teatro – con lunga programmazione – per promuovere racconto e per cercare di generare nuova capacità di “far notizia”.
·         La Milano del 2015 si presenta così come portale dell’opportunità nazionale ed europea a orientare l’uscita dalla crisi. Purché Milano introduca La sua relazione con il Paese, con l’Europa e con il mondo nella sua narrativa identitaria.
Il 2015 quindi ha vie di uscita diverse che dipendono dalle scelte di comunicazione che la città riesce a imporre. Una regia difficile a causa della frammentazione e della conflittualità comunicativa del sistema. Ma anche una condizione con opportunità di protagonismo che non possono essere disattese. 
 
6.      Il patto storico tra città e territorio nella lunga stagione della cultura industriale è saltato. La “città metropolitana” ora presenta tre piste di racconto: 
·         quella della trasformazione burocratico-amministrativa, in cui piccoli apparati esanimi (i partiti sono al 3% della fiducia dei cittadini rispetto al sistema pubblico-istituzionale, dati Demos 29 dicembre 2014) creano trame separate per dare forma ad una legge affettata che deve trovare allocazione di competenze e di spesa;
·         quella di uno scontro identitario tra il prevalere del potere comunicativo della città cambiata, rispetto allo sguardo indietro di comuni che hanno perso i caratteri di centri di produzione industriale e si rifugiano nel profilo di dormitori attrattivi nella crisi di salari e consumi, perché più entropici e meno cari;
·         quella – piuttosto – di un nuovo patto profilato sulla mappa dell’innovazione che sta emergendo (con casi evidenti e altri ancora sotto traccia) che cambia non solo i connotati produttivi ma anche quelli della qualità della vita tanto nella grande città quanto nei suoi snodi metropolitani.
Ogni via è un romanzo (più o meno brillante) da scrivere. Una storia da progettare. Un percorso che riqualifica obiettivi e strategie. Dietro a ciascuna delle tre ipotesi ci sono interessi politici e progettazione speculativa. E’ evidente che la terza via è quella che può aprire le porte al salto di qualità nel rapporto tra politica e rappresentazione.
 
7.      Questa è la trama in cui Comitato Brand Milano – per stimolo dell’Amministrazione civica e in collaborazione con la Triennale (e più di recente con le aziende di pubblico servizio della città) – ha scelto di agire. Un agire naturalmente che non riguarda solo spettro della politica. Il tentativo è di individuare sempre il baricentro in cui storia, economia, scienze sociali, urbanistica fanno i conti con la politica per compiere la verifica di ciò che è vivo e ciò che è morto nel grande bagaglio identitario e simbolico con cui si intende passare il guado. Quindi un lavoro finora molto sotterraneo, prevalentemente metodologico, ma orientato a far crescere a poco a poco la sua evidenza e a generare anche un fenomeno partecipativo crescente.
 
8.      Da qui la linea di lavoro espositiva, la linea di spettacolarizzazione, il dialogo con le periferie. Ora, come detto, il bersaglio Expo (lavorare nel contesto) e il tema della città metropolitana. Ma soprattutto la forza del confronto. Da qui la chiamata di un Forum il 19 e il 20 di febbraio che ha – tra i molti materiali che saranno presentati – due testi di accompagnamento. Il catalogo della Triennale di tutto il laboratorio (con molte immagini). Il mio testo Citytelling (prefazione Gianluca Vago, EGEA, dal 15 gennaio nelle librerie, che contiene tutto l’approccio oggi possibile e alcune ipotesi di lavoro. Tra le ipotesi l’elenco dei temi del cambiamento identitario della città attorno a cui si deve organizzare la nuova narrativa (tabella allegata). Questi temi sono frutto di ascolto, di discussione, di apporti tecnici. E’ una tabella che possiamo rapidamente passare in rassegna, che tuttavia deve trovare maggiore sintesi per diventare “comunicazione politica”. E deve trovare adattamenti in tanti soggetti che abitualmente quando raccontano il loro approccio a questi temi tendono a conflittuale, non solo a convergere. Da qui l’esigenza di alcune regole del dibattito, nel quale i media hanno un peso, pur non esclusivo ma selettivo e legittimante così da formare una loro griglia di rischi e di opportunità.
9.      Il 2016 è un punto di bilancio previsto. La nuova curva del cambiamento sarà appena accennata. Cinque anni sono di assetto, pulizia, regolamentazione di base. Non consolidano un nuovo vero cambiamento. Dunque il periodo 2016-2021 (che contiene la fatica data 2020 scelta da molte città in Europa e nel mondo per offrire i loro piani di visione) è quello che mette a frutto il laboratorio che si è creato oppure apre le strade a nuove incerte sperimentazioni. Di cui sia a destra che a sinistra si vedono fragilità di impianto e di classe dirigente, con molta approssimazione culturale e tendenze populiste. Penso che Milano abbia bisogno, come lo è stato in tutta la sua storia, di una sua cifra civica – pur connessa a un quadro di tradizione riformista – capace di sollecitare anche il lento ma indispensabile miglioramento dei partiti (provai ad argomentare questo tema del rapporto tra civismo e potenziale miglioramento della politica dei partiti in La Buonapolitica nel 2012, con le prefazioni di Giuliano Pisapia e Fabrizio Barca) per non fare salti nel buio e assicurare, all’interno e all’esterno, il suo consolidamento di ruolo già riconoscibile e riconosciuto.
 
10.   Un’ultima riflessione, che può avere risvolti operativi. Data la crisi delle risorse e la fragilizzazione della rete delle “voci” della cultura politica, è necessario costruire una vasta alleanza tra realtà interessate a creare piste di dialogo e di rappresentazione rispetto all’opinione pubblica e al mondo esterno. Un immenso impegno in cui giornali e giornalisti, teatri e mondo dello spettacolo, animazione sociale ed educativa, centri della ricerca e della memoria, reti della partecipazione possono trovare un loro ruolo laicizzando la narrativa al plurale di questi nuovo essenziale processo (con al centro, come momento di coesione, una nuova molto impegnativa campagna elettorale, che dovrà connettersi alla nuova campagna elettorale per le regionali capace di fare tesoro della rilevante esperienza del 2012-2013).
 
 
 Una ipotesi di nuovi temi narrativi su Milano
 
Da industriale a industriosa.
Aumenta il convincimento che resti la centralità del lavoro ma che si riarticoli la natura dei processi produttivi.
Da borgo a città metropolitana.
Tema all’ordine del giorno. Ma non è solo una questione «amministrativa». Serve una reale integrazione di storie identitarie che richiedono ascolto, progetto, adattamento.
 Da qualità della produzione a qualità della vita.
Un dato delle ricerche demoscopiche che si connette alla domanda sociale di innovazione.
 La creatività non applicabile solo al lusso.
Il corpo sociale e produttivo della città accetta e apprezza le sue «punte di diamante» ma chiede anche al mondo della moda di partecipare all’estensione della rappresentanza collettiva.
 Da locale e globale a glocale.
Inteso come superamento di una condizione ancora un po’ separata tra dimensione localistica e dimensione protesa ai nodi e alle reti mondiali. Per andare verso modelli di conoscenza e di scambio in cui globale e locale si collocano di più uno nell’altro.
Mantenere in tensione tradizione e innovazione.
Tema storico degli equilibri, per Milano abitualmente innovativi, tra i radicamenti conservativi e i nuovi rapporti tra disegno urbanistico e legittimazione dei comportamenti sociali.
La «terra di mezzo» (Mediolanum) si fa ibridazione.
Dunque il superamento della concezione di «passaggio» e la presa di coscienza di una forte condizione di «destinazione». Che è il punto in cui – se applicato – servono un po’ di risorse per adeguare l’accoglienza.
La rete della conoscenza diventa portale globale.
Il tema di Milano nell’interesse nazionale (che Expo dovrà sottolineare) e le sue responsabilità di trasferimento e di negoziato dei caratteri e delle qualità creative dell’italianità.
 
Ancora, il reinvestimento nella economia della cultura.
In un passaggio decisivo – anche rispetto alla trasformazione dell’approccio nazionale ai beni e alle attività culturali – che trasferisce il ciclo della cultura come bene economico anche e soprattutto al ciclo della cultura per la qualità sociale.
E infine un tema più politico e di regia: fare sintesi e connettere le anime della città.
 Inteso come progetto di miglioramento del «discorso pubblico» ovvero delle interdipendenze interessate a condividere la nuova rappresentazione.
 
 
Fonte: Stefano Rolando, Citytelling, EGEA, gennaio 2015