Ho visto un’altra Lombardia (U.Ambrosoli, l’Unità 24 febbraio 2013)

L Unita – Ed. nazionale (24/02/2013 )
IL RACCONTO
Ho visto un’altra Lombardia
UMBERTO AMBROSOLI
 
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Chiudendo la campagna elettorale, in un giorno freddo e nevoso, ancora in giro per la Lombardia accolto da comunità di cittadini che non hanno abbandonato né la politica né la speranza, capisco come il cambiamento sia un sentimento collettivo assai complesso.
È il superamento di paure, di diffidenze, di antiche divisioni. È il superamento di simboli aggressivi, di contrasto. Alberto da Giussano è tempo che rinfoderi la sua spada.
 
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Adro non sarà più ricordata per il rifiuto della carità e dell’accoglienza, ma sarà la capitale della generosità; e Pontida, pietra miliare dell’autonomia dei Comuni, in questi giorni è ancora più graziosa con il prato verde interamente ricoperto da una coltre di neve fresca, nuova, pulita.
La gente che mi ascoltava, la vedevo annuire e incoraggiarmi. Capire che la riconquista di uno spazio unitario, «nostro», al di là degli steccati e dei recinti, è l’unica condizione per far riemergere i valori «veri» della nostra terra e della nostra migliore tradizione lombarda: uno sguardo aperto sul mondo, un ruolo riconosciuto in Europa, con l’ambizione di fronteggiare le sfide più ardue, ma anche con i piedi sempre ben piantati per terra, che non dimenticano le piccole essenziali esigenze quotidiane della nostra gente.
 
LA NOSTRA CONVIVENZA
È lo sguardo che tutti portiamo, in modo convergente, alle condizioni morali e materiali del nostro vivere civile, con l’intimo convincimento che esse non siano più risolvibili con la demagogia.
È l a p e r c e z i o n e , f i n a m e n t e , c h e nell’economia, nell’educazione, nella cura delle persone e dell’ambiente, il noi viene prima dell’io. Il cambiamento è alle porte quando questo sentimento collettivo assume, insieme alla maggioranza dei consensi, anche la maturità dei propositi. Ecco, la nostra campagna di cento giorni, negli oltre 1500 Comuni della Lombardia, in tutte le sue dodici province, in questo nostro territorio «di mezzo», grande quanto uno Stato, che incrocia il nord e il sud e l’est e l’ovest del sistema euro-mediterraneo, ci racconta già tante cose.
Ci mette in condizione non dico di fare un pronostico ma certo di disporre di nuove consapevolezze. Le elettrici e gli elettori vogliono fidarsi dell’istituzione che contribuiscono a rinnovare. Vogliono cose concrete.
Un imprenditore in Brianza mi ha detto: «Non vogliamo soldi, ma una visione, una prospettiva». E stringendomi la mano, migliaia di persone mi hanno sussurrato: faccia cose semplici, utili; ci serve una persona seria, pulita, normale.
Qualunque sia il loro voto vogliono sapere che, soprattutto in tempo di crisi, non si alimenteranno più interessi privati, ruberie, sprechi; per avere la legittima attesa di vedere legislatori e governanti protesi davvero all’interesse della comunità e alla soluzione di problemi che urgono negli ambienti di lavoro, nelle famiglie, nel sistema della salute e dell’apprendimento. E su questo terreno abbiamo qualche credibilità in più rispetto a chi ha governato per 18 anni di fila e ha tradito tutte le promesse, ucciso il senso delle parole, abbandonato ogni cultura delle regole e dell’etica! Il tessuto produttivo – quello vasto, profondo, in larga parte piccolo e medio, delle centinaia di migliaia di artigiani e commercianti, fatto di valori e di passione – della nostra regione vuole avere fiducia.
Fiducia attorno al fatto che si possano prendere misure le quali rendano percepibile che nella nuova Lombardia ci sarà davvero chi si preoccupa delle imprese e dei lavoratori; che c’è chi pensa che non ci può essere né benessere né serenità senza crescita delle nostre capacità di produrre e competere.
Tutti coloro che dipendono da regole, vogliono sentire che c’è una mentalità nuova, la quale assomiglia molto a quella dei tanti sindaci e amministratori locali (non centra il colore, anche se devo riconoscere che quelli del centrosinistra e delle migliaia di liste civiche, li ho sentiti molto vicini e partecipi in questa campagna); una mentalità che affronta i problemi senza demagogia e guarda in faccia la realtà non per occultarla ma per migliorarla.
Le donne – e mia moglie Alessandra per prima, che ha voluto accompagnarmi in molte di queste giornate elettorali – vogliono sapere se si «predica» la retorica delle pari opportunità magari facendo un’ennesima commissione di studio – oppure si favorisce davvero quella che in questa campagna abbiamo tante volte nominato «democrazia paritaria» e che non riguarda solo gli ambiti dell’istituzione, ma vigila attorno agli ambiti sociali e produttivi perché l’istituzione e la società devono assomigliarsi nelle innovazioni. Più donne al vertice delle istituzioni, degli enti, delle aziende controllate sono garanzia, ci dicono tutti gli studi, di maggiore trasparenza, più rispetto delle regole, più competitività. Garantiscono più etica.
E forse anche una possibilità in più di riconciliare l’impegno politico con la moralità e gli affetti, cioè con una vita «normale». I giovani devono toccare con mano la concretezza di un progetto che mette al centro della nostra vita politica anche l’impegno di nuove generazioni (è il mio caso, ma anche quello di tantissimi altri trentenni e quarantenni) che chiedono, pretendono di partecipare al governo del proprio destino; devono essere partecipi di una progettazione trasversale pensata sull’intercettare il futuro dentro ciò che oggi è pensabile e costruibile.
Con le leggi, ma non solo con le leggi. Perché servono sperimentazioni, serve un raccordo coraggioso tra educazione e lavoro. Mi riferisco a questi contesti perché li ho incontrati, li ho ascoltati, li ho visti disposti a un patto civico con la politica che aiuti la società a crescere e la politica a servire questa crescita. È il patto per il nostro cambiamento, che può essere un modello per la stessa Italia, perché le condizioni di stabilità e di governabilità che la nostra coalizione può assicurare hanno qui certezza e concretezza.
Ed è un patto anche per un nuovo percorso di partecipazione, come abbiamo scritto a conclusione del nostro Programma: convinti che la p a r t e c i p a z i o n e n o n f i n i s c e c o n l’espressione del voto. Il dibattito pubblico attorno alle scelte importanti per la nostra comunità deve assumere nuovi caratteri e nuove regole. La gente lo chiede, noi lo abbiamo previsto.
 
NON UN APPELLO, MA UN GRAZIE
Oggi non voglio scrivere un «appello al voto». Voglio scrivere la parola «grazie» a chi ha contribuito, a chi mi ha teso la mano e prestato attenzione, a chi ha cercato di informarsi sulle nostre proposte, a chi si è voluto affiancare in questo meraviglioso viaggio verso il rinnovamento, verso quella Rigenerazione della Lombardia e della buona politica e della buona amministrazione, che noi abbiamo indicato come meta possibile del nostro impegno.
Un grazie ad una parte così significativa della nostra società da farmi pensare che il «noi», senza retorica né ipocrisia, può costruirsi anche in politica, in un tempo in cui questa parola deve trovare un’accoglienza che corrisponda a speranze e aspettative cariche di futuro.
Quello dei tanti giovani e donne della mia generazione. Quello dei vostri figli e dei miei, Giorgio, Annina, Martino, verso i quali il mio impegno sarà totale: senza mai deluderli con false promesse, bensì accompagnandoli ad affrontare il mondo armati con i nostri valori più alti, a cominciare dal rispetto per l’altro, dal rispetto per le regole e la legalità.
Questo è il mio impegno. E con il vostro aiuto, insieme, realizzeremo un rinnovamento della politica e riporteremo la buona amministrazione nel nuovo governo della Regione Lombardia.