Gli Altri (Intervista a Pannella, 5 marzo)

Gli Altri, 5 marzo 2010
Intervista a MARCO PANNELLA ”Cari comunisti, ci siamo tanto odiati”
di Andrea Colombo
 
 
Con la chioma argentata raccolta in una lunghissima coda di cavallo, Marco Pannella fuma una sigaretta dopo l’altra e quando parla, del ricorso radicale contro la lista di Formigoni in. Lombardia, appena accolto, sorride malizioso che pare un ragazzino. Fra le mani stropiccia sornione un foglio. «Questa citazione – spiega – è un documento storico. E del ’45: leggila attentamente e prova a indovinare di chi è». Trattasi di una mezza paginetta in cui, con notevole acume, l’autore spiega perché l’anima del fascismo, nonostante la Resistenza, non è affatto morta in Italia, ed è destinata a risorgere più prima che poi. «Allora – incalza Marco – chi l’ha scritto?». Tiro a indovinare: «Togliatti». «Ma no sbotta un po` scandalizzato - è di uno più intelligente di Togliatti. E di Bottai».

Dunque pensi anche tu che l’anima del fascismo fosse sopravvissuta quasi indenne alla Resistenza e alla Costituzione?
È stato un regime che perdura da tre generazioni a distruggere la Costituzione repubblicana e alternativa rispetto al fascismo. Il pensiero di Giustizia e Libertà, quel pensiero che è antifascista perché anticomunista e viceversa e che è anticlericale perché antifascista e anticomunista, è stato battuto subito, ed è stata imposta la continuità, con l’amministrazione dello stato fascista. La grande sconfitta si è verificata già alla Costituente. Riccardo Lombardi, in fondo, è morto con la tristezza manifesta dell’azionista battuto.

Ma se da allora persino i neofascisti sono diventati antifascisti…
È il senso comune che in Italia è sputtanato. Il Dna del paese era tale che gli ha fatto riconoscere la metamorfosi del male fascista, una, volta battuto, ma non quelli che si erano vestiti da antifascisti per continuare la stessa opera. Dopo 60 anni, la Resistenza è un luogo comune. Però, messi alla prova dopo sei decenni di occupazione partitocratica, si ritrovano costretti a non farci vedere. Alle europee, il presidente della repubblica ritenne suo minimo dovere esercitare una certa moral suasion perché il sottoscritto andasse dopo 7 anni da Floris e per la prima volta dal ’96 da Santoro. Solo con quelle presenze abbiamo preso 760mila voti. Di conseguenza non sono stato più invitato da nessuna parte. Quando mi chiameranno di nuovo saprò di essere diventato arteriosclerotico, matto e di non fare più paura.

Ma mica ci siete solo voi radicali a reclamare l’eredità dell’azionismo. Repubblica non fa altro da 35 anni…
Ma Repubblica è l’opposto del Partito radicale. Letteralmente l’opposto. Non dimenticare che Scalfari col Mondo di Pannunzio aveva ben poco a che fare. Sia chiaro, è un ottimo imprenditore editoriale. Però costrinse Arrigo Benedetti, creatore e fondatore dell’Espresso, ad andarsene. Repubblica è stato il giornale di uno di quegli ex radicali che, come capita spesso anche agli ex comunisti, quando erano nel partito consideravano traditore chiunque non fosse d’accordo con loro e una volta lasciato il partito mantengono la, stessa metodologia.

E tuttavia, anche se isolati come dici tu, non si può dire che di successi non ne abbiate ottenuti in questi decenni di partitocrazia. Pensavo per esempio al referendum sulla responsabilità civile dei giudici che, se rispettato, avrebbe potuto evitare lo scontro fra poteri che dilania il paese da 15 anni.
Quel referendum lo avevamo stravinto, come quello sul finanziamento pubblico, sulla sanità, sul diritto di famiglia. Però è stato vanificato come tutte le nostre cose. Avevamo vinto grazie al popolo cattolico e a quello comunista, alla faccia dei vertici. Mi ricordo ancora quando nel cuore della notte mi telefonò Ingrao e mi chiese di rinunciare, tra i tanti referendum che proponevamo, almeno a quello contro la legge Reale. Io rifiutai e lui mi avvertì che avrebbe chiesto al suo partito di votare contro il nostro referendum. Ci rimasi un po’ stupito dal momento che anni prima avevano linciato il povero De Martino proprio accusandolo di non essere stato abbastanza contrario a quella legge. Con quei referendum pareva davvero vicina una rivoluzione liberale. A favore dell’abolizione del Concordato, che noi proponevamo, era prevista una maggioranza del 70%, e sarebbe stata una vittoria anche del cattolicesimo liberale. Poi arrivarono i colonnelli, che in Italia si sono chiamati Corte costituzionale…

Per te, insomma, c’è una divisione netta: da una parte il popolo comunista e cattolico,
dall’altra i vertici di partito?
Il popolo comunista e cattolico è stato con noi nei momenti topici, quando ha dovuto scegliere. I vertici mai. Perfino Longo, che io adoravo, definì una iattura il referendum sul divorzio. Il vertice del Pci era tutto mobilitato per far fuori la legge Fortuna. Di me L’Unità diceva, chiamandomi leader del partito radicale tra virgolette, che cercavo di imporre il referendum per rompere l’unità fra cattolici e comunisti e anche per impedire l’unificazione sindacale che diceva, ma non era vero, essere fissata per l’inizio di luglio. E questo lo scriveva il 7 marzo del ’74, a poche settimane dal referendum. Fu solo il 23 marzo, anche in virtù dei miei rapporti con Berlinguer, che quel giornale iniziò a parlare del referendum schierandosi a favore.

Ma non era contrario al referendum anche Berlinguer?
Certo, era contrario. Ma aveva una posizione di ascolto nei confronti della nostra cultura liberale, azionista, siloniana. Era una persona non banale. Quando stavo facendo lo sciopero della fame per l’aborto, che durò novanta giorni, lo incontrai al bottegone. Fu sinceramente sorpreso quando capì che io non gli chiedevo di assumere la nostra stessa posizione ma di presentare una sua proposta in materia di legalizzazione dell’aborto. E a quel puntonon è che riunì Direzione o
Segreteria: mi accompagnò fuori dalla stanza in cui ci eravamo incontrati e in quel momento stesso annunciò che entro settembre sarebbe stato presentato un progetto del Pci sull’aborto. Poi mi invitò al congresso del Pci e ci fu un`accoglienza straordinaria. Lui stesso si alzò per stringermi la mano e i compagni, come se fossero finalmente stati liberati da un obbligo, applaudirono a lungo.

Vuoi dire che con quel Pci degli anni ’70 erano rose e fiori?
Ma figurati! Per esempio fui invitato a un altro congresso, nell`inverno 1978-’79. Ero di nuovo in sciopero della fame, fra l’altro per la legalità proprio come oggi. Avevo freddo e indossavo un maglione a girocollo blu, con loden sempre blu sulle spalle. Dissero che ero un provocatore e che mi ero presentato al loro congresso vestito da Nosferatu. Dal palco Amendola e Lama, due miglioristi, mi indicarono come il nemico assoluto annunciando che la mattina stessa mi avevano denunciato per offesa e vilipendio della Resistenza.

Cosa avevi fatto per meritare un’accusa così estrema?

Mi ero permesso di dire che a via Rasella prima di tutto non erano state ammazzate tutte SS ma che i morti, per la maggior parte, erano ragazzini di Bolzano che erano stati mandati a Roma senza averne alcuna voglia, e poi che si era trattato di un’operazione di guerra terroristica.

Col clima di emergenza antiterrorismo di quell’anno? Sfido che si sono incazzati!
Ma io quelle cose le dicevo già da quattro anni. Laico, capitiniano lo sono sempre stato, fin da ragazzo. Il 27 aprile del ’45 lo lessi su Risorgimento liberale che piazzale Loreto era stata una barbarie. Avevo 15 anni e rubavo i soldi a mio padre per comprare quel giornale, se possibile in doppia copia.. E queste cose contano. Mi piacerebbe che mi seguisse qualche volta una candid camera per vedere come mi accoglie la gente per strada. Certe volte mi chiedo questi ragazzi di 16 o 17 anni come fanno a volermi bene e a conoscermi, visto che nei Tg mi si vede pochissimo, tra i politici italiani sono al centonovantesettesimo posto quanto a presenze in video, e quelle rare volte mi inquadrano per cinque secondi con la faccia più da cretino possibile e col parlato che mi fa dire cose senza, senso.

Insomma, è un rapporto complesso quello fra te e la tradizione comunista italiana…
Guarda, io credo di aver fatto parte della storia del comunismo italiano dal ’47-48 in poi, come credo di aver fatto parte della storia deì cattolici italiani. La. storia comunista la ho vissuta, certo in modo singolare, ma i miei rapporti con Terracini erano quelli che erano e anche con Fausto Gullo, che nella storia del Mezzogiorno italiano non significa poco. E nell’ultimo periodo della sua vita mi difese molto Vittorio Vidali. Quando a Trieste rischiavo di essere linciato dai profeti della falsa coscienza, lui, che era tornato a vivere lì, disse che non bisognava toccarmi perché ero un guaio, però ero anche un compagno.

E con Togliatti?
Beh, Togliatti non è che adorasse i radicali. Nella redazione di Rinascita si divertiva a leggere citazioni chiedendo poi: «Allora, chi è? E Goebbels? Eì Goering?». E concludeva: «No. E’ Mario Pannunzio». Con tutto ciò, nel ’53 mi diede ragione. Mi mandò a chiamare e decise che il partito doveva entrare nella nostra Unione goliardica italiana.

Ticonsideri interno alla vicenda sia dei comunisti che dei cattolici. Eppure per molti versi io ho l’impressione che il rapporto politico più stretto sia stato quello con Bettino Craxi…
Bettino mi considerava un po’ un fratello maggiore. Sulla scala mobile avevo cercato di convincerlo, e c’ero riuscito. All’inizio degli anni ’90 aveva iniziato a fare scelte che non c’entravano niente con quel che era stato sino a quel momento. Tornato da New York si era messo a fare il proibizionista. Aveva fatto quello che lo stesso Andreotti aveva avuto il pudore di evitare: patti con il Vaticano che erano molto peggio di quelli lateranensi. E con tutto questo alla fine, nel momento dello sfascio, mi chiamò e mi disse: «Adesso è il tuo turno». «Ma che sei scemo?», gli risposi. E tuttavia è chiaro anche da un punto di vista umano che, nel momento della sconfitta, abbia detto quella cosa proprio a me, che appunto ero un po’ come un fratello maggiore.


E Berlusconi? Un po’, almeno all’inizio, hai sperato che incarnasse un qualche modello liberale?
Berlusconi, allora, era da dieci anni culo e camicia col Pci. Il rapporto col Psi era solo l’apparenza. Per me e per noi aveva sempre manifestato molto rispetto: tra, l’altro sua madre gli diceva sempre, e lui mi ripeteva, che come amico doveva fidarsi solo di me. Tutti dicono che allora stavamo con Berlusconi, ma la realtà è che io uscii dal Parlamento proprio perché mi presentai contro Berlusconi e Fini. La direzione del Pds disse che era meglio Fini di Pannella e mi schierarono contro un altro candidato.
 
Pensi che altrimenti avresti potuto sconfiggerlo?
L’avevo fatto battere da Rutelli l’anno precedente: perché non è che allora Francesco avesse tutta questa popolarità. Ma contro il segretario del Msi noi ci scatenammo ovunque e D’Alema commentò che era così che si dovevano fare le campagne elettorali.

Torniamo a Berlusconi…
 Fu lui nel ’94, unilateralmente, a decidere di non mettere in campo suoi candidati in 8 o 9 collegi del nord dove noi ci presentavamo. Fu una scelta intelligente ma non per questo noi rinunciammo a candidarci anche in un solo collegio dove ci fosse il Msi. Il bello è che oggi proprio Fini è il leader che forse più si avvicina a un impianto liberal-democratico… I ragazzi di Fareuturo hanno affermato di essere politicamente figli di Pannella. Del resto lo stesso Fini fu mandato, giovanissimo, da Almirante a un nostro congresso. Eravamo gli unici a invitarlo ma lui un po’ aveva paura e si fece rappresentare da questo ragazzino allora sconosciuto. Ma era il Msi comunque: mica santi. Quando arrivammo in questa sede i neofascisti si vedevano tutti in un bar qui vicino: ci trattavano da froci e rotti in culo. Poi però, quando fu necessario, gli avvocati glieli fornimmo noi, dato che Almirante aveva dichiarato che erano traditori del
partito.

A un certo punto, nel ’94, dovevi addirittura diventare ministro con Berlusconi…
Dopo le elezioni del ’94 scelse di mantenere un rapporto con noi e disse che io sarei stato un ottimo ministro degli Esteri. Poi, mentendo, affermò che non si poteva fare per via di Martino e mi propose invece di fare il ministro della Giustizia. Gli risposi che non avrebbe retto lo scontro per come lo avrei fatto io. Quel che dicevo e pensavo allora, di Berlusconi era che rappresentava sia un pericolo che una possibilità. Comunque, ripeto, la speranza riposta nella Costituzione è stata distrutta dalla prima, non dalla seconda repubblica, e Berlusconi è un prodotto di quel disastro.

Il Partito radicale è oggi il più antico partito italiano. Cosa vedi nel suo futuro?
Pensando all’ultimo Leonardo Sciascia, quello di A futura memoria, mi è venuto in mente che la nostra direi “bergsoniana” durata è il frutto di una volontà e di una consapevolezza, e che il compito dei vivi è quello di assicurare un futuro nella memoria. Credo che tutti dovrebbero riflettere sul fatto che non può esservi alcuna alternativa futura al presente senza una alterità presente che abbia forti ed esplicite radici nel passato. Ecco la spiegazione del fatto che siamo sempre stati avvertiti come il più precario dei partiti e tuttavia. oggi continuiamo ad assicurare questa durata. Dimmi cosa sei stato e come sei stato, e ti dirò se posso darti fiducia nel presente e per il futuro.