Documento. Giuliano Pisapia: temi di posizionamento in materia di economia e lavoro

Documento consegnato dallo staff di Giuliano Pisapia il 4 maggio 2011 in Assolombarda
a seguito dell’incontro con  la giunta dell’Associazione degli imprenditori milanesi avvenuto il 3 maggio.

 
Intervento dell’avv. Giuliano Pisapia
all’incontro con la giunta di Assolombarda
Milano 3 maggio 2011
 
 
Introduzione
Sono grato al presidente Alberto Meomartini e ai membri della giunta di Assolombarda di avere programmato questo incontro a cui mi sono preparato con senso di responsabilità convinto del valore simbolico e programmatico di questo dialogo.
Io non sono un economista, non ho diretto imprese, non ho un approccio in generale di tipo aziendalistico, tra il latino e l’inglese – di principio – ho più simpatia per il latino.
Non sono nemmeno così sicuro che per fare, nell’ambito delle istituzioni e delle politiche pubbliche, l’interesse dell’economia e del lavoro – nel quadro dell’interesse generale – si riveli un bene avere aziende proprie e dipendenti propri. Troppi – parafraso qui concetti che ho visto più volte esposti dalle associazioni imprenditoriali italiane – i conflitti di interesse incombenti, spesso paralizzanti, che riducono il tasso di trasparenza delle decisioni e frenano l’emergere del merito. Oltre che distorcere o deformare i giochi di una sana competizione.
Vengo, come è noto, da una lunga attività professionale e, per un certo periodo, da un percorso politico compiuto nell’area della sinistra.
Non sono ancora stato eletto sindaco di Milano. Dunque sono un semplice aspirante. Voi governate imprese da tempo. Insieme costituite un’associazione di forte capacità di rappresentazione di interessi. E avete la consuetudine al negoziato su aspetti concreti del rapporto tra rischi e opportunità.
L’insieme di queste cose potrebbe fare emergere delle apparenti disomogeneità.
Che qualche differenza ci sia credo sia il sale della nostra comune visione del pluralismo. Ma spero di potervi mostrare che, sui punti di fondo, ci sono oggi tra di noi alcuni aspetti di convergenza, soprattutto metodologica, attorno a cui mi fa piacere avviare con voi una discussione.
Proprio il tema dei rischi e delle opportunità è uno di questi.
Sono avvocato, vengo da una tradizione famigliare di cultura giuridica. Ho condotto – in verità da indipendente – un’esperienza politico-parlamentare assumendo anche responsabilità istituzionali attorno a un tema – quello della giustizia e della sua riforma – in cui si impara, se onesti, a vedere tutto come un continuo bivio tra opportunità e rischio. La questione di metodo è che ad un sindaco si chiede di leggere le opportunità come chances per tutti e di valutare i rischi come riduzione del danno per i più svantaggiati.
 
Abbiamo lavorato nella preparazione di queste elezioni rileggendo molte analisi e ascoltando molte esperienze. L’approccio all’economia urbana è straordinariamente cambiato. Permettetemi solo qualche cenno. 
  • Interessi solo apparentemente contrapposti possono coniugarsi in una sorta di economia e società dell’accesso – per rubare un termine a Jeremy Rifkin – soprattutto se parliamo di una società aperta e di una economia globalizzata guidata da una nuova risorsa come la conoscenza che apre a rapporti “urbani” più avanzati tra nuova-manifattura, sistema dei servizi e network infrastrutturali.
  • Un processo complesso che fa delle grandi aree metropolitane veri e propri eco-sistemi che richiedono di essere “integrati” e “differenziati” contemporaneamente. Hanno scritto a proposito delle nuove metropoli che sono diventate “vere e proprie ecologie attrattive di nuovi investimenti”, un sistema “di nuove imprese-network capaci di intercettare i potenziali emergenti”. Comprendo – alla luce di ciò ma anche dei problemi e delle criticità visibili – che gli anni che stiamo vivendo ci spingono a riportare Milano nell’orizzonte di una internazionalizzazione sostenibile. Insomma di sostenere e consolidare un percorso di re-industrializzazione innovativa compatibile con la sua storia e le sue nuove potenzialità. 
  • Ho letto anche di un certo scontento degli operatori economici circa questo percorso. Molti giudicano questo processo “bloccato” da ben prima della crisi, perché mancante di quei connettori di sistema che devono consentire di “promuovere” Milano come un unico macro-cosmo e non come semplice somma di suoi sub-sistemi specializzati.
 
Credo che un Sindaco debba potere svolgere questo compito di “sintesi, orientamento e stimolo dell’innovazione” fuori da ogni interesse personale. Il mio percorso mi consente questa dichiarazione di imparzialità e ve la propongo oggi anche come una qualità civica perché deriva da quella civicness – dicono i sociologi – che è generatrice di valore appropriabile oltre che condiviso.
 
So che oggi vi aspettate da me anche un profilo più esplicito e più caratterizzato di attenzione ai problemi pubblici. Quello che investe la relazione tra politica e sviluppo, nel territorio. Cioè quello delle politiche pubbliche soprattutto nel campo economico e sociale che potranno essere attivate se verrò eletto. Cercherò di non deludervi. Anche perché su questo terreno ormai da tempo cerco di individuare modi nuovi di riflessione e di preparazione alle decisioni, di cui sono lieto di parlarvi.
 
Ma fatemi, prima, fare una sola premessa di ordine generale.
Voi sapete che sto cercando di evitare di far precipitare la campagna elettorale a Milano là dove vorrebbe orientarla il capolista del partito di maggioranza della coalizione che sostiene l’attuale sindaco: un referendum pro o contro di lui, inteso come capo di un governo che, se cadesse Milano, sarebbe più fragile e più a rischio.
Sto cercando di tenere la barra delle argomentazioni su Milano e sui problemi di Milano.
Mi dispiace vedere il sindaco di Milano – che è una signora; e in più che ha avuto alte responsabilità – che viene silenziata su quella che sarebbe anche la sua analoga inclinazione. Inclinazione dunque comune che ci ha fatto svolgere finora una campagna piuttosto civile e rispettabile (manifesti insensati a parte) e che ci fa oggi profilare come due scelte alternative accettabili per il grosso della città e degli interessi rappresentati. Con differenze sì, ma secondo uno schema piuttosto europeo di democrazia dell’alternanza possibile.
Ebbene, in questo spunto di premessa ravvedo due questioni che credo interessino il nostro dialogo e il nostro confronto di oggi.
 
La prima riguarda l’interesse del sistema economico a vedere viva e concreta la possibilità di alternanza nelle responsabilità istituzionali. Cioè considerando sempre possibile il cambiamento, per non incancrenire sistemi di potere, per creare condizioni di sperimentazione diversa tra istituzioni e soggetti attivi nel mercato del lavoro e della produzione ibridando nel contesto urbano tessuti finora rimasti separati (lavoro, impresa, ricerca, professioni, istituzioni, ma a anche pubblico e privato, profit e no-profit).
Questo è un principio difeso da ogni politica liberale.
Ebbene ho messo la mia candidatura a disposizione non di partiti da cui dipendere – perché è nota a tutti la mia indipendenza reale rispetto agli stessi partiti che compongono la mia coalizione – ma di quelle più ampie forze, che escono anche dal perimetro dei partiti, che credono nel principio dell’alternanza e che pensano che, sia in Lombardia sia nella città di Milano, dopo tanti anni di governo di una parte politica, possa essere interessante – anzi importante – una diversificazione, un cambiamento, un’apertura a nuove leve dirigenti.
Chi vuol vedere oggi con serenità la qualità delle istituzioni e delle politiche pubbliche chiede francamente un diverso modo di concepire le decisioni. Chiede uno sforzo maggiore di raccordo tra settori economici e sociali, tra aree urbane e sub-urbane, tra istituzioni e soggetti della rappresentanza .
 
La seconda riguarda il dissenso che è venuto via via esplicitandosi tra la rappresentanza del sistema degli imprenditori a livello nazionale e il quadro di governo del paese.
Sia chiaro: non traduco in senso automatico questo dissenso come un dissenso evidente anche con il quadro di governo di questo territorio (che pur politicamente è lo stesso di quello nazionale). Ma certo non posso immaginare che, per quel che conta Milano e il territorio circostante nella realtà del paese (dove le imprese producono ricchezza per 134 miliardi di euro pari al 10% del PIL nazionale e concorrono al 15% dell’export del Paese), qualche nesso ci deve essere. E dentro quel nesso vorrei collocare alcune mie riflessioni, alcune mie ipotesi di comune interesse per un laboratorio di comune percorso al cambiamento possibile.
 
  • Ho articolato i nodi che potrebbero nutrire il nostro comune dossier di lavoro per il cambiamento possibile – se sarò sindaco, sarà un lavoro prima di tutto istituzionale – in dieci punti che cercherò di trattare brevemente, per cenni.
  • Vorrei rendere chiari gli ambiti prioritari su cui ho messo me stesso e i miei collaboratori in atteggiamento di analisi e di sforzo di comprensione. E su cui soprattutto intendo mettere me stesso in condizione di ricettività – e di critica se necessario – rispetto al vostro punto di vista.
  • Ho cercato qui di riassumere con rapidi cenni di posizionamento questo “dossier di lavoro”, che esplicito oggi in questa occasione per la prima volta. Ma che vuole segnalare un metodo sperimentale ed esplorativo di progettazione del nuovo e del futuro perché questo ci richiedono i processi di globalizzazione in corso e che richiede condivisione. Cioè di accoppiare dinamicamente democrazia e capacità decisionale.
  • Ringrazio anche per l’opportunità che è stata data di prendere in considerazione alcuni argomenti e alcune proposte che Assolombarda ha sintetizzato in un documento mirato alle prossime elezioni amministrative. Farò alcuni riferimenti.
 
Governance
Per governare la città le mie intenzioni sono quelle della “democrazia decidente”, cioè di puntare su un’organizzazione molto costruita sull’ascolto e sul dialogo, ma anche regolata da un principio che si fa carico delle – diciamolo pure, amare – lezioni di alcune esperienze di governo del centro-sinistra. Esperienze che hanno mostrato che si può arrivare a non decidere o a decidere male accettando ruoli di ricatto di soggetti minori che erano in realtà espressione del trasformismo oggi divenuto fenomeno in larga scala. Arrivo al voto, oggi, con una coalizione assai più compatta che è regolata da due cose semplici:
  • da un lato la mia indipendenza dai partiti;
  • dall’altro lato una coesione che da molti anni non era così netta nel centro-sinistra, soprattutto a Milano.
Da questa coesione, che sperò verrà premiata perché in questo momento i nostri avversari – tanto a Roma quanto a Milano – non possono davvero vantarla, parto per aprire un dialogo che ampli la base di consenso attorno a progetti di medio termine “convergenti” ma che possano già agire nell’oggi.
Ed è per questo che, in vario modo, vi è una linea di responsabilità e di dialogo che si è aperta rispetto al Terzo Polo che parte delle critiche esplicite e dalle delusioni dichiarate che i suoi esponenti – per esperienza acquisita – esprimono anche molto duramente nei confronti dell’attuale coalizione che guida la città.
Il nostro dialogo è sulle cose, sui programmi, sull’idea di generare nuova classe dirigente, sulla qualità dei provvedimenti e su un “fare condiviso” e dunque stabile e affidabile nel tempo circa i risultati attesi o solo potenziali che guardano al futuro ma che sanno già agire nel presente. Esso è libero e non di propaganda.
Ma è anche mediato da alcuni soggetti, come in questa fase l’ Iniziativa per il 51 animata, in mio favore, da Piero Bassetti (che ha raccolto l’adesione di persone molto qualificate, non candidate, espressione delle professioni liberali, della ricerca scientifica, dell’università, dell’impresa e del management) che ha come obiettivo di fare evolvere la riflessione di ambiti indecisi della città (tra indecisi e in astensione, quattro cittadini su dieci) guardando al realismo del ballottaggio.
Questo approccio non è dunque quello della vecchia sinistra antagonista che si propone di imporre ideologie agli amministratori che fa eleggere.
Lascio questa caricatura a certa stampa che non ci fa nemmeno arrabbiare. Una caricatura che voi – abituati a valutare i processi di cambiamento – solo osservando questa nostra vicenda, dalle primarie alle officine programmatiche partecipative, alla modalità di impostazione della campagna, allo schema di indipendenza che regola e regolerà l’impostazione strutturale e organizzativa, avrete modo di considerare per quello che è: non una critica, ma pura propaganda, spesso scioccamente denigratoria. Mentre altra stampa – e non certo a priori a noi favorevole – guarda al valore di laboratorio che stiamo producendo, sicuramente per Milano, forse anche un po’ per l’Italia (tra questa stampa metto volentieri Il Sole-24 ore) verso una politica che “pragmaticamente” si fa progetto nella fiducia e nella condivisione guardando alla soluzione di problemi.  
 
Istituzioni-imprese
C’è chi dice che il Comune nulla possa in materia di economia e lavoro.
C’è chi pensa invece (questa è anche la voce emergente nelle indagini demoscopiche sulle ”attese” che sono quelle che stiamo preferendo in questo momento rispetto al puro dato sulle intenzioni di voto che per altro, come sapete, ci premia) che esso possa tutto
Noi sappiamo che la verità sta in mezzo, che l’economia moderna non è generabile in un quadro dirigistico o di pianificazione top-down, ma che la dinamica del mercato diviene virtuosa e più forte se sono attivate politiche pubbliche orientate alla crescita e allo sviluppo, se la domanda pubblica è generata a scopi collettivi e non clientelari, se il rapporto istituzione/sistema di impresa è costruito nel quadro di ascolto programmato e attraverso tavoli per temi attorno a cui – è uno sforzo che orienta una delle nostre novità – si possa esercitare una trasparente valutazione dei risultati.
La logica di operare per progetti e per specifici patti potrebbe avere tra Comune e sistema di impresa alcuni punti fermi.
          un tavolo di ascolto e di proposta privilegiato che faccia da filtro auto-selettivo delle priorità;
          un tema sottoposto a progettazione generale e a verifiche: quello della semplificazione burocratica;
          una materia su cui non improvvisare ma avvicinandoci insieme nel quadro di compatibilità generali: quella del federalismo fiscale.
Il rispetto che si deve all’interlocuzione con un’organizzazione associativa che opera in un contesto territoriale di quasi 150 mila imprese che assicurano – nel territorio e altrove – oltre cinque milioni di posti di lavoro, è un argomento che fa parte delle priorità relazionali (pur con aperture in molte direzioni) con cui intendo costruire l’organizzazione di governo municipale.
l dialogo con il mondo associativo è parte di questo “grande gioco” dell’integrazione nella differenziazione quale fonte e leva di mobilitazione della società intermedia per la co-progettazione di obbiettivi e di un futuro sostenibili nella condivisione.
Nel documento di Assolombarda è scritto:” Assolombarda ritiene di poter contribuire allo sviluppo economico, sociale e civile della comunità in cui opera anche attraverso un rapporto continuo, dialettico e propositivo con le istituzioni, a partire da un richiamo forte ai principi della buona amministrazione e della difesa della legalità, delle regole, del mercato e della libera concorrenza”. Aderisco allo spirito e alla lettera di questa impostazione.
 
 
Modello organizzativo del governo municipale
Qui consentitemi una anticipazione, credo dovuta in questa sede, circa una riflessione sul modello organizzativo della nuova municipalità che va configurata ai sensi di legge con accorpamenti e riduzioni, quindi passando da sedici a dodici assessorati.
Questa riflessione è in corso e siamo praticamente pronti a proporre una valutazione razionale delle competenze attorno a cui scegliere la squadra più adatta e non il contrario, nomi imposti dai partiti da far conciliare a fatica con competenze scomposte per ragioni di potere fino a diventare irrazionali.
L’anticipazione è questa: gli assessorati propriamente economici saranno quattro, cioè un terzo dello schema generale di governo, tutti robusti e impostati per evitare al massimo conflitti di competenze che paralizzano le decisioni. Uno di essi è poi di carattere congiunturale ed è concepito con un team inter-assessorile e sarà dedicato in via permanente all’Expo. Rappresenta un metodo che potrebbe essere ragionevolmente esteso anche ad altri grandi progetti per Milano per la criticità dell’interdipendenza delle variabili in gioco.
Ma l’anticipazione vera che riguarda il lavoro del Sindaco riguarda l’intenzione di nominare un delegato permanente alle relazioni con il sistema dell’impresa e il mondo del lavoro, così da configurare una porta aperta in tempo reale attorno ai temi della rappresentanza socio-economica degli interessi della collettività.
Una riduzione e semplificazione dello schema di deleghe che vuole interpretare quanto dicevamo all’inizio circa la necessità di accogliere un processo decisionale più affidabile di fronte all’incremento delle interdipendenze tra vari settori e aree di azione.
Assicuro che nella fase che ci impegnerà per il ballottaggio sarò più esplicito sullo schema e sui caratteri della squadra, attorno a cui i punti fermi sono fin da ora tre: etica, competenza, efficacia.
Aggiungo una sola ulteriore breve anticipazione, secondo esperienze che vedo attuate in città nel mondo che vogliono mantenere in tensione l’analisi condivisa del cambiamento con cittadini, associazioni e imprese: mi impegno a promuovere condizioni di indipendente e rigorosa valutazione delle politiche pubbliche che metteremo in atto.
 
I punti essenziali tra i temi economici
Ho colto dal sito di Assolombarda alcune parole chiave. Sono, come dire?, il lemmario ricorrente, i riferimenti costanti di dichiarazioni, convegni, comunicati, interventi del presidente. Ecco le parole: Legalità, Responsabilità, Giovani, Innovazione, Semplificazione, Fisco. E poi anche: Internazionalizzazione, Ricerca, Network, Coesione sociale.
Posso dire con tranquillità che se fra un anno qualcuno di voi scorrerà i materiali del sito del Comune e delle attività del Sindaco molto probabilmente non troverà parole diverse.
I “blocchi tematici” che dicono in altro modo questi concetti attorno a cui stiamo lavorando sono questi:
 
  • piano di sviluppo : perché visione non vuole dire ideologia, perché in epoca di risorse limitate le priorità contano, perché a fronte di obiettivi di miglioramento sono anche proponibili sacrifici, perché solo in una cornice di equilibri potremmo costruire – dal fisco all’uso della finanza civica – il nostro federalismo; che non è un parola ripetuta a pappagallo ma una condizione specifica di autonomia su cui Milano si allena da non meno di ottocento anni, da quando generò il suo catasto e da quando mandò anche i non nobili ad assumere ruoli amministrativi, perché dichiarando principi e obiettivi si può anche alzare l’asticella della legalità e della trasparenza ; una dimensione forte di “identità milanese” che va aggiornata e valorizzata proprio in chiave di governance dell’eco-sistema urbano-metropolitano; colgo nel documento di Assolombarda cenni importanti alla necessità di un Piano strategico della mobilità, al rilancio di politiche per filiere economiche mirate (come il turismo e la salute), e – nell’impossibilità di dare qui risposte esaustive – assicuro risposte programmatiche negli atti;
  •  crescita e benessere: perché ai giovani interessa un ragionamento sul futuro, perché abbiamo in sorte una città, un territorio e una comunità che non debbono combattere con le condizioni del pauperismo e che hanno il dovere di far ripartire – come alcune tendenze recentissime stanno timidamente indicando – una condizione di allargamento del benessere attorno a cui è davvero questione morale (ce lo dicono i cardinali di Milano da decenni) includere, includere, includere; in questo ambito il ruolo di sostegno e di incentivo per l’allargamento della cultura di impresa deve interessare un’istituzione pubblica, guardando al rapporto formazione-lavoro, guardando alla imprenditorialità femminile, guardando alla impresa multietnica, guardando all’incubazione di nuova impresa a partire dalle stesse opportunità in seno alle università;
  • coesione sociale, come si dice in un rapporto recente della Comunità Europea (2011), dunque come fonte di inclusione, ma anche come fonte di co-progettazione allargata e di co-generazione di valore per l’insieme degli stakeholders (individui, imprese, comunità, istituzioni) perché portatrice di legalità e responsabilità oltre che di salvaguardia e promozione della varietà in una “società della conoscenza” guidata da una necessità inesauribile di civicness; di questa Milano è tradizionalmente ricca e ne è testimone la diffusa presenza di enti caritatevoli, religiosi e non, ma a volte diviene frammentata e separata, mentre si richiede unità di intenti attorno a progetti comuni condivisi sia nella raccolta di fondi per la ricerca sul cancro o per la protezione degli animali che per il sostegno agli homeless, solo per fare due esempi molto distanti tra loro;
  • internazionalizzazione: perché se Milano è la sesta “città globale” al mondo, per reti materiali e immateriali, il mondo su questo terreno – che unisce ormai strettamente la parola innovazione all’impresa e al lavoro – ci fa una concorrenza serrata; e la concorrenza si fa, me lo insegnate, abbracciando il concorrente, vivendo nella sua acqua, conoscendo la sua lingua, imparando a stimarlo e a studiarlo; non chiudendosi a riccio, insultando gli altri e i diversi, proponendo entropie pericolose, sia culturalmente che economicamente; dentro questa cultura della concorrenza c’è anche lo sforzo di “importare” modelli virtuosi, ovvero portare nella nostra pratica la cultura del servizio che altri contesti metropolitani nel mondo hanno modernamente generato – grazie anche a padroneggiamenti responsabili dell’innovazione tecnologica – assicurando semplificazione e infrastrutture);
 
Aggiungo qui qualcosa a voi tutti ben noto, cui ho fatto un rapido cenno all’inizio. 
Non basta esportare per essere una città internazionale o globale. Ma diviene fondamentale la capacità di attrarre nuove risorse e trasferirne altre in un ciclo continuo di scambio e ricambio delle proprie capacità e competenze che sappia anche rinnovare, aggiornandola la nostra identità in un mondo globalizzato.
Tocco un tema su cui so che Assolombarda lavora in permanenza. E su cui anch’io ho attivato informazioni.
L’argomento è infatti ben ripreso nel “position paper” della Associazione degli imprenditori riguardante la scadenza elettorale a Milano in cui è scritto che la città deve essere “attrattiva per un numero crescente di giovani – studenti, ricercatori, professionisti – portatori di creatività, cultura innovativa, competenze qualificate, provenienti dal resto del Paese e del mondo”.  
  • Mediamente nelle Università milanesi solo il 2-3 % degli studenti sono non italiani e meno dell’1 % sono extra-comunitari, mentre in altre università di grandi aree metropolitane europee come Parigi o Londra o Barcellona viaggiamo su quote anche 6 volte superiori; un segnale che siamo poco attrattivi (costi eccessivi, burocrazia, scarsa cultura accoglienza, eccetera) confermato da un rapporto Vision-British Council 2011 che vede in assoluto gli USA davanti a tutti (con il 18,7%), seguito da Gran Bretagna con il 10% e Francia e Germania con il 7,3% e l’Italia con il 2%, pari a quello della Spagna.
  • Ma l’Italia scivola in coda con il 3,4% se commisurato ai soli studenti universitari; se attraiamo pochi cervelli ma ne esportiamo molti, anche il nostro mondo delle imprese si impoverisce e saranno costrette o ad andare all’estero o a sovra-remunerare i talenti per accoglierli e trattenerli. Infatti nel programma Erasmus (Italia), siamo gli ultimi nell’attrazione e i primi nell’export (di cervelli) che significa un impoverimento drammatico per il paese e un vincolo forte per le nostre imprese.
  • Un segnale che va rapidamente invertito con adeguati incentivi e, innanzitutto con la semplificazione burocratica; soprattutto perché quegli studenti saranno domani partner o manager di imprese italiane o di loro concorrenti e, inoltre, consumatori di prodotti nazionali e dunque un primo canale della loro promozione e del sistema paese nel suo complesso.
 
Il caratteri della trasformazione di Milano
Nei dati che la stessa Assolombarda – insieme a Camera di Commercio –   fornisce sul sistema di impresa attiva a Milano e nel suo territorio circostante ci sono le prove di una processo di trasformazione che non può essere descritto in modo apodittico.
Chi grida alla fine del manifatturiero immaginando un tessuto di economia puramente immateriale parteciperà a molti convegni ma batte poco la realtà di un insieme fatto di tradizioni e innovazioni che rendono la nostra economia profondamente mista. Ugualmente, come ho molto appreso dalla lettura di un bel libro di un membro del vertice di Assolombarda, Antonio Calabrò, Orgoglio industriale, vi è la necessità di vedere la media impresa come asse portante di uno schema di ragionamenti che spesso fa parlare solo – e sbagliando – di noi italiani orfani della grande impresa in preda alla polverizzazione.
Che tuttavia il cambiamento sia grande è indubitabile. Esso richiede uno sforzo anche culturale a chi si accinge, attraverso i ruoli istituzionali e amministrativi, a svolgere una parte nel processo, per capire e per dare metodo a tale ruolo.
  • Credo – in generale – che siamo di fronte a un cambiamento di contesto nazionale e internazionale che richiede una transizione alle aree urbane da puri contenitori-somma di funzioni la cui espansione è guidata dalla rendita urbana ad eco-sistemi integrati di processi dinamici in grado di attrarre nuovi investimenti nei settori emergenti soprattutto a forte contenuto di conoscenza (biotecnologie, nanotecnologie, nuovi materiali, biomedicale, robotica, ecc.) che consentano anche di re-inventare i tradizionali settori residenti, riavviandone la de-maturazione (meccanica, chimica fine, farmaceutica, tessile-abbigliamento, mobili per la casa, eccetera) in un più stretto e intenso rapporto con gli enti di ricerca e sperimentazione, pubblici e privati.
  • Dunque dobbiamo capire a fondo le dinamiche e gli apporti della impresa (ripenso proprio a quella “media impresa” già accennata) ma in un quadro evolutivo del portafoglio tecnologico e produttivo che la lega da una parte a piattaforme di piccole e medie imprese in forme variegate di networking (basti pensare ai distretti o aree produttive locali di cui Milano è circondata) e/o in alleanza con imprese medio-grandi, nazionali o internazionali, per comprendere a fondo i processi in corso e il ruolo dell’area metropolitana nell’apporto di risorse pregiate – infrastrutture info-mediali e logistiche, di formazione e qualificazione del personale – esplorando i rapporti complessi tra nuova manifattura e servizi (alle imprese e di rete infrastrutturale) e ai bisogni di incremento di intensità comunicativa e di riduzione del costo energetico così come alle necessità per sviluppare il potenziale di creatività.
  • Infatti è nelle nuove ed emergenti interdipendenze tra manifattura evoluta e nuovi servizi nel contesto territoriale urbano ed extra-urbano e di sistema, e non nella loro illusoria separazione (come alcuni sostengono in chiave di de-industrializzazione tour court), che si misurerà la sfida di Milano nella competitività mondiale di cui l’Expo, per esempio, è una delle dimensioni operative fondamentali in chiave comunicativa, ma non potrà essere la sola se non sapremo associarvi tutte le altre per sostenere l’”accoppiamento virtuoso” ora accennato.
  • Operosità, manualità, ritorno all’importanza della formazione nei settori tecnici (qui ha molto ragione Giuseppe De Rita) devono dunque – nel caso di Milano – leggersi insieme a ciò che l’area del valore aggiunto della creatività significa per il tessuto economico di Milano (operando su dati nazionali offerti dalla Commissione Santagata operante per il Ministero dei Beni Culturali pubblicati dalla Bocconi, Milano avrebbe almeno quattro punti in più della media nazionale che in tema di impresa creativa segna quasi il 12% del PIL).
  • Si tratterà qui di saldare più in profondità con progetti mirati le quattro C: Cultura, Creatività, Comunicazione e Capitale umano e sociale attraverso la qualità diffusa delle infrastrutture (logistiche, info-mediali e della formazione).
 
In pari tempo la nostra ricognizione sta andando anche verso settori una volta considerati marginalmente dall’economia ma che nel contesto del territorio cominciano a definire massa critica – soprattutto nell’ambito dei servizi e della relativa occupazione – come il settore no profit.
 
In questa fase io posso solo dire che l’approccio a questa trasformazione deve essere serio e frutto di convergenze. Innanzi tutto accorpando e riconducendo a visione generale il lavoro di tanti uffici studi e fondazioni (qui annuncio, tra l’altro, l’intenzione di rilanciare l’Ufficio studi del Comune e il presidio responsabile sulla statistica, in una chiave di servizio e di raccordo e di rispetto per il potenziale di ricerca sia privato che del sistema universitario).
Propongo che in autunno si svolga promosso dal Comune e concepito da un tavolo di lavoro con associazioni di impresa, sistema camerale e sindacati, un grande incontro di analisi sulla trasformazione economica del territorio per mettere a fuoco l’impiego delle leve decisionali e incidere sul bilancio del 2012 e del triennio successivo. Non penso a un’iniziativa per fare repertorio. Già tutto è detto e scritto. Penso soprattutto a valutare insieme come l’innovazione taglia già trasversalmente tutto questo processo e come sia necessario immaginare incentivi e stimoli per chi voglia innovare assicurando quindi radicamenti e occupazione.
E allo stesso tempo penso a una valutazione delle convergenze possibili tra azione amministrativa e sistema di impresa per rilanciare in modo razionale l’approccio ad uno dei nodi urbani che sta più a cuore ai cittadini sviluppando coerenti progetti nel quadro della green economy, a cui vedo che è fatto un ampio riferimento nel documento di Assolombarda, perché rappresentativa di quelle filiere emergenti che guardano al futuro e all’ibridazione virtuosa di molteplici settori della old e della new-new economy.
 
Nel “fare sistema” c’è anche un modo d’essere del sistema di impresa che riguarda aziende pubbliche e private. L’attuale conferimento della presidenza di Assolombarda ad un esponente dell’impresa pubblica dimostra come il tema esista ormai profondamente nella cultura dell’economia del territorio. Tema che ci impegna nel quadro delle aziende partecipate dal Comune per la gestione dei servizi che sono parte del processo di innovazione e che per questa componente – di leva dei processi di qualità e di cambiamento – ci interessa mantenere nella condizione di soggetti di patto tra pubblico e privato, tra regole e mercato, non come territorio di sottogoverno e di prebende nella distribuzione dei compensi elettorali.
Dunque nel quadro di una visione equilibrata tra processi di liberalizzazione, per migliorare efficienza e qualità, e soglia di garanzia per i consumatori oltre che come stimolo a rendere tariffe e costi più competitivi con un grande sforzo di liberalizzazione nei servizi e nelle professioni che in attesa di una legislazione quadro nazionale possa nel frattempo incentivare i processi di aggregazione, la formazione di start-up di giovani professionisti e nell’accesso a spazi e servizi comuni per lo svolgimento delle diverse attività soprattutto nei settori innovativi emergenti.
 
Lavoro e occupazione
Anche se si dovrebbero apprezzare i due punti di differenza tra lo stato della disoccupazione a Milano rispetto alla media nazionale, io credo che si possa fare, insieme, di più e meglio. In quantità e in qualità.
  • Per rivedere dispersione e precariato che non rendono forte né una società né il contesto strutturale in cui si può produrre ricchezza, soprattutto nel quadro dinamico ed evolutivo dei rapporti intersettoriali accennati sopra che vede un rilevante cambiamento del ruolo che le grandi aree metropolitane possono svolgere incentivando e orientando quei connettori di sistema urbano ed extra-urbano che possono facilitare l’accesso alle risorse e la qualificazione e riqualificazione di quelle esistenti e residenti.
  • Credo che – anche per i cenni precedenti – si rende chiara l’idea che ho che le diverse componenti che hanno competenza nell’amministrazione municipale possono concorrere insieme alle imprese sul territorio di comune interesse che riguarda la formazione e la visione della futura classe dirigente.
  • Per fortuna a Milano – e in Lombardia – non si deve combattere una guerra culturale interna circa il fatto che l’istruzione non serve e che la pratica val più della grammatica. La classe dirigente è tema che va insieme a quello dell’ ampliamento del livello medio della conoscenza e delle qualità critiche di chi lavora. Più conoscenza significa più responsabilità, non più anarchia. Vi sono parti d’Italia in cui il tema divide. So che qui possiamo remare tutti dalla stessa parte.
  • Ed è una parte che ci obbliga a ragionare insieme al mondo della scuola e al mondo dell’università – come già Assolombarda meritoriamente fa – per modulare secondo visioni confrontate il rapporto tra istruzione di base ed esigenze del mercato del lavoro. La leva amministrativa è una delle componenti, in questo campo noi la useremo senza risparmio. Il mio obiettivo di “legislatura” è di aiutare la soglia della disoccupazione a scendere di altri due punti.
C’è in questo quadro anche l’uso della leva della domanda pubblica e la leva del “fare sistema” per la ricerca applicata come strumento di sviluppo e competitività su cui non posso aprire qui i file, ma che ritengo materia di indirizzo programmatico su cui ci esprimeremo presto. 
E’ peraltro evidente che a Milano si richiede uno sforzo di selezione delle eccellenze e sono tantissime – per concentrarvi gli sforzi di finanziamento favorendo co-progettazione e servizi comuni – con alleanze trasversali tra le Università milanesi e tra queste e le università lombarde in chiave di internazionalizzazione in partnership con imprese e istituzioni locali e/o estere, per favorire messa in comune di risorse e scambio di competenze in forme sistematiche, tra mondo della ricerca, imprese e mercati.
 
Expo, correzioni di tiro
Non posso non introdurre in questi cenni anche qualche considerazione sull’Expo.
Assolombarda ha dedicato al tema molta attenzione. La sua ex-presidente è al vertice del governo della società di gestione. Non sono interessato alla polemica che lascio volentieri ad altri, ma all’azione e al progetto da cui farla discendere.
Posso comprendere la prudenza di linguaggio del documento di Assolombarda che parla di “preoccupazioni per le difficoltà iniziali”, anche se credo che il terreno di analisi ci veda tutti critici e propositivi al tempo stesso.
Ho avuto modo di sentire anche in dialoghi privati alcuni di voi usare espressioni severe per il tempo perso, la litigiosità inter-istituzionale che si è prodotta, il mancato sufficiente raccordo con tutti coloro che sono responsabili delle risorse nella misura in cui vi sia chiarezza di intenti sulla spesa e sulla progettazione. Ho sentito anche critiche allo svilimento di una certa progettualità iniziale e critiche sul grave ritardo con cui si avvia l’attenzione ai contenuti scientifici e culturali dell’Expo – “nutrire il pianeta” – che è materia a cui contribuiscono non solo i sociologici o gli economisti ma anche il mondo della ricerca scientifica e dell’impresa (apro qui una parentesi per ricordare a me stesso la filiera di interesse nazionale delle imprese agro-alimentari) che offrono soluzioni a livello planetario sempre che vi sia chiarezza di coinvolgimento e di propositi. Io non ho potuto ancora vedere il dossier Expo nella sua completezza.
Registro queste criticità. Mi dispiace sentirle. Credo di essere riuscito fino a qui a contenere critiche anche più radicali che parti politiche – molte delle quali mi sostengono – rivolgono alla gestione e ai rapporti fin qui intervenuti tra Comune, Provincia e Regione.
Ma il cambiamento di indirizzo è necessario e urgente sia sotto il profilo del metodo verso una programmazione condivisa perché possa poi stabilizzare l’efficacia dei propri effetti in futuro; e sia sotto il profilo del contenuto.
In estrema sintesi Expo rappresenta molto per Milano, in particolare proprio nel quadro dei rapporti sopra accennati tra nuova manifattura, mondo dei servizi e infrastrutture di sistema locale/multilocale al servizio delle imprese, dei network del valore che le promuovono e delle comunità degli utenti. Ma è necessario trovare presto il modo di fare migliore sintesi tra tutti i ruoli che questo intreccio indica.
Expo come un sistema urbano integrato di servizi multilivello e multiscopo generatore di esternalità positive è dunque più cose:
  • una “macchina cognitiva” capace di offrire una solida piattaforma di interazione effettiva e potenziale alle imprese milanesi, lombarde e italiane più in generale;
  • un “veicolo flessibile” per un futuro orientato a responsabilità e sostenibilità di imprese dinamiche;
  • una “leva modulare” di ridisegno innovativo del portafoglio tecnologico-produttivo delle imprese italiane in una prospettiva globale saldando medie imprese e sistemi di PMI.
Expo – per chi lo ha affrontato con visione lunga e profonda – è un ponte tra territorio, innovazione e creatività.
Ed è anche un’occasione (ne ho fatto qualche anticipazione in un’intervista nei giorni scorsi al Sole 24 ore) per attivare strumenti di finanziamento progettati come “pacchetti di servizio” ai visitatori e agli utilizzatori.
Sono d’accordo con Assolomabrda sulla strategicità dell’evento al di là dei sei mesi.
Un documento recente di Assimpredil-ANCE, redatto come pro-memoria per le elezioni amministrative di Milano, parla di uno sforzo di dialogo e di rinnovamento nel rapporto tra imprese e amministrazione pubblica centrato sulla visione di “una città eco-positiva”: “Abbiamo bisogno di uno Stato fortemente presente che controlli e assicuri un sistema di regole certe e rispettate. Abbiamo bisogno di una P.A. che sposti le priorità di intervento dal mero controllo del processo autorizzativo alla sorveglianza attiva, costante e diffusa. Le imprese per combattere e vincere la battaglia verso la qualità, la legalità e l’innovazione hanno bisogno del forte sostegno dello Stato e delle Amministrazioni Locali, che devono diventare i primi alleati per far crescere economicamente, socialmente e culturalmente il nostro territorio”. La citazione è lunga. Ma ci tengo a farla perché è una lunghezza d’onda che apprezzo.
 
Una politica delle risorse migratorie
So che su questo punto parlo a un ambito di interessi di impresa che consente un linguaggio franco e non viziato dai luoghi comuni delle propagande. Quelle venate di razzismo in cui si è prodotto – in varie parti d’Italia – reddito politico costruito sulle paure aizzate nella gente. Ma anche quelle venate da eccesso di buonismo, che affratella tutti pregiudizialmente senza guardare ai problemi se sorgono e quando sorgono in un paese che ha tante qualità ma la cui bontà d’animo è stata molto calpestata da modelli educativi con modelli negativi, su cui qui non è il caso di aprire una percezione che ormai tutti percepiscono.
In materia di migrazioni dico alcune cose semplici:
  • che il fenomeno è centrato su una rivoluzione demografica planetaria che ha appena cominciato ad investirci e che va affrontata con visione non solo locale ma anche globale delle ragioni e degli andamenti oltre che degli esiti attesi o solo emergenti, dato che siamo in presenza di fenomeni di medio–lungo termine;
  • che esso riguarda gli agglomerati urbani ricchi e quindi Milano è tra gli ambiti da un lato più investiti dall’altro a cui si richiedono soluzioni intelligenti perseguibili anche altrove e certamente in chiave multi-locale se non globale;
  • che la parola “risorse migratorie” è quella che spiega meglio la tendenza ormai a breve a vedere il nostro sistema di impresa con molta iniziativa in capo ad operatori etnicamente diversi tanto che nelle università (anche italiane) si erogano corsi di multi-cultural management o di ethnic marketing o di ethnic entrepreneurship e nelle grandi imprese transnazionali si sviluppano funzioni per la gestione di reti o divisioni con approcci multiculturali; il loro peso economico è sempre più rilevante tanto che eroghiamo a loro favore 9 mil.di di euro ma ne incassiamo 11 e che ormai mobilitano dinamicamente tanto i consumi quanto i mercati immobiliari;
          e così anche a vedere la nostra scuola popolata in forma ampiamente plurale; a vedere il mercato del lavoro alimentato e stimolato da offerte che sono tanto più qualificate quanto le comunità di origine trovano adattamenti civili, culturali e di rispetto identitario assicurati da autorità proprio per questo credibili quando chiedono rispetto delle regole e dei principi generali della convivenza.
Questo l’approccio.
Esso ha nel mondo regole culturali nuove fondate sulla crescita non sulla conservazione, fondate – come ci insegna il Nobel Amartya Sen – sull’equilibrio tra giustizia ed economia, non sull’equilibrio tra stereotipi e pregiudizi.
Sono d’accordo con l’approccio al tema che ho letto nel documento di Assolombarda e sottoscrivo questo passaggio: “Un “nuovo patto sociale” non è la riedizione dello stereotipo “Milano con il cuore in mano”, ma un driver che attraversa le varie azioni di governo della città allo scopo di creare le condizioni istituzionali e di contesto necessarie a sostenere l’autonomia individuale e la capacità di ciascun soggetto di essere protagonista della costruzione del proprio benessere.”
 
Le misure che seguiranno avranno anche qui un territorio di incontro stabile con il sistema di impresa e ugualmente un’attenzione moderna e senza pregiudizi con le comunità immigrate e un’attenzione speciale ai rapporti con tutte le religioni praticate nel territorio urbano.
  • E’ peraltro chiaro che saremo sempre più spesso di fronte alla necessità di fatto (oltre che di diritto) di governare processi complessi e “ibridazioni diffuse” di comportamenti in contesti multiculturali che sono tali da richiederci regole certe (e selettive) per potere accogliere in forme e modalità appropriate e rispettose della dignità umana senza violazioni della social cohesion e nella comprensione di chi non ha luoghi dove risiedere o che fugge da luoghi inospitali.
  • Avremmo bisogno di una diversa politica al riguardo su scala nazionale ed europea. Ma, per quel che Milano conta ed esprime, potremmo insieme dare il nostro contributo al cambiamento di visuale. Ma per fare questo serve consapevolezza della dimensione strutturale e irreversibile del fenomeno e una capacità di programmazione di medio-lungo termine oltre gli slogan e che gli imprenditori in primo luogo ci richiedono per fronteggiare le trasformazioni dei mercati del lavoro e delle merci soprattutto nei confronti dei paesi cosiddetti “low cost” e in primo luogo della Cina. 
 
Una visione condivisa per la città metropolitana
Il territorio rappresentativo di Assolombarda è extra-comunale. La visione della dinamica economica della città è – come ci spiega sempre Guido Martinotti – secondo schemi lineari di espansione potenziale, non secondo schemi contorti di autopercezione dell’identità urbana.
Noi vorremmo assumere il dossier “Milano città metropolitana” non con le finzioni che hanno finora caratterizzato ogni accenno, ma come un dato moderno della identità concreta di una città che se vuole avere un posto al mondo deve presentarsi per quel che è, per quel che vale e non per l’autoconsolazione di ceti conservatori che faticano persino a considerare le cerchie ulteriori alle mura spagnole come ambiti legittimi della “milanesità”.
Nel citato documento di Assimprendil-ANCE è ancora scritto: “Manca una politica di area metropolitana con il conseguente rischio di “strozzamento” della città. La visione milanocentrica rischia di non offrirle la “massa critica” necessaria per farle fare il salto a città metropolitana di rango internazionale”.
Questo approccio interessa il rapporto tra Comune (e in generale istituzioni) e sistema di impresa anche perché in esso vi è una lettura piena, concreta e consistente della visione della riqualificazione delle aree e dell’equilibrio degli insediamenti che è, ormai da anni, il fattore veramente condizionante urbanistica e piano del territorio della città.
  • Ci viene spiegato che la grande area metropolitana è un sistema urbano dinamico-evolutivo che si espande non più secondo logiche centro-periferia (verticali) scandite dalla rendita urbana e che si appoggiava ad una economia dei beni materiali e della loro logistica “pesante” di accessibilità e rifornimento (di merci e persone); ma secondo logiche orizzontali e di connessione tra arcipelaghi spaziali scanditi da reti di trasporto veloce e di connettività informativo-comunicativa per l’accesso alle conoscenze utili, alle interazioni necessarie per strati di relazioni multiscopo.
  • Che cosa ne ricavo dal punto di vista delle competenze dell’amministrazione pubblica? Che vi è la necessità di rendere gli accessi “aperti” ai vari snodi e gruppi di cittadini per la governance più adatta delle interdipendenze tra lavoro, residenza, entertainment e ambiente dei servizi. Dunque, insistenza su trasporti pubblici veloci, sull’housing sociale, sulla distribuzione dei servizi dal centro verso la periferia per riqualificarle e rendere loro “autonomia” e snellire il centro e rendere l’ambiente più vivibile, abbattendo gli standard medi di trasporto privato. Solo per fare qualche esempio.
 
Insieme per il brand di Milano
Ho partecipato molto volentieri, un paio di mesi fa, a una serata promossa dal prof. Marco Vitale di incontro con il presidente Meomartini e ho colto quella sera – attraverso la sua illustrazione di ricerche sviluppate dall’Associazione sui propri stessi soci – uno spirito partecipativo ai temi di interesse generale che a me è parso e pare oggi più che mai una condizione essenziale di ritorno ai dati culturali – se mi è permesso dire, di tipo illuministico – delle condizioni del “governo sociale” della città. Che le cose non vadano bene è – a crisi non conclusa – una evidenza che può portare intere categorie e intere comunità a isolamenti e egoismi laceranti. Parto dai riscontri che ho ascoltato da Meomartini per immaginare un clima di confronto leale che ha al cuore il nodo del patrimonio comune. Esso è un patrimonio materiale, di cultura materiale, innanzi tutto. Fatto di una città con la sua storia, il suo immenso tesoro culturale (da valorizzare molto di più secondo il doppio schema della cultura come capitale sociale e della cultura come leva economica), i suoi radicamenti di operosità e di ingegno, la dedizione al lavoro della stragrande maggioranza dei cittadini e dei city users. Ma noi sappiamo che vi è parimenti un patrimonio simbolico da difendere, ovvero da studiare, consolidare e riqualificare.
E’ vero che l’Expo ci potrebbe aiutare. Ma se non c’è metodo, presidio e dialogo – un modello che ho visto ben applicato nel contesto in cui Torino ha gestito l’evento olimpionico – non basta un evento a promuovere concreti risultati di rafforzamento e consolidamento della reputazione. La reputazione della città è come l’incremento del valore in borsa delle azioni. Da dividendi a tutti gli azionisti. Che nel caso di una città sono gli amministratori ma parimenti – anzi di più perché più a lungo – i cittadini e le imprese.
Non auguro la scomparsa di nessuno per cogliere i sentimenti collettivi di partecipazione ai valori simbolici. Ma ho visto con commozione il valore di un intero territorio – sindaci, imprese, lavoratori, cittadini – stringersi attorno alla prematura scomparsa di un imprenditore apprezzato come Pietro Ferrero, per segnalare a voi e a me stesso che considero pubblico e privato, istituzioni e imprese, parti omogenee di questo processo di rappresentazione. Che a Milano ha grande storia e, se posso aggiungere, anche storia da spiegare e raccontare di nuovo.
 
Conclusioni
Non intendendo racchiudere in un intervento destinato a un primo atto di conoscenza reciproca l’esaustivo racconto di piani e progetti qui solo accennati in modo non esaustivo essendomi focalizzato più su aspetti di metodo che di contenuto.
Essi andranno in capo a una squadra che farà del sindaco un coordinatore di competenze, un fluidificatore di connessioni, un facilitatore di capacità progettuali, vere secondo uno schema responsabile ma anche plurale di governo e affidabile perché condiviso. 
Una parola, in conclusione, sul mio personale impegno.
  • Potevo fare altro dopo un’esperienza parlamentare; a cui per altro ero sollecitato a tornare. Ho pensato di avere un legame speciale con la città, un’occasione di libertà personale, un’interpretazione del momento storico in cui esprimere un atto di responsabilità che consentisse adesso di compiere questo gesto. “Gesto” è parola sbagliata. Perché quello che davvero penso non è gesto in senso di apparenza, insomma di far finta.
  • Vorrei farcela per assicurare risposte al diffuso bisogno di cambiamento che sento. Per generare un lavoro con chi ha davvero a cuore far tornare l’amministrazione municipale alla sua qualità antica, alla sua dedizione senza personalismi e senza carriere ingiustificate. Per creare condizioni di responsabilità tra i più giovani. Per riaprire in forma responsabile il dialogo con i soggetti che formano i connotati strutturali della comunità (e quando dico dialogo dico dialogo non pubblicità o, peggio, propaganda). Per creare insieme condizioni di valutazione dell’andamento economico e sociale della società senza farcelo dire dai giornali a fine anno.
  • Per quel che mi riguarda, se centrerò questi obiettivi, potrò anche fare un solo mandato. Ricostituite certe condizioni, vorrà dire che il vento è davvero cambiato. Divisi possiamo forse disegnare Milano ma insieme possiamo rifarla, riportandola al livello che merita.