Giovanni Pieraccini , 94 anni, resistente, eletto alla Camera tra i socialisti nel 1948, direttore dell’Avanti! dal 1960, ministro dei Lavori Pubblici con il primo centro-sinistra (Moro) nel 1963, nella parte centrale degli anni ’60 ministro del Bilancio e della Programmazione, e ancora ministro negli anni ’70 (alla Marina mercanile e alla Ricerca scientifica), senatore della Repubblica , poi presidente dell’INA-Assitalia, ha fondato nel 1986 Romaeuropea Festival che continua a presiedere. Vive ora con la moglie a Viareggio, in cui nell’immediato dopoguerra fu segretario del PSI.
Lo frequento da trent’anni, con amicizia e con il rispetto che porto per quella generazione – la generazione di mio padre – ovvero per coloro che hanno avuto coraggio e per il rispetto nei confronti di chi ha costruito il lungo percorso del riformismo italiano.
Ci scambiamo libri e articoli. La sua vitalità e ammirevole. La speranza più forte delle delusioni. Mi manda questa riflessione scritta ad apertura del nuovo anno. E la pubblico nel mio sito segnalandola agli amici.
Il sole dell’avvenire.
Ricominciamo a crederci.
Giovanni Pieraccini
Era affascinante la convinzione che la classe operaia oppressa, liberando se stessa, avrebbe liberato l’ intera umanità Veniva da Marx, filosofo, economista, politico ed anche profeta che dette al movimento europeo la grande forza d’urto della centralità della classe operaia e di una forte capacità di azione. Era l’identificazione del socialismo nella realizzazione della libertà e dava un’irresistibile forza ideale alla lotta la forza del mito.
Risuonavano in noi altre voci come quella risorgimentale di Garibaldi che nei giorni della nascita della prima Internazionale aveva definito il socialismo come “il sole dell’avvenire” o quella più tarda, più colta e più poetica dei “lendemains qui chantent”. Non percorreremo il lungo cammino del movimento operaio. Non fu solo il perseguimento di un ideale, ma anche un susseguirsi di lotte anche tragiche. Il movimento operaio fu una forza decisiva per il riscatto delle classi oppresse, per l’edificazione di una democrazia fondata sulla piena cittadinanza di tutti ed in Europa portò a una società più umana, più giusta, più libera: la società del welfare.
Fra le macerie di una gravissima crisi di sistema possiamo oggi vedere quanto è debole ed inefficiente una politica (ed una sinistra) orfana di futuro che si aggira fra l’affrontare la contingenza e la restaurazione.
Anche la stagione del welfare aveva già mostrato i suoi limiti, delle crepe, gli eccessi dello statalismo nell’economia e l’ipertrofia dello stato, il peso frenante della burocrazia, quello invadente dei partiti ed una riforma dei troppo facili impegni finanziari con la continua crescita del debito pubblico. Occorreva un ripensamento, ed una riforma, che non ci furono perché la caduta del comunismo fece crollare tutto. Non cadde soltanto l’economia autoritaria e burocratica dell’Unione Sovietica ma la politica dell’intervento dello stato nell’economia. Fu la vittoria dell’ideologia del mercato e le stesse sinistre l’accettarono. Fu “il pensiero unico”. La dura forza dei fatti, con l’esplosione della bolla finanziaria ed il fallimento di grandi banche, ha segnato il fallimento dell’ideologia del mercato.
Ma proprio per il fallimento del mercato l’intervento dello stato risultò di nuovo necessario a partire dal salvataggio delle banche. Sarebbe stato logico per la sinistra celebrare la vittoria, ma paradossalmente si arroccarono nell’ideologia perdente. Chiedere l’intervento dello stato fu visto come un fatto provvisorio, in pratica per scaricare sui cittadini il peso della crisi, in attesa del ritorno della vecchia economia. La cura della crisi fu cercata in definitiva nella ricostruzione del meccanismo del mercato: “le roi est mort. Vive le Roi”.
Siamo in una situazione paradossale poiché abbiamo di fronte con chiarezza la politica della restaurazione del mercato, molto chiaramente elaborata a Bruxelles, ma anche dal governo italiano che è in perfetta sintonia e che perciò è tornato ad essere un interlocutore nel consesso internazionale come non era più e non abbiamo proposte alternative. Ormai è evidente che si tratta di rimettere in moto la politica del mercato e perciò al centro si pone il risanamento dei bilanci con il loro pareggio, con la riduzione del deficit e con la sistematica riduzione, anno per anno, del debito pubblico. E’ una politica coerente, sostenuta dagli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca Europea e i singoli stati. Ha il sostegno di economisti autorevoli, mentre le voci contrarie di economisti anche onorati dal Premio Nobel restano inascoltate come quelle di profeti disarmati.
Il pareggio del bilancio è un impegno che deve entrare nella Costituzione dei paesi europei e deve essere perseguito con tasse e tagli delle spese che saranno accompagnate da misure di rilancio, promesse ma finora non decise. Ci sono severi controlli (della Corte di Giustizia) comunitari e nazionali con sistematiche riduzioni del debito pubblico fino a riportarlo al 60% del PIL. Ci saranno sanzioni anche dure. Così nella Costituzione Italiana la centralità della persona umana sarà sostituita dalla centralità del Bilancio.
Tuttavia una politica che tende a ripristinare il mercato non toglie le cause che hanno portato alla crisi, che è proprio nata dalla politica del mercato e dalla sua ideologia. Per l’Italia, c’è qualche paradosso in più. E’ caduto il governo Berlusconi e questo è un fatto positivo, visto che era evidente la crisi del berlusconismo, diventato per molti versi insostenibile e senza più autorità anche in campo internazionale. E’ dunque una tappa per il ritorno ad una normale dialettica democratica.
Al posto del governo Berlusconi c’è il governo Monti. Al di là delle discussioni sulla sua natura di governo tecnico o presidenziale o politico è da accogliere anch’esso come un fatto positivo, poiché è formato da personalità colte, serie, con un pensiero politico coerente, se mai c’è qualche perplessità per le autorevolissime presenze di banchieri, del resto coerenti con la logica politica del governo.
Il governo Monti rappresenta, in modo più ortodosso dei governi populisti di Berlusconi, la politica del mercato, ed è perciò – ripetiamo – in sintonia con la politica internazionale. Il paradosso è che con questo giudizio negativo dobbiamo tuttavia accettare le norme che propone perché, non si presenta nessuna alternativa.
Non è una contraddizione poiché se cadesse avremmo dinanzi a noi il vuoto e sarebbe catastrofico per l’Italia con gravissime conseguenze per l’Unione Europea.
Allora che senso ha denunciare la restaurazione senza proporre nessuna politica alternativa credibile?
È talmente grave il fallimento della sinistra insieme a quella del mercato che si è costretti a subire le norme proposte. Dobbiamo anche dire che non c’è la sicurezza che queste misure raggiungano il loro intento, provocando una recessione pericolosa. Dice, a mio parere giustamente, Deaglio sulla Stampa che le norme annunciate a Bruxelles sono una “camicia di forza” aggiungendo: “a questo punto l’interrogativo diventa politico , è socialmente sostenibile una situazione simile oppure i poveri europei rischiano di essere travolti da una protesta sociale tanto più grave quanto più disordinata?”.
Al di là di questo scenario inquietante di altre e più gravi crisi, un senso c’è in ciò che proponiamo. Se è vero che il ripristino del mercato non è la soluzione occorre, come fu nel passato, avere una visione strategica, riconquistare la forza dell’ideale nel prospettare una nuova società che sia quella del XXI secolo. C’è molto lavoro da compiere: intellettuale, culturale, politico. Ci sono alte voci critiche e propositive di economisti, sociologi, pensatori politici e anche di politici e ci sono lotte da condurre anche per riforme costituzionali e politiche da fare perfino nella logica dell’attuale governo.
C’è un lavoro assiduo da compiere per cercare le forze di rinnovamento che si trovano soprattutto nelle nuove generazioni, “le generazioni della rete” che rappresentano un fatto nuovo di enorme importanza, come si può vedere nei grandi movimenti (in certo modo eversivi) in Africa, in Medio Oriente, in Europa ed ora nella Russia di Putin. Per il momento hanno una forza distruttrice, piena di contraddizioni e di mille differenziazioni. Ma sono le forze dell’avvenire e noi dobbiamo portare a loro l’esperienza della storia la coerenza di un disegno politico di libertà e di giustizia sociale affinché la loro forza distruttrice di un mondo finito divenga la forza edificatrice di un più alto futuro.