Gianni Cuperlo sulle nuove forme di comunicazione politica (summer shool “La sfida riformista”)

 Gianni Cuperlo
Intervento alla summer school “La sfida riformista”
Le nuove forme della comunicazione politica

Il tema è vastissimo e richiede una selezione degli argomenti da trattare, anche per evitare una dispersione eccessiva in una materia che si presta (soprattutto negli ultimi anni) alle riflessioni più varie. Quindi sarà  abbastanza inevitabile procedere per titoli e indicare alcune delle questioni fondamentali che investono oggi questo settore specifico.

Naturalmente (e questo vale, più o meno, per tutte le relazioni del corso) essendo il tema, per le note ragioni, un nervo scoperto della nostra vicenda politica, bisognerà  trovare il giusto equilibrio tra i cenni dedicati alla ricostruzione storica e alcuni nodi dell’attualità. Vorrei muovere da una premessa relativamente banale: la comunicazione politica (o se volete, l’importanza di una buona comunicazione nella costruzione dell’offerta politica) non è una scoperta recente.o almeno è meno recente di quello che siamo soliti pensare) Da molti anni – solo per fare un esempio – nelle università  americane si studia lo slogan con il quale Eisenower affrontò la campagna elettorale per le presidenziali del 1956.lo slogan era quello che oggi definiremmo un tipico claim pubblicitario: diceva semplicemente I like Ike e su di esso si sono sbizzarriti gli studiosi di linguistica prima ancora dei comunicatori politici / in tutt’altro contesto – siamo nell’Italia del boom, l’anno è il 1963 – uno dei leader carismatici della politica italiana del dopoguerra, Palmiro Togliatti, alla vigilia del suo esordio in una tribuna politica della Rai chiamò a Botteghe Oscure un grande maestro del cinema italiano come Luchino Visconti per raccogliere consigli e suggerimenti tecnici che lo erudissero sulla novità  del mezzo e ancora, ma molto più vicino a noi, (ne parla Enrico Deaglio in Besame Mucho, Feltrinelli 1995), fece grande scalpore all’indomani del primo (e finora unico) faccia a faccia tra Berlusconi e un suo diretto competitore (siamo nel 1994 e si trattava di Occhetto), la spilla rifrangente del leader di Forza Italia che ne faceva brillare l’immagine (l’espediente consiste in un piccolo trucco che si usa nella pubblicità  dei detersivi per mostrare il luccichio dei pavimenti, Berlusconi portava all’occhiello della giacca una spilla di Forza Italia contornata di queste perline che ‘sparavano’ nella telecamera, producendo un pacchianissmo effetto da ‘unto del signore‘.il che ci porta a dire come si può finir male: dal presidente degli Stati Uniti allo spic & span).
Sono solo tre esempi, molto distanti l’uno dall’altro, per descrivere un’attenzione al tema che non è – come a volte siamo portati a pensare – figlia del nostro tempo; anche se è del tutto evidente – ma su questo torneremo – che gli ultimi 15/20 anni, hanno prodotto novità  e rotture molto significative (sia dal punto di vista della tecnica, che del linguaggio e soprattutto del rapporto tra le organizzazioni politiche e la sfera della comunicazione.) In termini generali (potremmo dire, sociologici) è vero che per molte ragioni la comunicazione ha assunto in quest’arco di tempo (ripeto, più o meno l’ultimo ventennio) un ruolo crescente di condizionamento: insomma ‘comunicare’ nella società  dell’informazione è una funzione sempre più strategica e nessuno può farne a meno. non le imprese che anzi investono in advertising (pubblicità ) capitali enormi. non la politica che ha approfondito il carattere e la forza persuasiva del messaggio, della sua reiterazione e delle strategie più aggressive per capitalizzarne al massimo l’efficacia e la capacità  di fidelizzazione dell’elettorato. non la sfera pubblica (a partire dallo Stato e fino alle amministrazioni locali) che hanno individuato nella comunicazione verso l’esterno uno dei tratti della propria identità  da questo punto di vista si può dire che, con sempre maggiore evidenza nel corso dell’ultimo decennio, ‘la comunicazione è stata un’espressione dell’innovazione del sistema istituzionale e una carta del processo di modernizzazione del paese’ (Rovinetti / Rolando 2000) di una nuova cultura del servizio, della partecipazione, del rispetto del cittadino.. in questo caso (e ripeto, mi riferisco alla comunicazione istituzionale) parlare di decennio è qualcosa di più che un richiamo generico: nel senso che possiamo fissare una data d’inizio e un compimento di questo processo che coincidono esattamente con un decennio della nostra vicenda politica due date danno la misura del percorso compiuto: 8 giugno 1990: legge n142, si afferma per la prima volta il diritto/dovere delle istituzioni di comunicare, 7 giugno 2000: legge n150, nell’ambito della prima legge quadro in materia, informazione e comunicazione vengono definitivamente legittimate come costanti dell’azione di governo nella pubblica amministrazione. in mezzo a questi due provvedimenti si collocano:  legge 241, del ’90, che pone la comunicazione al servizio dei principi di trasparenza e di accesso, decreto legislativo 29 del 1993, con la nascita degli Urp, gli Uffici per la relazione con il pubblico legge 59 e 127 del 1997, leggi con le quali si stabilisce che la comunicazione accompagna i processi di semplificazione e snellimento dell’attività  amministrativa, non vi annoierò con altri numeri: era solo il modo per dire come siamo davanti a un quadro normativo molto complesso, e che si può riassumere in questo: l’evoluzione della comunicazione istituzionale ha accompagnato nell’ultimo decennio la riforma della nostra amministrazione pubblica. in altre parole comunicare bene non è stato più un fattore di abbellimento dell’amministrazione, ma uno dei suoi tratti peculiari. la vera novità  è in amministrazioni che attraverso questi e altri strumenti si riorganizzano secondo una logica diversa e sulla base di una concezione originale dei diritti del cittadino. la comunicazione, dunque, non è più solo lo strumento per condurre la propria propaganda o per informare l’opinione pubblica: – è parte di un modo diverso di organizzare gli apparati, semplificare le procedure, migliorare la qualità  e l’efficienza delle prestazioni. la differenza non è da poco: l’amministrazione che ‘dirige’ infatti si muove in un ambito di ordini, direttive, imposizioni. viceversa, l’amministrazione che ‘comunica’ sviluppa informazioni, spiegazioni, collaborazioni sono le relazioni verso l’esterno che cambiano ma anche le procedure interne per certi versi è la più clamorosa rivoluzione del modo d’essere e di pensare che sia possibile mettere in atto come capite tra le due dimensioni corre una bella differenza: è il passaggio da una comunicazione pensata per ‘abbellire’ l’amministrazione a una comunicazione vissuta come condizione di un nuovo rapporto tra lo Stato, la sfera pubblica e i cittadini. l’argomento richiederebbe una relazione e un seminario a sé: nel nostro caso la digressione serve a introdurre un dibattito che è aperto e che riguarda i confini attuali della comunicazione pubblica. il tema è: quale distinzione esista (e se c’è davvero una distinzione netta) tra quella che definiamo ‘comunicazione politica’ e la dimensione della ‘comunicazione istituzionale’?
S
tudiosi molto seri (come, tra gli altri, Stefano Rolando) ritengono che vada rivista la distinzione più classica tra le diverse forme di comunicazione (quella politica, quella istituzionale e addirittura quella d’impresa o commerciale) e parlano a questo proposito di una nuova identità  della comunicazione pubblica diciamo che tra le diverse forme di comunicazione che abbiamo appena citato si sarebbe sviluppato un flusso di scambi tale da condizionarne l’offerta. in altre parole non saremmo più alle prese con ambiti definiti e circoscritti (una comunicazione politica nettamente separata dalla comunicazione istituzionale o addirittura commerciale.ci sarebbero invece delle continue frammistioni di genere, di linguaggio, di funzione.). Vi faccio un esempio: McDonald’s è uno dei brand più esposti nella polemica durissima di un certo antiglobalismo rivolto contro l’economia del logo pochi mesi fa, la catena ha pubblicato una campagna di pagine a pagamento sui principali quotidiani, sponsorizzando (con quel marchio) un’iniziativa di lotta alla fame e alla povertà  nel Terzo mondo si e trattato di un riflesso, una risposta nei confronti di un contesto politico (la critica al brand) ed era, per ovvie ragioni, una pubblicità  classica ma con un contenuto pubblico. Ora, su questo aspetto ritorneremo tra poco. Cerchiamo prima però di ripercorrere, molto rapidamente, l’evoluzione della disciplina. Come abbiamo detto la materia ha una determinazione ampia..è come se fosse dal punto di vista scientifico un intreccio di discipline diverse (filosofia, storia delle dottrine politiche, diritto pubblico e amministrativo, sociologia dei processi identitari, e ovviamente teoria dei media e del marketing) non a caso si può discutere sullo stesso atto di nascita del concetto: da quando cioè si può parlare di una comunicazione pubblica?
Paolo Mancini (1996) ne fa discendere l’origine dall’avvento della democrazia parlamentare con la decentralizzazione di compiti e funzioni ‘prima assorbiti nella figura del sovrano assoluto’. questa, per la verità , è una definizione che presuppone l’avvento di attori particolari come sono l’opinione pubblica e la cosiddetta società  civile si potrebbe obiettare però che già  con Hegel la società  civile viene separata nettamene dallo Stato e che si afferma la necessità  di un’azione comunicativa del secondo verso la prima…. C’è, da questo punto di vista, un passo molto bello di Hegel che colpisce per l’attualità : sospendere le leggi così in alto che nessun cittadino le possa leggere o altrimenti nasconderle nel prolisso apparato di libri dotti di consuetudini .e ancora, per di più, in un linguaggio strano, sì che la conoscenza del diritto vigente sia accessibile soltanto a coloro che si sono addottrinati in esso, è solo un medesimo torto’ per usare una sintesi felice potremmo dire così: – ‘la comunicazione pubblica (e al suo interno la comunicazione politica) nella sua attuale configurazione nasce nell’alveo di concetti e pratiche (opinione pubblica, società  civile, pubblicità ) legate a una società  che rivendica una propria rappresentanza e la dignità  di interlocutore e controllore dei processi decisionali’ che è un modo per ricondurre il tema a un riferimento specifico: la trasformazione del rapporto tra politica, istituzioni e società  civile se immaginiamo uno schema di questa mediazione (tra sfera pubblica e società  civile intendo), è necessario distinguere tra l’area dove agiscono legittimi interessi economici e quella dove prevalgono invece principi di interesse generale la distinzione sarà  dunque tra: un’area di mercato che comprenderà : – le forme di comunicazione legate a particolari interessi socio-economici – il sistema dei media – la comunicazione d’impresa e un’area di pubblica utilità  nella quale rientreranno a pieno titolo: – la comunicazione politica, quella dei soggetti definiti dall’articolo 49 della Costituzione (articolo che recita ‘tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale’), – la comunicazione istituzionale, quella che si origina dalla responsabilità  della pubblica amministrazione di sviluppare prestazioni indirizzate al cittadino, – la comunicazione sociale, quella di soggetti associativi caratterizzati dalla rappresentanza di valori-diritti nella comunicazione, con l’avvertenza (probabilmente superflua) che le contaminazioni o sovrapposizioni tra questi ambiti sono molto frequenti soprattutto in una situazione come la nostra che vede soggetti diversi impegnati contemporaneamente su più di uno dei fronti indicati diciamo che già  questa impostazione mette in luce alcuni aspetti della grande anomalia italiana degli anni ’90, rappresentata da Berlusconi e dal connubio tra l’impresa di famiglia e il movimento politico da egli fondato questo è un punto sul quale torneremo, ma si può dire da subito che non sempre, come abbiamo accennato, è così semplice individuare l’esatta linea di separazione tra la comunicazione politica e quella istituzionale ora però, concentriamoci sulla comunicazione politica e vediamo quale evoluzione ha vissuto la materia in termini generali Io vi proporrei lo schema, ripreso recentemente da Sara Bentivegna (2002), ed elaborato da studiosi autorevoli (come Blumler e più recentemente Norris) fondato su tre fasi distinte e successive – una prima: che viene fatta risalire all’esistenza di un partito forte, organizzato e presente sul territorio – una seconda che è caratterizzata dall’uso sempre più intensivo di professionisti della politica e della comunicazione – e infine una terza (l’attuale) contrassegnata dall’accesso sempre più massiccio alle tecniche del marketing e alla segmentazione dell’elettorato chiameremo le campagne della prima fase: campagne elettorali pre-moderne (e sono le campagne che occupano il periodo che va dall’inizio del secolo scorso fino circa agli anni ’50 se parliamo dell’Italia questa fase si prolunga fino alla fine degli anni ’70) queste campagne si fondano sull’organizzazione elettorale decentralizzata e basata sul lavoro dei militanti distribuiti sul territorio parliamo quindi di comizi, incontri con i candidati, assemblee, tour elettorali.
La caratteristica è la centralità  del partito nel pianificare e realizzare le diverse attività  della campagna elettorale; c’è il partito, ci sono i suoi candidati non esiste altro  Tutto questo si traduce in costi molto bassi e concentrati esclusivamente nel periodo elettorale dal momento che l’organizzazione si mobilita e copre essenzialmente il periodo della campagna In breve, le campagne pre-moderne possono essere brevi, economiche e largamente centrate sul lavoro dei militanti in virtù del tradizionale partito di massa.
Il tutto in una cornice mediatica che sostanzialmente si esauriva nella radio e nella televisione. Per usare le parole di Norris, possiamo dire che: ‘se gli elettori erano fortemente stabilizzati, la funzione principale delle organizzazioni di partito era esclusivamente quella di motivare e mobilitare le tradizionali basi elettorali’ quindi una campagna mirata a rafforzare piuttosto che convincere Ora, se riferiamo la dimensione delle campagne pre-moderne al concreto caso italiano, abbiamo una scansione storica abbastanza obbligata e articolata in tre fasi fondamentali (l’Italia liberale, quella fascista, e la stagione repubblicana) è del tutto evidente che quando il consenso da controllare era più limitato/omogeneo (e dunque il corpo elettorale più ristretto) anche i mezzi per comunicare si adattavano a quel contesto: (per capirci, nell’Italia post-unitaria con meno di tre milioni di aventi diritto al voto le esigenze della comunicazione erano diverse e prevaleva un classico modello notabilare) l’allargarsi della platea degli elettori sino al suffragio universale maschile e femminile ha determinato un’attenzione progressiva a questa dimensione il fascismo, come è noto, aveva introdotto una propria modalità  di comunicazione: anzi è forse su questo versante che si misura una delle differenze fondamentali con lo Stato liberale durante il ventennio per la prima volta la comunicazione non è rivolta solo alle élites ma al popolo. diciamo che il fascismo, come è stato scritto, capisce ‘la natura creatrice di ogni atto comunicativo’ (la radio, il cinema, la retorica. anche se privilegia una particolare concezione cara a Mussolini, l’idea della folla come donna da sedurre) c’è una frase famosa di Mussolini, ‘I capi devono essere degli uomini e la folla resta essenzialmente una donna, impressionabile e avida di spettacoli che lusinghino la vista con la fine del fascismo e la nascita della Repubblica si spezza una linea di continuità  tra lo Stato liberale e lo Stato fascista: era stata una continuità  tra i due sistemi che inquadravano entrambi il tema della libertà  nella politica e nello Stato anziché nella persona, nell’individuo questa inversione – dalla centralità  dello Stato alla centralità  dell’individuo – viene introdotta con la Carta costituzionale: e precisamente all’articolo 2 dove si dice che: – ‘La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità , e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà  politica, economica e sociale’ diciamo che simbolicamente, ma non solo, la comunicazione pubblica acquista senso in quel passaggio, quando si ridefinisce il rapporto tra istituzioni e società siamo davvero agli albori, anzi questa lettura è probabilmente figlia di una forzatura interpretativa successiva, come sembrerebbe confermare il fatto che nonostante l’articolo 2, all’articolo 21 (quello che tratta del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione) non si fa menzione al diritto all’informazione attenzione però: il mancato sviluppo e la debole attenzione alla sfera della comunicazione non sono all’epoca né saranno nei decenni successivi imputabili esclusivamente a un ritardo giuridico o culturale la causa centrale di questo ritardo va cercata nella natura e nella forma dell’amministrazione pubblica: sul piano amministrativo la continuità  tra Stato liberale e fascismo (entrambe avevano ereditato il modello napoleonico) prosegue anche in era repubblicana insomma per una lunghissima fase e attraverso stagioni politiche diverse l’amministrazione è stata il trait d’union tra Stato e cittadini in una logica fortemente piramidale addirittura – secondo alcuni – l’amministrazione pubblica è stata un agente di italianità , ha supplito a una debole coesione nazionale a un’identità  fragile (sull’argomento esiste una letteratura ormai vastissima.) diciamo che il nostro dramma per molti versi è stato nel ricreare la dimensione della grande amministrazione francese o tedesca, cioè l’apparato massiccio dello Stato ma senza lo Stato. in questo contesto il cittadino per decenni ha contato pochissimo e la comunicazione, anche per questo, non aveva gran senso diciamo che a lungo è rimasta orfana di una propria funzione, e persino di una sua specifica vocazione naturalmente la coesione del paese, e la sua stessa identità , non rimasero orfane per questa assenza di comunicazione pubblica (nel senso che diamo oggi al termine), semplicemente furono altri agenti politici e sociali a creare – anche attraverso un’opera intensa di comunicazione e formazione civica – la struttura del paese e la sua costituzione materiale  in particolare furono il sistema dei partiti e le grandi culture politiche a svolgere in quel passaggio un ruolo decisivo .e dunque possiamo dire che per lungo tempo, la comunicazione politica ha esercitato una funzione dominante anche in rapporto a una comunicazione istituzionale che non trovava giustificazione, se non in ambiti molto limitati . ora, questo riferimento ai partiti torna utile in una chiave particolare .nel senso che ci introduce alla seconda dimensione che dicevamo, e che possiamo definire con l’espressione di campagne moderne  cosa succede? In primo luogo, la campagna elettorale allunga i suoi tempi (andando oltre la fase limitata dell’ultimo mese precedente il voto, e dura un intero anno). Organizzazione e gestione della campagna vengono centralizzate a livello nazionale, coinvolgendo un numero qualificato di consulenti politici (cioè, in altre parole, la politica non è più autosufficiente e altre figure intervengono a condizionare, pianificare, programmare l’attività  elettorale delle singole forze e dei singoli candidati) Ora, qui c’è una novità  di rilevo: ed è legata a questo aspetto il Novecento – come abbiamo visto – è il secolo che ha visto grandi movimenti politici, spesso espressione di potenti ideologie, dare vita al moderno partito di massa. le grandi narrazioni collettive.. diciamo che il partito di massa (la scoperta della partecipazione organizzata di milioni di persone alla vita politica) è la risposta che il movimento operaio e socialista individua per contrastare il potere finanziario dell’avversario ‘di classe’. quell’avversario che di volta in volta poteva coincidere con la nobiltà , l’aristocrazia, la nuova borghesia produttiva. uso una sintesi rozza: di fronte a un potere che disponeva di ingenti risorse finanziarie, la sinistra (e più tardi anche altre tradizioni) investono sulla sola vera risorsa a loro disposizione che è rappresentata dalle persone in carne e ossa, da lì in avanti battezzate come militanti. il partito di massa – questo mi preme sottolineare – non risponde solo a una vocazione pedagogica di quelle ideologie né a una forma di assistenza corporativa, di mutuo soccorso .è anche l’intuizione che regge (e reggerà  a lungo) un formidabile sistema di percezione dell’umore sociale, di comunicazione e di costruzione e controllo del consenso. diciamo pure che il ‘partito di massa’ è stato per decenni la Doxa o l’Abacus delle grandi culture collettive ora, perché questo aspetto, e questa ricostruzione, hanno un particolare interesse dentro il nostro ragionamento? perché a partire dagli anni ’50 negli Usa e dagli anni ’80 per noi, interviene una novità  che viene a incrinare questo modello: la novità  è la sperimentazione di forme di comunicazione centralizzata e l’uso intensivo e pianificato di strumenti e metodologie di controllo sull’opinione pubblica (in termini di aspettative, fiducia, orientamenti) quello che affiora, in altre parole, è un diverso possibile processo di acquisizione del consenso accade più o meno questo: la comunicazione acquista una rilevanza via via superiore ma soprattutto si affermano tecniche e metodologie diverse. facciamo degli esempi: – l’uso intensivo dei sondaggi, – l’analisi qualitativa dei comportamenti elettorali, – i focus group, – il monitoraggio degli orientamenti valoriali, – la comunicazione segmentata, – l’uso di tecniche di comunicazione diretta che cosa contraddistingue queste diverse tecniche di comunicazione? senza dubbio una certa precisione e affidabilità  dei risultati che consentono di raggiungere (solo per fare un esempio, come sapete bene, intrecciando una sequenza di rilevazioni con dei focus group voi potete individuare i punti di forza e di sofferenza di un candidato in un collegio o di un aspirante sindaco e potete anche scavare in profondità capire in quali quartieri e presso quali insediamenti sociali o categorie professionali o generazioni diverse quel candidato è più o meno appetibile) bene, ma oltre a questi aspetti ciò che contraddistingue tutte queste tecniche è il fatto di richiedere un basso investimento dal punto di vista delle risorse umane (non servono molti militanti per realizzarle) mentre invece è necessario un investimento elevatissimo in termini di risorse finanziarie (sono tutte metodologie assai costose; per fare un buon sondaggio servono almeno 4 o 5 mila euro.) questa è una delle principale novità  con cui è chiamata a misurarsi la comunicazione politica novità  significativa al punto da far dire ad alcuni che mentre la rivoluzione organizzativa è stato lo strumento che ha consentito alle grandi culture popolari per quasi tutto il Novecento di competere da posizioni a volte persino vantaggiose nella lotta per la conquista del consenso, la rivoluzione comunicativa che accompagna gli ultimi due decenni sarebbe, per definizione, appannaggio dei soggetti economicamente forti, coronando in questo modo la sconfitta delle ideologie e la crisi dei partiti fondati sulla partecipazione diffusa.. in questa lettura c’è un fondo di verità  (i soldi non danno la felicità  ma certamente aiutano) e un limite di strategia (chi può negare la percorribilità  di una linea di ricerca che coniughi in forma originale l’organizzazione politica tradizionale e la modernità  delle tecniche di persuasione?) a noi però interessa soprattutto un altro aspetto: come questo processo impatta la vera novità  della competizione politica contemporanea rappresentata dalla personalizzazione del confronto e della lotta per il consenso per adesso limitiamoci a due domande: è vero o no, come sostiene Mauro Calise, che stiamo assistendo a un ritorno del potere patrimoniale e carismatico ai danni di quello legale-razionale sul quale si erano fondate le burocrazie di partito? Cioè è giusto dire che contano sempre di più nella politica, le caratteristiche personali (la biografia, l’immagine, il reddito e la ricchezza.) al posto della più tradizionale appartenenza ideologica o di partito? In parte, certamente è così e ancora: i partiti che hanno visto erosa la loro forza di rappresentanza sociale hanno davvero supplito a questo (all’antico legame sociale) con un rapporto di tipo individuale (la fiducia nel leader)? E qui la discussione sarebbe più lunga ora, la personalizzazione della politica non è solo il risultato di una diversa funzione e potere dei media, né per quanto ci riguarda l’effetto esclusivo del passaggio da un sistema proporzionale a un sistema prevalentemente maggioritario (aspetto questo che pure ha avuto un peso) bisogna allargare lo sguardo e vedere la diversa relazione tra i partiti e le ‘grandi fratture’ (l’espressione è ancora di Mauro Calise) che hanno favorito il loro radicamento nelle democrazie contemporanee (industrializzazione, urbanesimo, secolarizzazione, centralizzazione statale).diciamo che i partiti per un verso hanno rappresentato interessi sociali e di classe definiti dentro queste fratture, per l’altro operato nelle istituzioni mediando costantemente con altri interessi (e altri soggetti politici) l’effetto, secondo una formula che ha raccolto un certo successo (Katz e Mair) è che oggi i partiti sono, a molti effetti, lo Stato, cioè coincidono largamente con esso ed è questa la ragione per cui i nuovi professionisti della politica si specializzano dentro le istituzioni. una delle conseguenze di questo processo è che il professionismo politico è molto più statale che partitico (e questo aspetto come è evidente condiziona molto il nesso tra comunicazione istituzionale e comunicazione politica)
Ricapitolando: una super-professionalizzazione istituzionale (e per un altro verso le regole del finanziamento pubblico alla politica) sono le principali conseguenze di una statalizzazione dei partiti e sono anche le due condizioni che consentono ai partiti di sopravvivere nonostante un allentamento dei loro legami sociali diciamo poi che una personalizzazione della leadership è indotta da fattori oggettivi (l’evoluzione della società , la crisi di rappresentanza sociale dei partiti, le nuove potenzialità  dei media, le regole elettorali) più che da una consapevole cultura politica di questo segno. anzi è giusto, in questo senso, ricordare come la vicenda storica europea per lungo tempo aveva cancellato l’idea del capo politico carismatico, l’interprete soggettivo dell’ansia di trasformazione e lo aveva fatto non a caso ma dopo che questa scommessa weberiana era naufragata, con i costi che conoscete, ‘nelle tragedie del nazismo e dello stalinismo’ fu anche per questo che nell’immediato dopoguerra nel ridisegnare gli assetti costituzionali europei ci si tenne ben lontani dal presidenzialismo .quello era il modo per contrastare l’incubo del plebiscitarismo totalitario solo dopo diversi decenni si spezza questo tabù: per l’Europa c’è un caso emblematico; è il new labour di Tony Blair nel 1993 i laburisti inglesi sono al minimo storico, alle elezioni avevano raccolto il 28 per cento dei voti….per loro il peggiore risultato di tutto il ˜900 (senza dire che alle spalle avevano già  14 anni di Thatcherismo): bene, la rimonta che da lì prende le mosse si fonda su una convinzione e su un piano che si possono riassumere in questo: la centralizzazione strategica delle funzioni di comunicazione del partito, affidate a un nutrito staff di professionisti e imperniato sulla valorizzazione del leader la rottura sarà  decisiva per molte ragioni: a noi interessa un punto per la prima volta questa strategia contribuirà  a plasmare il programma del partito la stessa comunicazione non sarà  declinata nei termini tradizionali della ‘vendita’ di un prodotto politico ma in quelli originali della partecipazione a definirlo cioè si afferma un’idea assolutamente originale: ‘promuovere il partito nella forma del leader’, utilizzando la personalizzazione che domina la scena elettorale moderna come strumento per ridare coerenza e unità  di programma a tutta l’organizzazione politica. Naturalmente ci sono dinamiche che hanno contrassegnato con alcune specificità  un processo di personalizzazione della politica anche in Italia (paese dove – lo dico per inciso – l’idea di un premier debole e di un Esecutivo regolato nei suoi poteri e fortemente bilanciato dal Parlamento ha avuto vita lunghissima) Il nostro problema è misurare l’intensità  e le modalità  delle ricadute che il nuovo scenario descritto ha avuto e continua ad avere sul nostro sistema politico e istituzionale. E arriviamo così al terzo tipo di campagna elettorale: quella che chiameremo campagna post-moderna Ora, qual è la novità  di fondo in questo genere di campagna: sostanzialmente di recuperare alcune delle forme comunicative decentrate (tipiche della prima forma di campagna elettorale..) e basate però questa volta sull’interattività. Diciamo così: la campagna post moderna condivide con quella che l’ha preceduta la trasformazione del partito di massa, il ridimensionamento dell’elettorato di appartenenza, la crescita dell’elettorato mobile o fluttuante, il ricorso ai consulenti politici e l’adozione delle tecniche del marketing. Ma ci sono anche alcune novità  fondamentali: – le campagne diventano permanenti, vale a dire che non si esauriscono in dodici mesi ma sono permanent campaign – impongono costi elevati alle organizzazioni partitiche e una diversa organizzazione del lavoro (vedi new labour) – con le campagne pre moderne condividono il ritorno alla centralità  del rapporto diretto (sia pure in un’accezione diversa) con il singolo elettore (new tecnologies) In breve la chiave è mettere in relazione gli individui, professionalizzare le tecniche, personalizzare l’offerta comunicativa. A questo livello il partito riformista (per come arriva a questo appuntamento, e cioè pure con tutti i suoi acciacchi) ha delle chanches da spendere. Coniugare partecipazione diffusa, radicamento territoriale e organizzazione e accesso alle tecniche Ma si apre, a questo punto, una riflessione di carattere operativo che sarà  necessario, anche per ragioni di tempo, rinviare ad altra sede.
 
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