Giampiero Spagnolo (16 novembre 2014)
Se ne andato – dopo tribolazioni di salute ma con speranze di uscire indenne dall’ospedale di Varese dove era in osservazione – il mio amico (da 50 anni!) Giampiero Spagnolo, architetto, marito di Paola Acht e padre di Francesco e Valentina Spagnolo. Una sorta di famiglia allargata.
Lo ricordo qui con una sua pagina di ricordi. Scritta in onore di Sandro Pertini con memorie e spunti della “milanesità” di Sandro Pertini, cose che hanno fatto parte della nostra vita.
‘Il mio amico Sandro’ – Ritratto privato di uomini di altri tempi: Pertini, settimo Presidente della Repubblica, nonno degli italiani
Giornale Sentire
25 aprile 2008 – Omaggio a Sandro Pertini
‘Il mio amico Sandro’ – Ritratto privato di uomini di altri tempi: Pertini, settimo Presidente della Repubblica, nonno degli italiani
di GIAMPIERO SPAGNOLO
Conobbi i Pertini nel 1965 frequentando quella che sarebbe diventata mia moglie. Mio suocero aveva ottenuto grazie a lui la cittadinanza italiana, rientrando in Italia dalla Svizzera, dove era dovuto riparare a seguito delle leggi razziali fasciste (essendo un ebreo nato a Leopoli e in Italia da apolide). Sandro, all’epoca già parlamentare del Psi, non faceva piaceri e non raccomandava nessuno, ma si prese a cuore la vicenda su richiesta della moglie Carla, amica di mia suocera.
Quando la cittadinanza arrivò fu festa grande. Da allora i Pertini e i miei suoceri si ritrovarono ad ogni vigilia di Natale, così presero a ben volere anche me che frequentavo la casa. Sandro e Carla erano una ”strana coppia”. Anzitutto per la differenza di età (c’erano 24 anni tra loro) e ”strana” anche per la continua discussione e apertura mentale, la profonda cultura e il fare anticonformista che colpiva chiunque.
Burbero, lo sentii dire che la politica era cosa difficile. Non voleva dissuadere, ma sottolineare l’importanza del ‘fare’ politica. Allora la voce tuonava, pur in un fisico minuto, e diventava asserzione assoluta.
Nel 1978 in luglio fu eletto Presidente della Repubblica. Passammo da Roma e Sandro ci accolse nella comoda poltrona del sottotetto riattato a studio da Carla, che da valente giornalista parlamentare si era dignitosamente dimessa per dedicarsi – con la sua laurea in psicologia – ai tossicodipendenti. In Piazza Trevi si riservò un sottotetto tutto pieno di variazioni di quota e travi a vista. La veduta sulla piazza era possibile tramite piccole ed alte finestre: dovevo stare in punta di piedi e credo che anche Sandro non sia mai stato in grado di vedere la piazza e la fontana, data la piccola statura fisica.
Lo trovammo in poltrona, con la pipa in bocca, sommerso di carte, buste e documenti che un messo del Quirinale continuava a portargli. Smise subito di guardare le carte e ci accolse. Carla ci portò nel piccolo bagno, ricavato in un angolo del sottotetto. Aprì il finestrino: ”Ecco dov’è per me il Quirinale” disse indicando la torretta con la bandiera italiana. ”Da qui lo voglio vedere”. Su un piccolo terrazzino, accessibile da una scaletta, c’era la cyclette con la quale il Presidente manteneva attivo l’esile fisico.
Lo ricordo come persona carica di spiritualità, dallo sguardo limpido e dal carattere forte, capace di collera (sempre ben motivata), ma pieno di umana dolcezza e comprensione.
Quando i miei figli intonarono ”monsieur le president” in cui un giovane chiede al suo presidente di non essere chiamato alle armi, Sandro mostrò di gradire, ma poi disse: ”…non sono e non sarò mai un presidente che chiama nessuno alla guerra. Io l’ho provata: quella mondiale e quella civile, ben peggiore. Non l’auspico e non l’auspicherò mai per nessuno”.
Nel Natale 1984 Sandro non era più presidente e venne a Milano a trovarci, Non aveva più la scorta, ma il Comune assegnò un agente di polizia municipale per ogni esigenza. Ma Sandro gli chiese se non avesse altro da fare. Arrossendo l’agente rispose che quel giorno avrebbe dovuto portare il figlio alla partita di calcio. Da nonno affettuoso lo rassicurò: non si sarebbe spostato e lo congedò. L’agente se ne andò tranquillo.
L’agente era appena uscito, che Pertini chiese di andare alla Rinascente: voleva fare dei regali. Come potevo dirgli di no? Arrivati in centro, feci sbarcare Sandro e figli e cercai posteggio poi trafelato giunsi alla Rinascente: la ressa era già totale. Faticai a convincere il capo della sorveglianza che dovevo raggiungere Pertini e dopo aver fornito molti dettagli fui fatto passare. La gente di voce in voce diceva: ”c’è’ Pertini! C’e’ Pertini” e la calca si dirigeva verso Sandro scortato da agenti della security interna. Tutti volevano salutarlo.
Finiti gli acquisti Sandro disse: ”Ora voglio una cioccolata da Motta”. Pochi passi tra i portici della Rinascente e la Galleria che furono una lotta indescrivibile per arginare la folla: chi voleva salutare il nonno di stato, chi lo tirava per la manica o lo abbracciava. ”Bravo Sandro, sei tutti noi” gridò qualcuno. Sandro se la godeva con un sorriso smagliante, come un ragazzino felice di aver fatto una marachella tra cioccolata e abbracci dei clienti e il direttore che – fatta la riverenza – chiedeva il permesso di far avvicinare le commesse.
A casa intanto era tornato dalla partita l’agente. Terreo in volto non aveva trovato dove l’aveva lasciato il personaggio di cui doveva prendersi cura. Sandro lo rassicurò: ”Dirò che non mi avete mai perduto di vista”. L’ultimo ricordo è del settembre 1989. Pranzammo in una trattoria romana, Sandro era stanco e magrissimo. Sceso in piazza Trevi, una gran folla si era raccolta intorno. Il pranzo fu sobrio: chiese prosciutto crudo, quattro mazzancolle lessate, un ciuffo di insalata e l’immancabile zolletta di zucchero imbevuta di gocce di grappa. ”Oggi pago io” lo implorai e lui mi apostrofò. ”Zitto moccioso, paga il presidente e non mi irritare più”. Non ho più avuto, da allora, la gioia di irritarlo.
Fonte: http://giornalesentire.it/