Fisco Oggi: alla ricerca della compliance (sintesi del convegno di Bologna) 18 nov 2011
Fisco Oggi
Venerdì 18 novembre 2011
Alla ricerca della compliance:le strategie per incrementarla
Dal contrasto all’evasione all’adempimento spontaneo, un approfondimento all’insegna di un approccio multidisciplinare che supera la limitata dimensione economico-giuridica
Pierluigi De Rosa
Cooperazione, fiducia, efficienza, territorio. Queste le parole-chiave della compliance emerse nel convegno organizzato dall’Agenzia delle Entrate Emilia-Romagna, in collaborazione con l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Bologna e con l’Università del capoluogo emiliano, dal titolo Il fattore Compliance: dal contrasto all’evasione all’adempimento spontaneo.
Il convegno, tenuto il 15 novembre a Bologna, ha riunito studiosi della materia e addetti ai lavori, con l’obiettivo di inquadrare il fenomeno dell’evasione fiscale all’interno della cornice più generale del rapporto tra cittadino-contribuente e Stato. Due gli elementi di novità: da un lato, l’adozione di un approccio multi-disciplinare che supera la dimensione prettamente economico-giuridica e ingloba punti di vista differenti, dall’economia sociale alla statistica, dalla sociologia alla giurisprudenza; dall’altro, l’emersione del “lato nascosto della luna”, quel fattore Compliance che resta talvolta in ombra rispetto all’azione di deterrenza. Quali sono, dunque, le nuove strade della compliance? Per cominciare, le policy delle amministrazioni fiscali dovrebbero basarsi su un approccio multidimensionale e diversificato in funzione del contesto e della tipologia di contribuente: è questa la chiave di lettura proposta da Jonathan Pemberton, vice direttore del dipartimento per la Cooperazione internazionale e l’Amministrazione fiscale dell’Ocse. L’Amministrazione fiscale deve agire non tanto sulle conseguenze (l’evasione fiscale), quanto sulle cause che determinano il fenomeno evasivo, in un’ottica di prevenzione più che di repressione. L’idea-guida è semplice: le azioni di chi impone la norma devono essere calibrate sulle attitudini di chi è soggetto alla stessa norma. Nella visione di Pemberton la politica del bastone e della carota si traduce nell’agevolare il più possibile l’adempimento (per chi è propenso a pagare) e nel sanzionare chi invece si sottrae deliberatamente ai doveri fiscali. Un significativo punto di svolta, a questo proposito, è suggerito da Marco Di Capua, direttore vicario dell’Agenzia delle Entrate, che nel suo intervento ha individuato proprio nella compliance il punto di arrivo dell’azione amministrativa. Le attività di controllo, così come i servizi di assistenza e informazione, si risolvono nel comune obiettivo di favorire l’adempimento spontaneo, secondo la dottrina della spinta gentile teorizzata da Richard Thaler e Cass Sunstein: l’atteggiamento persuasivo, da buon padre, di un’amministrazione che non si limita a sanzionare gli evasori ma si sforza di rendere più facile, più easy, il pagamento delle tasse. Da questo approccio deriva l’attenzione crescente che l’Agenzia delle Entrate riserva alla dimensione qualitativa della propria azione, attraverso l’implementazione nel sistema gestionale di “indicatori di governance” in grado di mostrare l’impatto delle attività di assistenza e di contrasto all’evasione sui comportamenti dei contribuenti. Alla base di questa nuova architettura della compliance, conclude Di Capua, non può che esserci la conoscenza: conoscenza del territorio, del tessuto economico, sociale e culturale, delle diverse tipologie di contribuenti, elementi che rendono possibile calibrare l’azione amministrativa in funzione di dinamiche e destinatari specifici. Intorno a questo fulcro ha ruotato l’intervento di Enrico Giovannini, presidente dell’Istat e coordinatore del gruppo di lavoro per la riforma fiscale “Economia non osservata e flussi finanziari”, che pur riconoscendo i notevoli progressi dell’Agenzia nella “messa a sistema” di informazioni e strumenti, ha sottolineato l’assenza di una quantificazione unitaria dell’evasione fiscale in Italia, suggerendo, sul modello dell’Amministrazione fiscale inglese, la pubblicazione di un rapporto annuale sull’evasione fiscale, a cura del Mef, in cui siano forniti i dati su ampiezza e diffusione del fenomeno, insieme alle strategie e ai risultati dell’azione di contrasto. Ulteriori volani della compliance, secondo Giovannini, sono individuabili nella razionalizzazione e stabilizzazione normativa, nella condivisione metodologica di alcuni strumenti di controllo (studi di settore e redditometro in primis), nella pubblicità dei redditi e in una comunicazione maggiormente orientata a enfatizzare il ruolo dei contribuenti onesti rispetto alla stigmatizzazione degli evasori. Proprio il contribuente virtuoso è per Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica e presidente dell’Agenzia per il Terzo settore, l’antidoto più efficace all’evasione fiscale, il più fedele alleato nella lotta all’illegalità. Oltre una certa soglia, afferma Zamagni, la leva della deterrenza non produce effetti, anzi rischia di minare anche la lealtà dei contribuenti onesti. Occorre quindi, più che sanzionare i reprobi, premiare i virtuosi e così consolidare il legame fiduciario tra Stato e contribuente, innescando una spirale positiva tra gli stessi contribuenti. È, infatti, la fiducia l’elemento-chiave del prelievo tributario, ed è l’assenza di fiducia uno dei principali fattori alla base del fenomeno evasivo, sintomatico di una crisi di credibilità delle istituzioni. Questo concetto di compliance multidimensionale trova consistenti evidenze empiriche nell’intervento di Sauro Mocetti, ricercatore della Banca d’Italia. L’esistenza di comportamenti diversi, da parte dei contribuenti con caratteristiche simili, all’interno di uno stesso sistema fiscale indica che c’è qualcosa oltre la semplice dimensione economico-utilitaristica. Questo “qualcosa” è la tax morale (lealtà fiscale), vale a dire la propensione individuale a pagare le tasse in funzione non solo delle variabili socio-demografiche, ma anche del proprio rapporto con le istituzioni, un rapporto che è misurato dai ricercatori attraverso la qualità dei servizi pubblici erogati. Nella ricerca, dal titolo Tax morale and public spendig inefficiency, emerge infatti una correlazione empirica tra lealtà fiscale e qualità della spesa pubblica: più è alto il livello di spesa e l’efficienza dei servizi pubblici, maggiore è la fedeltà fiscale dei contribuenti. La legittimazione del prelievo tributario e una più solida relazione fiduciaria tra amministrazione pubblica e contribuente costituiscono gli ingredienti per la crescita della cultura fiscale secondo Silvia Giannini, ordinario di Scienza delle Finanze e vice sindaco di Bologna. Il “laboratorio” in cui è possibile sperimentare forme più avanzate di cooperazione fiscale è il territorio, l’ambito di intervento delle amministrazioni locali, più vicine al cittadino rispetto agli organi statali ma anche strutturalmente più votate alla rendicontazione. A livello locale, infatti, il legame tra prelievo tributario da un lato, efficacia ed efficienza dell’intervento pubblico dall’altro, è più facilmente visibile e “spiegabile” ai cittadini-contribuenti, che possono vedere tradotte le imposte versate in beni e servizi di pubblica utilità. Una versione sperimentale di questo modello di governance locale, illustrata da Antonino Gentile, direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate Emilia-Romagna, può essere rintracciata nella partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento, che vanta nella regione l’esperienza-pilota nel panorama italiano. Le 13mila segnalazioni trasmesse dai Comuni all’Agenzia, gli oltre 20 milioni di euro di maggiore imposta accertata e i 9 milioni già riscossi testimoniano il successo di una collaborazione che, sottolinea Gentile, agisce su diversi driver che influenzano l’adempimento: da una parte favorisce l’effetto deterrenza e riduce le opportunità di evasione, dall’altra incide sulle norme comportamentali dell’ente locale (attraverso il monitoraggio dei livelli di efficienza) e dei cittadini-contribuenti (attraverso un più pervasivo controllo sociale). Fondamentale, ricorda Gentile, è però la messa a punto di sinergie tra Agenzia delle Entrate e uffici comunali, grazie allo scambio continuo di best practice, strumenti e modalità operative: un percorso comune attraverso il quale la dimensione gestionale della collaborazione va a modellarsi sull’impianto normativo e sulle specificità territoriali. Uno strumento che in prospettiva può rivelarsi strategico da questo punto di vista è il Consiglio tributario, concepito da Gentile come sede istituzionale della governance del processo di partecipazione: un meccanismo di coordinamento che includerebbe i responsabili comunali e gli interlocutori istituzionali (in primis i rappresentanti delle agenzie fiscali), con il compito di indirizzare le attività del Comune verso percorsi di indagine efficaci e proficui. Un tavolo di concertazione di questo tipo potrebbe rappresentare il paradigma di un “patto territoriale per la compliance”, suggerisce Stefano Rolando, docente di Teorie e tecniche della Comunicazione Pubblica. Nel quadro di un progressivo deterioramento del rapporto fiduciario tra Stato e cittadini, il ruolo-principe della comunicazione pubblica è accompagnare e spiegare i processi amministrativi, riunendo nel messaggio comunicativo la dimensione burocratica con quella politica. Ne consegue, per Rolando, un ruolo dell’Agenzia delle Entrate non più confinato all’etichetta di “organo tecnico” ma garante del corretto impiego delle risorse erariali, insieme agli altri soggetti istituzionali che governano il territorio. Come l’Agenzia, anche la Guardia di Finanza svolge, tra gli altri, il compito di dogwatch nei confronti della spesa pubblica. Su questo aspetto si è incentrato l’intervento di Giancarlo Pezzuto, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Bologna, che ha posto l’accento sull’importanza del corretto utilizzo del denaro pubblico (in particolare nel settore della spesa sanitaria e delle prestazioni sociali agevolate) per incentivare l’adempimento spontaneo, in aggiunta all’azione di deterrenza che la Gdf continua a sostenere nei confronti delle frodi nazionali e comunitarie. Per promuovere la lealtà fiscale e, di riflesso, contrastare l’evasione è altrettanto decisivo l’apporto dei professionisti, ai quali è affidato il ruolo di trait d’union tra l’Amministrazione finanziaria e una certa fetta di contribuenti. Affinché questo rapporto sia il più possibile in termini di gettito spontaneo, sottolinea Enrico Zanetti, coordinatore dell’ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, è indispensabile costruire un dialogo costante tra amministrazione e operatori, come avvenuto – in parte, secondo Zanetti – con il nuovo redditometro. Una dimensione collaborativa che è condivisa da Marco Lamandini, ordinario di Diritto commerciale, in riferimento ai rapporti tra grandi imprese e Fisco: il “tutoraggio fiscale” rappresenta in questa ottica una delle possibili chiavi di sviluppo del dialogo tra i poli produttivi e l’Amministrazione finanziaria.
Il convegno, tenuto il 15 novembre a Bologna, ha riunito studiosi della materia e addetti ai lavori, con l’obiettivo di inquadrare il fenomeno dell’evasione fiscale all’interno della cornice più generale del rapporto tra cittadino-contribuente e Stato. Due gli elementi di novità: da un lato, l’adozione di un approccio multi-disciplinare che supera la dimensione prettamente economico-giuridica e ingloba punti di vista differenti, dall’economia sociale alla statistica, dalla sociologia alla giurisprudenza; dall’altro, l’emersione del “lato nascosto della luna”, quel fattore Compliance che resta talvolta in ombra rispetto all’azione di deterrenza. Quali sono, dunque, le nuove strade della compliance? Per cominciare, le policy delle amministrazioni fiscali dovrebbero basarsi su un approccio multidimensionale e diversificato in funzione del contesto e della tipologia di contribuente: è questa la chiave di lettura proposta da Jonathan Pemberton, vice direttore del dipartimento per la Cooperazione internazionale e l’Amministrazione fiscale dell’Ocse. L’Amministrazione fiscale deve agire non tanto sulle conseguenze (l’evasione fiscale), quanto sulle cause che determinano il fenomeno evasivo, in un’ottica di prevenzione più che di repressione. L’idea-guida è semplice: le azioni di chi impone la norma devono essere calibrate sulle attitudini di chi è soggetto alla stessa norma. Nella visione di Pemberton la politica del bastone e della carota si traduce nell’agevolare il più possibile l’adempimento (per chi è propenso a pagare) e nel sanzionare chi invece si sottrae deliberatamente ai doveri fiscali. Un significativo punto di svolta, a questo proposito, è suggerito da Marco Di Capua, direttore vicario dell’Agenzia delle Entrate, che nel suo intervento ha individuato proprio nella compliance il punto di arrivo dell’azione amministrativa. Le attività di controllo, così come i servizi di assistenza e informazione, si risolvono nel comune obiettivo di favorire l’adempimento spontaneo, secondo la dottrina della spinta gentile teorizzata da Richard Thaler e Cass Sunstein: l’atteggiamento persuasivo, da buon padre, di un’amministrazione che non si limita a sanzionare gli evasori ma si sforza di rendere più facile, più easy, il pagamento delle tasse. Da questo approccio deriva l’attenzione crescente che l’Agenzia delle Entrate riserva alla dimensione qualitativa della propria azione, attraverso l’implementazione nel sistema gestionale di “indicatori di governance” in grado di mostrare l’impatto delle attività di assistenza e di contrasto all’evasione sui comportamenti dei contribuenti. Alla base di questa nuova architettura della compliance, conclude Di Capua, non può che esserci la conoscenza: conoscenza del territorio, del tessuto economico, sociale e culturale, delle diverse tipologie di contribuenti, elementi che rendono possibile calibrare l’azione amministrativa in funzione di dinamiche e destinatari specifici. Intorno a questo fulcro ha ruotato l’intervento di Enrico Giovannini, presidente dell’Istat e coordinatore del gruppo di lavoro per la riforma fiscale “Economia non osservata e flussi finanziari”, che pur riconoscendo i notevoli progressi dell’Agenzia nella “messa a sistema” di informazioni e strumenti, ha sottolineato l’assenza di una quantificazione unitaria dell’evasione fiscale in Italia, suggerendo, sul modello dell’Amministrazione fiscale inglese, la pubblicazione di un rapporto annuale sull’evasione fiscale, a cura del Mef, in cui siano forniti i dati su ampiezza e diffusione del fenomeno, insieme alle strategie e ai risultati dell’azione di contrasto. Ulteriori volani della compliance, secondo Giovannini, sono individuabili nella razionalizzazione e stabilizzazione normativa, nella condivisione metodologica di alcuni strumenti di controllo (studi di settore e redditometro in primis), nella pubblicità dei redditi e in una comunicazione maggiormente orientata a enfatizzare il ruolo dei contribuenti onesti rispetto alla stigmatizzazione degli evasori. Proprio il contribuente virtuoso è per Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica e presidente dell’Agenzia per il Terzo settore, l’antidoto più efficace all’evasione fiscale, il più fedele alleato nella lotta all’illegalità. Oltre una certa soglia, afferma Zamagni, la leva della deterrenza non produce effetti, anzi rischia di minare anche la lealtà dei contribuenti onesti. Occorre quindi, più che sanzionare i reprobi, premiare i virtuosi e così consolidare il legame fiduciario tra Stato e contribuente, innescando una spirale positiva tra gli stessi contribuenti. È, infatti, la fiducia l’elemento-chiave del prelievo tributario, ed è l’assenza di fiducia uno dei principali fattori alla base del fenomeno evasivo, sintomatico di una crisi di credibilità delle istituzioni. Questo concetto di compliance multidimensionale trova consistenti evidenze empiriche nell’intervento di Sauro Mocetti, ricercatore della Banca d’Italia. L’esistenza di comportamenti diversi, da parte dei contribuenti con caratteristiche simili, all’interno di uno stesso sistema fiscale indica che c’è qualcosa oltre la semplice dimensione economico-utilitaristica. Questo “qualcosa” è la tax morale (lealtà fiscale), vale a dire la propensione individuale a pagare le tasse in funzione non solo delle variabili socio-demografiche, ma anche del proprio rapporto con le istituzioni, un rapporto che è misurato dai ricercatori attraverso la qualità dei servizi pubblici erogati. Nella ricerca, dal titolo Tax morale and public spendig inefficiency, emerge infatti una correlazione empirica tra lealtà fiscale e qualità della spesa pubblica: più è alto il livello di spesa e l’efficienza dei servizi pubblici, maggiore è la fedeltà fiscale dei contribuenti. La legittimazione del prelievo tributario e una più solida relazione fiduciaria tra amministrazione pubblica e contribuente costituiscono gli ingredienti per la crescita della cultura fiscale secondo Silvia Giannini, ordinario di Scienza delle Finanze e vice sindaco di Bologna. Il “laboratorio” in cui è possibile sperimentare forme più avanzate di cooperazione fiscale è il territorio, l’ambito di intervento delle amministrazioni locali, più vicine al cittadino rispetto agli organi statali ma anche strutturalmente più votate alla rendicontazione. A livello locale, infatti, il legame tra prelievo tributario da un lato, efficacia ed efficienza dell’intervento pubblico dall’altro, è più facilmente visibile e “spiegabile” ai cittadini-contribuenti, che possono vedere tradotte le imposte versate in beni e servizi di pubblica utilità. Una versione sperimentale di questo modello di governance locale, illustrata da Antonino Gentile, direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate Emilia-Romagna, può essere rintracciata nella partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento, che vanta nella regione l’esperienza-pilota nel panorama italiano. Le 13mila segnalazioni trasmesse dai Comuni all’Agenzia, gli oltre 20 milioni di euro di maggiore imposta accertata e i 9 milioni già riscossi testimoniano il successo di una collaborazione che, sottolinea Gentile, agisce su diversi driver che influenzano l’adempimento: da una parte favorisce l’effetto deterrenza e riduce le opportunità di evasione, dall’altra incide sulle norme comportamentali dell’ente locale (attraverso il monitoraggio dei livelli di efficienza) e dei cittadini-contribuenti (attraverso un più pervasivo controllo sociale). Fondamentale, ricorda Gentile, è però la messa a punto di sinergie tra Agenzia delle Entrate e uffici comunali, grazie allo scambio continuo di best practice, strumenti e modalità operative: un percorso comune attraverso il quale la dimensione gestionale della collaborazione va a modellarsi sull’impianto normativo e sulle specificità territoriali. Uno strumento che in prospettiva può rivelarsi strategico da questo punto di vista è il Consiglio tributario, concepito da Gentile come sede istituzionale della governance del processo di partecipazione: un meccanismo di coordinamento che includerebbe i responsabili comunali e gli interlocutori istituzionali (in primis i rappresentanti delle agenzie fiscali), con il compito di indirizzare le attività del Comune verso percorsi di indagine efficaci e proficui. Un tavolo di concertazione di questo tipo potrebbe rappresentare il paradigma di un “patto territoriale per la compliance”, suggerisce Stefano Rolando, docente di Teorie e tecniche della Comunicazione Pubblica. Nel quadro di un progressivo deterioramento del rapporto fiduciario tra Stato e cittadini, il ruolo-principe della comunicazione pubblica è accompagnare e spiegare i processi amministrativi, riunendo nel messaggio comunicativo la dimensione burocratica con quella politica. Ne consegue, per Rolando, un ruolo dell’Agenzia delle Entrate non più confinato all’etichetta di “organo tecnico” ma garante del corretto impiego delle risorse erariali, insieme agli altri soggetti istituzionali che governano il territorio. Come l’Agenzia, anche la Guardia di Finanza svolge, tra gli altri, il compito di dogwatch nei confronti della spesa pubblica. Su questo aspetto si è incentrato l’intervento di Giancarlo Pezzuto, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Bologna, che ha posto l’accento sull’importanza del corretto utilizzo del denaro pubblico (in particolare nel settore della spesa sanitaria e delle prestazioni sociali agevolate) per incentivare l’adempimento spontaneo, in aggiunta all’azione di deterrenza che la Gdf continua a sostenere nei confronti delle frodi nazionali e comunitarie. Per promuovere la lealtà fiscale e, di riflesso, contrastare l’evasione è altrettanto decisivo l’apporto dei professionisti, ai quali è affidato il ruolo di trait d’union tra l’Amministrazione finanziaria e una certa fetta di contribuenti. Affinché questo rapporto sia il più possibile in termini di gettito spontaneo, sottolinea Enrico Zanetti, coordinatore dell’ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, è indispensabile costruire un dialogo costante tra amministrazione e operatori, come avvenuto – in parte, secondo Zanetti – con il nuovo redditometro. Una dimensione collaborativa che è condivisa da Marco Lamandini, ordinario di Diritto commerciale, in riferimento ai rapporti tra grandi imprese e Fisco: il “tutoraggio fiscale” rappresenta in questa ottica una delle possibili chiavi di sviluppo del dialogo tra i poli produttivi e l’Amministrazione finanziaria.