(Finanza&Mercati -2 dicembre 2010) – Perchè ci serve un migliore dibattito pubblico
Finanza&Mercati – 2 dicembre 2010
Scheda
La comunicazione pubblica per una grande società
La comunicazione pubblica per una grande società
In libreria La comunicazione pubblica per una grande società (Etas), di Stefano Rolando, Università IULM di Milano già manager con alte responsabilità in istituzioni e imprese. Qui un suo intervento sull’obbiettivo primario del testo: promuovere ragioni e regole per un migliore dibattito pubblico. L’autore da anni anima l’evoluzione della comunicazione pubblica in Italia e all’estero. Ricapitola ora il percorso, descrivendo i cambiamenti del modo con cui soggetti pubblici e privati dovrebbero interagire attorno ai nodi della storia comune e della cultura dello sviluppo. Al di là delle norme con cui il tema è agito nella PA, la comunicazione è utile alla sinergia tra stato e società. In epoca di trasformazione della nozione stessa di democrazia. Ma anche in contesti di ridisegno del rapporto tra istituzioni e mercato fatto di snellimenti, riforme, deleghe e sussidiarietà. Ciò che nelle democrazie occidentali va sotto il nome di Big Society. Nel testo si spiega perché e come dilatare il perimetro della materia verso la società civile; con efficaci illustrazioni di contesti applicativi (servizi pubblici, energia, salute, sicurezza, educazione, alimentazione, cultura e spettacolo, statistica, turismo, eccetera). Nelle conclusioni un’analisi del contesto italiano in materia di etica e libertà nel campo dell’informazione e una proposta di nuova regolazione del sistema. Lunedì 13 dicembre alle 15 la presentazione in Aula Marconi all’Università IULM.
Commento
Perché ci serve un migliore dibattito pubblico
di Stefano Rolando
Quante volte – su temi delicati, difficili da capire e trattare ma che impongono decisioni – diciamo: ci vorrebbe un migliore dibattito pubblico! Per aumentare la comprensione di base da parte di cittadini e imprese. Per sottrarre il confronto alla sola responsabilità delegata alla politica. Per coinvolgere la società civile in una equa e regolata discussione che comporti un’altrettanta regolata partecipazione decisionale. Già alcune forme partecipative esistono (audizioni nelle istituzioni legislative, convegnistica seria, consultazioni attraverso le reti, ecc.), ma ancora in forme casuali, frammentate, senza regolazione di responsabilità.Per partecipare è necessario conoscere. Ed ecco che una base – concettuale e organizzativa – per sorreggere questo scenario, in cui hanno ruolo istituzioni, imprese, organizzazioni collettive e media, è quella di estendere la comunicazione pubblica, nel senso di pubblica utilità, oltre gli ambiti solo connessi alla PA, considerando “pubblico” tutto ciò che si fa carico di impegno per gli interessi generali.
Serve un concetto nuovo e largo di comunicazione pubblica, non chiusa negli spazi previsti dalla legge 150/2000 applicata alla sola PA (che comunque va applicata e deve aiutare ancora molte amministrazioni a modernizzarsi e a uscire dal silenzio). Serve vedere se i soggetti più vivi della società civile si interessano a questi dibattiti. A cominciare da imprese e loro associazioni che ritengono che un migliore patto tra pubblico e privato aiuti il mercato, la legalità e lo sviluppo. Coinvolgendo associazioni, spesso in lotta tra loro, sollecitate a guardare alla compatibilità tra valori e diritti propugnati e una generale sostenibilità economica. Facendo sì che le cosiddette autonomie funzionali (università, camere di commercio, ecc.) stiano meno nelle torri d’avorio e riflettano di più (col valore aggiunto dei loro strumenti) bisogni di conoscenza e chiarificazione. Vi è stato chi – parlando di “big society” all’italiana - ha detto: bella cosa, ma mancano i presupposti perché da noi la società civile è al lumicino (Piero Ostellino, per esempio, sul Corriere della Sera). Qui è proprio il caso di far emergere voci a confronto, sperando che questa idea negativa non sia vera, pena un’africanizzazione dell’Italia che significherebbe distacco strutturale dall’Europa. L’ipotesi è che debba essere più visibile una comunicazione funzionale al tema di fondo della identità competitiva e solidale del paese. Una comunicazione per una società che voglia riappropriarsi delle sue istituzioni, capace di dar voce non propagandisticamente a interessi generali, che veda alleate professionalità pubbliche e private sottratte alla frustrazione dell’eterna delega ad altri.
