Europcom 2012 – Prima parte (in Europa quotidiano, 19 ottobre 2012)

In Europaquotidiano on line (19 ottobre 2012)
con il titolo
E’ l’Europa che ha fatto la pace
http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/137890/e_la_pace_che_ha_fatto_leuropa

Europa,comunicazione  e opinione pubblica / 1
Alle origini di Eurobarometro. Per misurare crisi o cambiamento?
 
Stefano Rolando
 
Bruxelles, 17 ottobre 2012
A Bruxelles, tra giovani e vecchi funzionari comunitari, quelli che hanno conosciuto i padri dell’integrazione, quelli dei concorsi e quelli che sono arrivati un po’ casualmente spediti dai tanti governi, si parla senza cinismo del premio Nobel attribuito all’Europa. Sfotte Libération: quel che è certo – scrive – è che il Nobel non è stato dato all’Europa per l’economia!
Giovani e vecchi, idealisti e europrudenti, ormai un po’ tutti allineati sul valore medio che i sondaggi demoscopici confermano da tempo (l’Europa intesa come “male minore”), pensano che questo nuovo segnale, se non finisce nel dimenticatoio in quattro e quattr’otto, potrebbe essere forse il portale di una rinnovata discussione neo-federalista. Che si scompone tra i fedeli (ma non europessimisti) agli Stati-Nazione e i “superanti”. Quelli che parlano di nuovo degli Stati Uniti d’Europa. Sulla cui onda è il libro in vetrina in tutta Bruxelles di Daniel Cohn-Bendit e di Guy Verhofsradt “Per l’Europa!” (anche in edizione italiana).
Ma avranno ancora diritto i nuovi funzionari ad avere un’idea politica dell’Europa, come la ebbero i pionieri arrivati a Bruxelles, a Lussemburgo e a Strasburgo con Schuman, Monnet, Spinelli, fino agli ultimi intellettuali di Delors? Ora non si sa più di chi siano figli. Dissimulano ma non rinunciano ai loro pensieri. Mettono impegno sui dossier affidati, sono informati, parlano speditamente le lingue, convivono con la fragilità della politica. Uno mi dice: “sono fierissimo per questo Nobel, forse cambia la mia carriera, ma non si discute ancora di come gestirlo ma solo di come ritirarlo”.
Sono chiamato a parlare – tra pochi italiani (che ormai sono importanti contributori ma marginali utilizzatori dell’Europa) – ad una conferenza che riunisce al Parlamento europeo settecento operatori di comunicazione pubblica dai ventisette paesi (Europcom, alla terza edizione). Tema, la relazione con l’opinione pubblica e quindi anche l’efficacia degli strumenti di indagine che “danno voce” ai cittadini.
Utilizzo vecchie trame “spinelliane” per andare a trovare il fondatore di Eurobarometro, direttore generale dell’informazione della Commissione negli anni ’60 che, ai primi anni ’70, arrivato Ortoli alla presidenza, perse il posto a favore degli inglesi e gli fu offerto di avere un’idea per restare al lavoro come “consigliere speciale”. E cosi’ il francese Jacques-Renè Rabier, filigrana cattolica alla Jean Monnet, funzionario creativo, propose di dar vita a una struttura di sondaggi basata sulla formazione interna dei questionari e sull’affidamento nazionale delle rilevazioni. Nacque così nel luglio del 1974 Eurobarometro, salutato dalla Agence Europe (allora diretta da Emanuele Gazzo) “nella speranza che l’Europa ne approfitti nel modo più largo possibile, sia per migliorare la conoscenza che dal punto di vista dell’influenza sulle scelte politiche”.
Rabier mi dice subito che i funzionai comunitari erano e restano di due tipi: “quelli chini sui dossier e quelli che si drizzano sui problemi”. Viene al dunque, proprio il giorno prima di una conferenza in cui i suoi epigoni discutono di come rilanciare un’idea dell’Europa che faccia rialzare l’asticella della fiducia, criticando la “burocrazia” per troppa passività. Non perche’ subisca censure ma perche’ “teme di doversi misurare con le censure”. Insomma, poco predisposti alla dialettica con la politica. Che era il genere preferito dai vecchi “enarques”, temuti ma relazionati con il sistema politico.
Guardi il modo con cui si confezionano i questionari – osserva Rabier – si direbbero impeccabili. Ma in realtà mancano domande piccanti, così che gli effetti sul dibattito sono modesti”.
Nell’Europa che dispone da 40 anni di strumenti di sondaggio e’ arrivata un’epoca in cui i media adorano i sondaggi e non sanno – o non vogliono – utilizzare la statistica (la malattia è quella di preferire la percezione della realtà alla realtà). Ma stranamente  Eurobarometro arriva all’appuntamento  con le armi un po’ spuntate. Perché? chiedo a Rabier, 93 anni, che parla senza una pausa e senza una amnesia. “Perché i media usano i sondaggi solo per la politica interna – risponde – e purtroppo la gran maggioranza dei media colloca ancora l’Europa nella politica estera”. Quanto ai politici i più tendenzialmente sono sempre andati a naso, sempre poca ricerca nei loro dossier, dice.
Insomma, poco utilizzo politico, poco utilizzo mediatico, poca fonte per la comunicazione istituzionale. A che serve allora l’opinione dei cittadini pagata da 40 anni dai cittadini stessi come “forma di secondo livello” di una democrazia partecipativa che, formalmente, starebbe così a cuore all’Europa?
La domanda è legittima, anche se nessuno contesta la validità in sé di Eurobarometro. E’ piuttosto il quadro della connessioni ad essere un po’ evaporato. E sono connessioni che vengono in discussione nel momento in cui senza una svolta, senza resuscitare la “domanda d’Europa”,  non solo la comunicazione resta frigida ma anche la politica non si fida ad allungare lo sguardo.
La pagina di commento di Le Monde (14-15 ottobre 2012) al premio Nobel attribuito all’Europa inquadra la questione capovolgendo quella che è parsa la motivazione principale. Scrive Arnaud Leparmentier, riprendendo un’opinione d’altri tempi: “non è l’Europa che ha fatto la pace, è la pace che ha fatto l’Europa”. E i sondaggi euro-americani di Transatlantic Trends mettono in chiaro il tema che ha, negli ultimi anni, confuso le idee alla gente, mescolando l’immagine dell’Europa con l’immagine dell’euro. Il risultato qui è del “male necessario”. Inevitabile, ma chiudendo così il campo di verifica all’hic et nunc. E l’Europa, se le togli la storia e la speranza, può anche apparire una bolla burocratica separata dalla vita di molti, moltissimi europei.
Con questi interrogativi entriamo nella kermesse che si apre al Parlamento europeo per comprendere se, tra istituzioni e cittadini, la comunicazione funziona nei due sensi oppure no. Ne darò conto nella seconda parte della corrispondenza.