Europa (Federico Orlando) 31dic09

Europa
31 dicembre 2009
Pannella fra orti e ghetti
Federico Orlando
Forse il professor Stefano Rolando, docente di comunicazione politica, che ha curato l’intervista a Marco Pannella da cui è nato il libro a doppia firma Le nostre storie sono i nostri orti (ma anche i nostri ghetti), ed. Bompiani, avrebbe fatto bene a non lasciare il lettore nel desiderio di capire, lungo le 200 pagine, il significato di quel titolo.

Parlo per me, ultimo dei lettori. Così, azzardo un’opinione: che il leader liberaldemocratico abbia inteso dire che gli impegni della sua vita (80 anni, di cui 65 in politica) sono i suoi orti, amorevolmente coltivati, ma anche i suoi ghetti, dove un po’ ci chiudiamo per narcisismo e un po’ ci chiudono gli altri per individuarci con la stella gialla, come s’addice a chi non bela. Se sbaglio, mi scuso. In realtà, con Pannella sono 65 anni che mi scuso, in pubblico e, più spesso, in scrinio pectoris. Abbiamo la stessa età; siamo entrambi nati in Abruzzo-Molise (regione, appunto, di orti familiari e ghetti di teste dure: fu a Civitella del Tronto che venne ammainata l’ultima bandiera delle Due Sicilie, rimasta anch’essa nel nostro personale contraddittorio museo di presenze antiche recenti e future); ci siamo iscritti alla Gioventù liberale nel 1945 (conservo in una teca la tessera con la fiaccola della patria rinascente, insieme a un testo autografato di Croce, La storia come pensiero e come azione: gli “arcani miei Lari”). Poi la lacerazione del 1955, io contestatore disciplinato nel Pli di Malagodi, lui ribelle disciplinato al suo genio nel nuovo partito radicale, fondato insieme a Pannunzio e gli altri del Mondo, che rimase la bibbia comune nella diaspora. Bibbia che ci richiamava tutti nelle battaglie di Marco, europeismo, divorzio, aborto legale, obbiezione di coscienza, responsabilità civile dei giudici, soppressione del finanziamento pubblico, rivoluzione del diritto di famiglia, femminismo non sessuofobico, abrogazione del concordato, moratoria della pena di morte nel mondo, religiosità intesa come «colloquio diretto con Dio» (definizione del barnabita che fu vicino all’“ateo Croce” nonostante le ire dei suoi superiori gerarchici), laicità nel senso che oggi dà alla parola il fondatore della Sant’Egidio, Andrea Riccardi, che Marco avrebbe candidato alla segreteria del Pd: «Laicità è realizzazione dell’identità dello Stato». Una laicità identitaria, anche se è proprio questo che non vuole la burocrazia clericale, causa non ultima della Peste italiana, come i radicali chiamano la corruzione della politica. Contro la quale Marco continua a preparare battaglie. Perciò, niente monumenti a Marco, perché – ci ricorda –«il farsi della politica presuppone concepimento». E i monumenti, si sa, non concepiscono.