Europa: comunicazione, terrorismo e crisi. Apertura Conferenza CdV (Vienna 11 giugno 2015)
Club of Venice
Plenary Meeting June 11th – 12th 2015 Vienna, Austria
Weltmuseum Wien
Säulenhalle Neue Burg, Heldenplatz 1010 Vienna
Opening Statement
Stefano Rolando
Presidente Club of Venice
Professore alla Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università IULM Milano
Già direttore generale dell’Informazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
del Governo Italiano
Signore e Signori, cari Rappresentanti del Governo Austriaco, caro Claus, cari Amici e Colleghi.
Torniamo – come Club of Venice – a Vienna dopo 7 anni, con l’emozione che provoca sempre stare in questa magnifica città e antica capitale di una storia costitutiva della cultura europea.
Un grazie innanzi tutto – a nome di tutti i presenti – a chi ha reso possibile questa sessione, a chi ha lavorato per organizzarla, a chi vi sta lavorando, agli interpreti, a tutti coloro che hanno predisposto interventi e materiali utili per rendere la sessione efficace e apprenditiva.
Vorrei limitare il saluto di apertura a tre concetti base per fare una cornice minima al programma e per dare un segnale di temperatura attorno agli sviluppi della comunicazione pubblica in Europa.
Primo punto
Nel programma della sessione di Vienna ci sono due temi che prevalgono: le problematiche comunicative di fronteggiamento del terrorismo (che è fondato sull’uso della violenza fuori dalle regole internazionali e sull’uso della comunicazione come arma strategica) e le problematiche comunicative di fronteggiamento della vasta e articolata materia delle condizioni di crisi.
Il combinato di questi due fattori – che obbligano naturalmente la gerarchia della notizia a riservare alla materia quasi sempre la “prima pagina” – sta modificando strutturalmente la domanda di comunicazione pubblica da parte dei cittadini.
A questi due ambiti di discussione si aggiunge un tema delicato e complesso: la comunicazione sul partenariato di commercio e di investimenti tra Unione Europea e Stati Uniti d’America.
La ricerca sociologica ci dice che questioni molto importanti della domanda pubblica (ambiente, sostenibilità, lavoro, occupazione, investimenti, cultura, educazione, salute) stanno retrocedendo a vantaggio di ondate emotive, quindi di paura e di bisogno primario di sicurezza.
Non voglio minimamente sottostimare i fatti che sono all’origine di questo processo.
E neppure sottovalutare le ragioni di questa evoluzione.
Quelle ragioni e quei fatti sono cosa seria e importante per l’Europa.
Riguardano azioni di terrorismo interne ai nostri paesi, guerre pericolose ai confini dell’Europa, vicende migratorie che si trasformano in catastrofi umanitarie, unite a drammi provocati da violenze naturali.
Voglio però dire che ciò costituisce una spinta a sviluppare programmi rassicurativi che non sempre e non necessariamente sono anche programmi informativi; perché non sono molti i paesi che scelgono di dire sostanzialmente la verità allo scopo di creare nella coscienza collettiva un baluardo culturale responsabile e difensivo.
Ci sono tradizioni positive in tal senso in Europa. Ma gli sviluppi recenti mettono in evidenza una crescita di polarizzazione tra l’allarmismo dei media, dovuto a ragioni di spettacolarizzazione e per catturare audience; e la minimizzazione delle istituzioni per note ragioni connesse sia con la governabilità dei processi emotivi sia per evitare spostamenti del baricentro politico verso agende troppo dominate dalla tematica della sicurezza.
Non devo io fornire risposte. Ma è costume del Club di Venezia discutere con responsabilità professionale le problematiche che nascono con l’evoluzione dell’agenda.
Secondo punto
Abbiamo dedicato una certa insistenza perché l’Europa arrivi a formulare un livello più adeguato e più avanzato di percezione comune del perimetro disciplinare e professionale della comunicazione istituzionale nei paesi membri dell’Unione Europea.
E’ un argomento per ricondurre la creazione di parametri rispettosi al tempo stesso delle esigenze degli Stati ma anche delle esigenze della qualità civile e sociale dell’informazione e quindi dei diritti dei cittadini. Questo torna ad essere un argomento – importante anche per i temi scelti – che segnalo alla discussione.
Ci vorrebbero parametri attorno a cui svolgere il controllo. Per la nostra piccola parte ciò ci aiuterebbe a monitorare la condivisione tecnica e professionale dell’applicazione di quegli stessi parametri.
La comunicazione sul terrorismo e sulla crisi oggi oscilla da una certa qualità informativa a scopo partecipativo a una condizione di propagandismo che accentua la cultura della delega. Tutto ciò lascia i media spesso soli arbitri dell’emozionalità. E tutto ciò ovviamente può tradursi in manipolazione politica.
In questo quadro vi è anche la battaglia culturale e professionale che abbiamo più volte discusso. La comunicazione istituzionale si deve fondare più sulla statistica che sui sondaggi. E’ noto che tra l’evoluzione reale dei processi e la loro percezione le curve spesso divergono in modo sostanziale.
Terzo punto
La terza osservazione la vorrei dedicare agli sviluppi della comunicazione pubblica in Europa, attorno a cui in autunno si svolgerà a Bruxelles l’edizione annuale di Europcom, che è un luogo in cui si capisce soprattutto come si muove la sensibilità dei giovani che lavorano attorno all’idea di Europa.
Prima di quell’evento ci sarà la nostra sessione autunnale, quest’anno prevista a Milano per poter fruire della presenza della Esposizione Universale dedicata ad un tema di straordinaria portata per la comunicazione pubblica planetaria, cioè il tema del diritto alla nutrizione e quindi anche il tema delle ineguaglianze e delle negazioni di quel diritto, per fortuna con leggera inversione di tendenza negli ultimi anni; cosa che dovrebbe rendere Expo un po’ diversa da come appare spesso sui media cioè dedicata a mangiare!
Mi limito qui a una sola riflessione.
A settembre del 2014, aprendo la conferenza a Roma “The Promise of the EU” dedicata alle aspettative di evoluzione della nuova comunicazione sull’idea di Europa, io svolgevo una osservazione che in sede di Club di Venezia abbiamo più volte trattato: metà dei cittadini e dei governi europei pensano che identità dell’Europa sia il mercato; l’altra metà pensa che questa identità sia principalmente una identità politica (Eurobarometro 2014 ha chiarito in modo netto questa spaccatura).
Ora, perché noi ogni tanto, nella storia, chiamiamo statisti alcuni politici?
Perché alcuni (pochi, ma ci sono) sanno dare riposte a questioni difficilissime.
Quando Robert Shuman ha pronunciato il famoso discorso del 9 maggio 1950 (da cui dipende appunto tuttora la data della festa dell’Europa) egli ha dato risposte, rivelatesi poi fondate, a una domanda difficilissima: come è possibile che chi si è fatto la guerra a vicenda per secoli, la smetta per costruire condizioni ineludibili di pace interna?
Bisogna mettere mano ad una ingegneria (la stessa con cui si costruiscono i ponti) cioè bisogna costruire condizioni di avvicinamento in quella spaccatura di opinioni identitarie.
Altrimenti non ci sarà mai una politica comunicativa europea. Essa verrà messa in movimento solo a partire dal momento in cui quei ponti saranno progettati e sarà quindi necessario comunicarli. Vorrei dire qui a Vienna, l’11 giugno 2015, che – su questo punto – non mi pare che ci siano sostanziali novità rispetto all’1 settembre 2014, cioè negli ultimi dieci mesi con i nuovi assetti europei.
Tuttavia noi non perdiamo le speranze. Ma segnaliamo che senza nuova cornice politica, l’azione comunicativa che ci riguarda rimane un lavoro a bassa velocità.