Eugenio Colorni. Convegno a Melfi 24 aprile 2014. Intervento di Stefano Rolando
Renata Colorni, PierViergilio Dastoli, Stefano Rolando
Intervento di Stefano Rolando [1] alla rievocazione di Eugenio Colorni
Melfi, 24 aprile 2014
Questa rievocazione si svolge nel Centro culturale Nitti di Melfi, ristrutturato da alcuni anni – dopo una lunga incuria – e capace di contenere una ormai sperimentata chiamata della migliore cittadinanza locale e territoriale attorno a temi storici, politici, culturali, economici e civili che fanno capire che la partecipazione non è argomento retorico, in generale in Italia e in questo Mezzogiorno in particolare.
Parto da qui – mi sia consentito, nel portare il saluto della Fondazione Francesco Saverio Nitti – per parlare di figure come quella di Eugenio Colorni per una ragione precisa.
Quando Filomena Nitti, figlia di Nitti, concepì negli anni ’60 l’idea – poi finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno – di un grande centro attrezzato (2500 metri quadrati di sale per convegni, formazione e attività culturali) qui accanto alla casa natale di Nitti (proprio oggi entrata nel patrimonio della Fondazione per realizzare uno spazio museale), lo scopo di questa struttura era legato all’idea di combattere l’ analfabetismo. Quello vero – del deficit specifico di lettura e scrittura – allora ancora affliggente l’Italia e in particolare l’Italia meridionale. Mancò la volontà politica e sociale per realizzare poi in pratica quella missione e questo Centro fu, per anni, un monumento al deficit civile del Paese.
Nel riportare a termine, negli anni recenti, la ristrutturazione – grazie alla collaborazione con i sindaci della città – il nostro obiettivo si è aggiornato. Compito fondamentale del Centro sarebbe stato quello di combattere appunto quel deficit civile, ossia il nuovo vero analfabetismo di ritorno che non è solo quello meritoriamente sempre denunciato da Tullio De Mauro che ci dice che due terzi degli italiani non sono in grado di interpretare la prima pagina di un quotidiano. Ma è anche quello di una larga maggioranza di italiani che ha reso possibile il taglio della memoria e l’assopimento del lavoro critico sulla storia, ciò che ha caratterizzato in modo drammatico gli anni che vanno sotto il nome di “seconda Repubblica”.
“Il sonno della memoria“, così intitolò ai primi degli anni ’90 un suo bel libro Barbara Spinelli, la sorella della nostra gradita ospite di oggi, Renata Colorni, figlie entrambe della stessa madre, Ursula Hirschmann e di due padri – che sono stati anche i “padri” del Manifesto di Ventotene (insieme a Ernesto Rossi) – come Eugenio Colorni e Altiero Spinelli.
Così che questo Centro arricchendosi di biblioteche, di documentazione audiovisiva, di un intenso lavoro con le scuole – di cui va dato sempre merito al nostro infaticabile Mauro Tartaglia – è diventato un luogo di attenzione a valori fondanti nel raccordo tra tradizione e futuro.
La memoria come motore del ripensamento sulle condizioni culturali e di sviluppo della nostra società e delle nostre istituzioni. Dunque come lavoro sull’identità e sullo spazio possibile per la riscossa. Aperto al pluralismo delle migliori tradizioni della cultura politica, nel solco di un grande pensiero sulla storia del nostro paese che si deve all’ingegno e alla profondità culturale di Francesco Saverio Nitti. Ma anche la tensione al cambiamento, che è parte ineliminabile di quel pensiero e dei caratteri fondamentali di una generazione di italiani e di europei.
Lo sguardo ai momenti cruciali della nostra storia è diventato così qui appuntamento popolare. Evidente che lo è stato per l’ anniversario – ogni anno – della Liberazione, nelle forme meno retoriche e più in “presa diretta”, cioè con testimoni importanti, che le nostre condizioni organizzative ci hanno permesso di attuare. E anche con l’aiuto appassionato di figure competenti, come lo è stato in questi anni Giampaolo D’Andrea che ha introdotto sapientemente i nostri lavori e che su Colorni ha già delineato una cornice interpretativa importante. Che sarà ulteriormente approfondita dagli altri interventi in un terreno su cui voglio limitarmi solo a una riflessione che si connette con la premessa che ho fatto.
Attorno al 25 aprile qui abbiamo parlato di figure fondanti la nostra cultura della libertà e della democrazia. Lo stesso Nitti – che visse il fascismo in un esilio di lotta e di incessante iniziativa internazionale – e poi Pertini di cui, accogliendo qui con gioia la biblioteca personale, abbiamo ricordato l’insieme della rete dell’antifascismo italiano in Francia dedicando a questa complessa pagine di storia una sala permanente del nostro Centro. E poi le donne nella Resistenza, con Marisa Ombra. E ancora la figura di De Gasperi, tratteggiata in modo straordinario da Piero Craveri – membro del nostro comitato scientifico – nella sua recente biografia. E oggi Eugenio Colorni, con un nesso molto forte, quello del confino a Melfi di Colorni, di Ursula Hirschmann e delle loro piccole figlie Silvia, Renata e Eva, dopo quello di Ventotene, un confino terminato con la fuga nel ’43 per riconnettersi alla lotta, ormai di resistenza e verso le insurrezioni, che lo porterà all’agguato mortale attorno a piazza Bologna a Roma il 28 maggio del ’44, ad opera della famigerata banda Koch.
Questi racconti che qui abbiamo potuto fare sempre grazie a testimoni speciali non hanno riguardato tanto “uomini di potere” – per cui spesso si fanno celebrazioni – ma soprattutto “uomini visionari“. In che senso? Nel senso di mettere la loro vita e le loro famiglie a repentaglio, con il pensiero fisso all’Italia futura, a quella – nel momento della lotta – non immaginabile dai più, a quella che sarebbe potuta diventare solo se italiani coraggiosi si fossero assunti la responsabilità di una drammatica discontinuità.
Ecco allora che le pagine di Nitti sulla democrazia e sull’Europa ci raccontano l’uomo di visione e non solo l’uomo di potere che era stato. Così come gli spunti che ci ha introdotto Giampaolo D’ Andrea ci riconsegnano in Colorni un giovanissimo pioniere del cambiamento della filosofia italiana dall’idealismo alla filosofia della scienza ( e ci dicono, in modo per noi consolatorio, che si poteva essere redattore-capo dell’Avanti! ed essere al tempo stesso un uomo di scienza e di cultura, oltre che di coraggio, cosa che lenisce la deriva del nome dell’Avanti! associato a persone come Lavitola…) e ci riportano ai nessi di chi, con diverse appartenenze, era capace di sognare un paese nella realtà inesistente senza aspettarselo come dono dal caso.
Per Colorni la lotta fu bisogno etico. Per De Gasperi fu la forza della tessitura di una immaginazione maturata nella penombra della biblioteca Vaticana. Storie diverse, Italie diverse, destini diversi. Quanto a Melfi il confino fu comunque lungo e il racconto che ci ha fatto – mescolando testimonianze e fantasie – Franco Avenoso nel suo libro contiene alcune pagine esemplari, come quella della figura del pretore sospettato di conformismo e capace invece di una sentenza in punta di diritto.
Di Colorni ora parleranno con competenza chi ne ha studiato il pensiero filosofico, chi il pensiero politico, chi il suo contributo all’idea di Europa. Io vorrei solo ricordare un libro che conservo con la dedica di un grande amico che fu Leo Solari – una biografia politico-culturale di Eugenio Colorni edita da Marsilio (ci scambiammo con Leo rispettivi libri della stessa collana usciti uno accanto all’altro) – dal quale ho annotato per la giornata di oggi queste parole:
“Tutto in lui si legava in modo unitario: il profondo sentimento libertario, la volontà di comprendere e accettare l’altro e il diverso, il ruolo da attribuire ai movimenti spontanei delle masse, l’intensa vocazione internazionalista, una concezione dell’azione intesa come testimonianza e,insieme, come uno dei modi della ricerca del vero“.
Diversi, per esempio, furono certamente Colorni, Spinelli e Rossi nel loro accettarsi e concepire un disegno rivoluzionario. Pier Virgilio Dastoli lo dirà con l’evidente autorità di chi ha dedicato molta riflessione a quel “Manifesto”.
A noi resta oggi il conforto di una scelta che cade nel nostro 25 aprile ovvero a ridosso delle ormai imminenti elezioni europee. E che da qui non possono che essere viste come speranza che non prevalgano istanze che accentuino le derive nazionaliste, quelle xenofobe, quelle populiste, quelle che – a tenaglia da sinistra e da destra – hanno imbrigliato e marginalizzato la cultura federalista. Come ha scritto appunto Leo Solari: “mentre non vi è stata una resistenza europea vi è stato tuttavia un europeismo della Resistenza , di cui Colorni si è reso interprete e che ha rappresentato l’ espressione più originale e insieme più autentica della lotta di liberazione“.